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non per errore, il qual è (1) fuori di naturale intenzione. E così è misurato nella natura angelica, e terminato è (2) quanto in quella sapienzia che la natura di ciascuno può apprendere. E questa è la ragione per che li Santi non hanno tra loro invidia; perocchè ciascuno aggiugne il fine del suo desiderio, il quale desiderio è colla natura della bontà misurato. Onde conciossiacosachè conoscere Dio (3) e altre cose, e dire quello esso è (4) » non sia possibile alla nostra natura, quello da noi naturalmente non è desiderato di sapere; e per questo è la dubitazione soluta. Poi quando dico: Sua beltà piove fiammelle di fuoco, discendo a un altro piacere di Paradiso, cioè della felicità secondaria a questa prima, la quale della sua beltate procede; dov'è da sapere che la moralità è bellezza della Filosofia: chè siccome la bellezza del corpo risulta dalle membra, in quanto sono debitamente ordinate; così la bellezza della sapienzia, ch'è corpo di Filosofia, come detto è, risulta dall'ordine delle virtù morali, che fanno quella piacere sensibilmente. E però dico che sua beltà, cioè moralità, piove fiammelle di fuoco, cioè appetito diritto, che si genera nel piacere della morale dottrina; il quale appetito ne diparte eziandio dalli vizii naturali, non che dagli altri. E quinci nasce

(1) Così il cod. Vat. Urb, ed il Gadd. 134. Il Biscioni: il qual è di fuori di naturale ecc.

(2) Così i codici Marc., il Vat. Urb. ed il Gadd. 135 primo. L'ediz, del Biscioni: e terminato in quanto in quella sapienzia che la natura ecc.

(3) Questo passo è stranamente sconvolto in tutti i testi, e lo abbiamo sanato con una semplice trasposizione di parole. Ecco la lez. volgata: Onde conciossiacosachè conoscere Dio, e dire altre cose, quello esso è, non sia possibile ecc. Il sig. Witte propone la seguente emendazione: Onde conciossiacosachè conoscere Dio, e quelle altre cose, e dir quel ch'e' sono, non

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quella felicità, la quale difinisce Aristatile nel primo dell' Etica dicendo ch'è operazione secondo virtù in vita perfetta. E quando dice: Però qual donna sente sua beltate, procede in loda di costei. Grido alla gente, che la seguiti, dicendo loro lo suo beneficio, cioè che per seguitare lei diviene ciascuno buono. Però dice: qual donna, cioè quale anima sente sua beltà biasimare, per non parere qual parere si conviene, miri in questo esemplo. (1) Ov'è da sapere che li costumi sono beltate dell'anima, cioè le virtù massimamente, le quali talvolta per vanità o per superbia si fanno meno belle o men gradite, siccome nell' ultimo Trattato veder si potrà. E però dico che a fuggire questo si guardi in costei, cioè colà dov' ella è esemplo d'umiltà, cioè in quella parte di sè, che (2) morale Filosofia si chiama. È soggiungo che, mirando costei (dico la sapienzia) in questa parte, ogni viziato tornerà diritto e (3) buono ; e però dico: Quest' è colei, ch'umilia ogni perverso, cioè volge dolcemente chi fuori del debito ordine è piegato. Ultimamente in massima lode di sapienzia dico lei essere madre (4) di tutto qualunque principio, dicendo che con lei Iddio cominciò il Mondo, e spezialmente il movimento del Cielo, il quale tutte le cose genera, e dal quale ogni movimento è principiato e mosso, dicendo: Costei pensò, chi mosse l'universo; cioè a dire che nel divino pensiero, ch'è esso intelletto,

(1) II Tasso ha interlineato tutte queste parole: Ov'è da sa pere ecc.... nell'ultimo Trattato veder si potrà; e seguita a contrassegnare il passo nel margine fino a tornerà diritto e buono.

(2) La laguna di questo che, la quale trovasi in tutte le stampe, si riempie col cod. Trivulziano.

(3) diritto o buono leggeva il Biscioni. Noi seguiamo la lez. dei codici Vat. Urb., Barb., Gadd. 134 e 135 secondo.

(4) Così la pr. ediz. ed il cod. Gadd. 134. La stampa del Biscioni ha queste parole dislocate nel modo seguente: di tutto madre; qualunque principio dicendo, che con lei ecc.

essa era quando il mondo fece; onde seguita che ella lo facesse; e però disse Salomone in quello de' Proverbii in persona della Sapienza: «(1) Quando Dio >> apparecchiava li Cieli, io era presente; quando con >> certa legge e con certo giro vallava gli abissi ; quando » suso fermava, e sospendea le fonti dell'acque ; quan>> do circuiva il suo termine al mare, e poneva legge » all' acque, che non passassero li suoi confini; quando » elli appendea li fondamenti della terra ; con lui ed (2) »>io era, disponente tutte le cose, e dilettavami per >> ciascun die. » Oh peggio che morti, che l'amistà di costei fuggite! aprite gli occhi vostri, e mirate che anzi che voi foste, ella fu amatrice di voi, acconciando e ordinando il vostro processo: e poichè (3) fatti foste, per voi dirizzare, in vostra similitudine venne a voi (4): e se tutti al suo cospetto venire non potete, onorate lei ne' suoi amici, e seguite li comandamenti loro, siccome quelli (5) che v'annunziano la volontà di questa eternale Imperadrice. Non chiudete gli orecchi a Salomone che ciò vi dice, dicendo che « la via de' giusti » è quasi luce splendente, che procede e cresce infi» no al di della beatitudine; » andando loro dietro, mi

(1) Il Tasso di contro a questo passo de' Proverbii postillò : Bello.

(2) Questo ed ha forza di etiam. PERTICARI.

(3) Qui tutti i testi: e poichè fatto fosse. Errata lezione, poichè Dante ha detto poco prima: anzi che voi foste.

(4) per voi dirizzare, in vostra similitudine venne a voi. Cioè: per rialzarvi caduti venne a voi in simiglianza vostra; e vale: prese carne umana. E già nel Poema Dante chiamò il Verbo somma sapienza, là dove indica le tre divine Persone per gli attributi principali di ciascheduna (Inf. 3. 5):

» Fecemi la divina potestate,

» La somma sapienza, e 'l primo amore.

(5) Questa bella e corretta lezione incontrasi nel codice Gaddiano 135 primo. La volgata è: siccome che iniziano la volontà di questa ecc.

rando le loro operazioni, ch' esser debbono a voi luce nel cammino di questa brevissima vita. E qui si può terminare la vera sentenzia della presente Canzone. Vęramente l'ultimo verso, che per Tornata è posto, per la litterale sposizione assai leggiermente qua si può ridurre, salvo in tanto quanto dice che io la chiamai (questa donna) fera e disdegnosa. Dov'è da sapere che dal principio essa Filosofia parea a me, quanto dalla parte del suo corpo (cioè sapienzia (1)), fiera, chè non mi ridea, in quanto le sue persuasioni ancora non intendea; e disdegnosa, chè non mi volgea l'occhio, cioè, ch'io non potea vedere le sue dimostrazioni. E di tutto questo il (2) difetto era dal mio lato: e per questo, e per quello che nella sentenzia litterale è dato, è manifesta l'allegoría della Tornata: sicchè tempo è, per più oltre procedere, di porre fine a questo Trattato.

(1) Avendo l'Autore detto già poco avanti che la sapienza è corpo di Filosofia, le parole chiuse qui tra parentesi ci sembrano glossema.

(2) il difetto, P. E., cod. Barb., Vat. Urbe, codici Marc., e Gadd. 134 e 135 secondo. Il Biscioni: il detto difetto.

TRATTATO QUARTO

Le dolci rime d'Amor, ch'io solía

Cercar ne' miei pensieri,

Convien ch'io lasci; non perch'io non speri.
Ad esse ritornare,

Ma perchè gli atti disdegnosi e feri,

Che nella donna mia

Sono appariti, m'han chiuso la via
Dell'usato parlare:

E poichè tempo mi par

d'aspettare,

Diporrò giù lo mio soave stile,

Ch'io ho tenuto nel trattar d'Amore,

E dirò del valore

Per lo qual veramente uomo è gentile,
Con rima aspra (1) e sottile,
Riprovando il giudicio falso e vile
Di que' che voglion che di gentilezza
Sia principio ricchezza:

E cominciando, chiamo quel signore
Ch'alla mia donna negli occhi dimora,
Per ch'ella di sè stessa s'innamora.

(1) Il Biscioni, contra l'autorità di alcuni codici da esso veduti, legge: Con rime aspre e sottile. Che però Dante non abbia, senza alcuna necessità, offesa la ragione gramaticale, ce ne fa sicuri egli stesso dicendo nel Trattato, Cap. 2.: e prometto trattare di questa materia con rima sottile e aspra.

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