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care l'amato; l'altra è a essere geloso di quello; l'altra è a difendere lui, siccome ciascuno può vedere continovamente avvenire. E queste tre cose mi fecero prendere lui, cioè lo nostro Volgare, lo quale naturalmente e accidentalmente amo e ho amato. Mossimi prima per magnificare lui. E che in ciò io lo magnifichi, per questa ragione vedere si può: avvegnachè per molte condizioni di grandezza le cose si possono magnificare, cioè far grandi: e nulla fa tanto grande, quanto la grandezza della propia bontà, la quale è madre e conservatrice delle altre grandezze; onde nulla grandezza puote l'uomo avere maggiore, che quella della virtuosa operazione, che è sua propria bontà, per la quale le grandezze delle vere dignitadi e delli veri onori, delle vere potenzie, delle vere ricchezze, delli veri amici, della vera e chiara fama, e acquistate e conservate sono. E questa grandezza do io a questo amico, in quanto quello elli di bontade avea in podere e occulto (1), io lo (2) fo avere in atto e palese nella sua propia operazione, che è manifestare conceputa sentenzia. Mossimi secondamente per gelosia di lui. La gelosia dell'amico fa l'uomo sollecito a lunga provvedenza; onde pensando che per lo (3) desiderio d'intendere queste Can

(1) Cioè: E io do questa grandezza a questo amico (lo Volgare), in quanto che quello ch'elli avea di bontà solo in podere (cioè in potenza) e occulto (cioè occultamente), io lo fo - Il testo sarebbe stato più chiaro quando vi si fosse letto quello ch'elli di bontade avea ecc.

avere ec.

-

(2) lo fo avere, cod. Vat. Urb., Marciani, Gadd. 134, 135 secondo, 3. Il Biscioni: io fo avere.

(3) La stampa del Biscioni, d'accordo colle altre e col più de' codici, legge che 'l desiderio. L'errore però si fa subito manifesto, per poco ch'altri vi ponga mente; perocchè nella vulgata lezione Dante viene a dire, che qualche inlitterato, cioè qualcheduno che non sapesse di latino, avrebbe, per desiderio d'intenderlo, trasmutato il Comento di latino in volgare. Il qual parlare non sani esse hominis, non sanus juret

zoni alcuno inlitterato averebbe fatto il Comento latino trasmutare in volgare; e temendo che 'l volgare non fosse stato posto per alcuno che l'avesse laido fatto parere, come fece quelli che trasmutò il latino dell'Etica (1), provvidi (2) di ponere lui, fidandomi di me più che d'un altro. Mossimi ancora per difendere lui da molti suoi accusatori, li quali dispregiano esso, e commendano gli altri, massimamente quello (3) di Lingua d'Oco, dicendo ch'è più bello e migliore quello

Orestes. Più ragionevole è la lezione dei codici Gaddiano 135 primo e secondo, e del secondo Marciano; fra' quali il 135 primo porta alcuno litterato, e gli altri due alcuno allitterato.

(1) Dopo Etica leggesi in tutti i codici ed in tutte le stampe: ciò fu Taddeo Ippocratista; parole che nel SAGGIO, pag. 93, abbiamo dimostrato essere manifesto glossema de' copisti, i quali forse in tempi che la fama del traduttore era già diminuita, a schiarimento del testo di Dante vi apposero quella chiosa. Intorno a questo Taddeo Fiorentino, ovvero Taddeo d'Alderotto da Firenze, che per la sua eccellenza nell'arte medica fu detto a' suoi tempi l'Ippocratista, è da vedersi una lunga nota del Biscioni. Egli traslatò dal latino in italiano l'Etica di Aristotile; ed alcuni eruditi pretendono che Brunetto Latini, volendo inserire nel suo Tesoro questo medesimo trattato, volgesse in francese l'italiano di Taddeo. Onde che Bono Giamboni nel volgarizzare l'opera di Brunetto si valse per questa parte della versione di Taddeo già bella e fatta. Su di che si può consultare la prefazione del ch. sig. ab. Zannoni al Tesoretto di Ser Brunetto Latini, stampato recentemente in Firenze presso Giuseppe Molini, pag. xxxv. Frattanto noi diremo come fra i Trivulziani trovasi un assai bel codice in pergamena dell'Etica tradotta da Taddeo, che ivi si dice da Pescia.

(2) Il cod. Vat. Urb.: provvidi a poner lui, fidandomi di me più che di niuno altro. Anche il cod. Marciano secondo, ed i Gadd. 134, e 135 secondo, leggono a ponere. Il Gadd. 3 a porre.

(3)1 codici e le stampe quelli; ma il pronome qui si riferisce a Volgare, e però dee stare nel numero del meno.

che questo; (1) partendosi in ciò dalla verità. Chè per questo Comento la gran bontà del Volgare di Sì si Si vedrà, perocchè la sua virtù (siccome per esso altissimi e novissimi concetti convenevolmente, sufficientemente e acconciamente, quasi come per esso Latino, si esprimono) nelle cose rimate per le accidentali adornezze che quivi sono connesse, cioè la rima e lo ritmo, o'l numero regolato, non si può bene manifestare, siccome la bellezza d'una donna quando gli adornamenti dell'azzimare e delle vestimenta la fanno più ammirare (2) che essa medesima: onde chi vuole bene giudicare d'una donna, guardi quella quando solo sua natural bellezza si sta con lei da tutto accidentale adornamento discompagnata, siccome sarà questo Comento,

(1) Nell'esemplare del Tasso sono interlineate le parole da partendosi fino a virtù, e di contro ad esse è scritto da quel grand' uomo: Distinzion ricevuta da lui nel libro della vulgare eloquenza. Alquanto più innanzi è contrassegnata la parola azzimare. — Tutto questo passo leggesi poi ne' codici e nelle stampe così: partendosi in ciò dalla verità, ch'è per questo Comento la gran bontà del volgare di sì; perocchè si vedrà la sua virtù, siccome per esso altissimi e novissimi concetti convenevolmente, sufficientemente e acconciamente, quasi per esso Latino, manifestare nelle cose rimate, per le accidentali adornezze che quivi sono connesse, cioè la rima, e lo rimato, e'l numero regolato. Siccome non si può bene manifestare ecc. Ma qui la lezione è evidentemente corrotta e mutilata in più luoghi per lo che la buona Critica ne ha suggerito di emendarla come si è fatto; e di ciascuna emendazione si è data ragione nel SAGGIO. V. pag. 2.

(2) Nel SAGGIO, pag. 6, colla sola scorta di quel passo del Par. C. 15.:

>> Non avea catenella, non corona,

» Non donne contigiate, non cintura

» Che fosse a veder più che la persona,

avevamo corretto l'errore di tutte le stampe, le quali hanno annumerare invece di ammirare. Ora in soccorso della nostra correzione viene il cod. 135 primo Gaddiano, ove leggesi: la fanno più ammirare che essa medesima.

nel quale si vedrà l'agevolezza delle sue sillabe, la propietà delle sue condizioni, e le soavi orazioni che di lui si fanno: le quali chi bene agguarderà (1), vedrà essere piene di dolcissima ed amabilissima bellezza. Ma perocchè virtuosissimo è nella 'ntenzione mostrare lo difetto e la malizia dell'accusatore, dirò, a confusione di coloro che accusano l'italica loquela, perchè a ciò fare si muovono: e di ciò farò al presente speziale Capitolo, perchè più notevole sia la loro infamia.

CAPITOLO XI. (2)

A perpetuale infamia e depressione delli malvagi uomini d'Italia, che commendano lo Volgare altrui, e lo (3) propio dispregiano, dico che la loro mossa viene da cinque abbominevoli cagioni. La prima è cechità di discrezione (4): la seconda, maliziata scusazione: la terza, cupidità di vanagloria: la quarta, argomento d'invidia: la quinta e l'ultima, viltà d'animo, cioè pusillanimità. E ciascuna di queste reitadi ha sì gran setta, che pochi sono quelli che sieno da esse liberi. Della prima si può così ragionare: Siccome la parte sensitiva dell'anima ha suoi occhi, colli quali apprende la differenza delle cose, in quanto elle sono di fuori colorate; così la parte razionale ha suo occhio, col quale apprende la differenzia delle cose, in quanto sono ad alcuno fine ordinate: e quest' è la discrezione. E siccome colui ch'è

(1) guarderà, le pr. ediz.

(2) Questo è contro Ser Brunetto Latini e molti altri che al tempo di Dante parlavano e scrivevano contro la italiana favella. PERTICARI.

(3) e lo loro proprio leggono il primo cod. Marciano e tutti i Gaddiani, d'accordo colle antiche edizioni.

(4) Il Tasso segnò l'espressione cechità di discrezione; e così poco di poi la parola reitadi.

cieco degli occhi sensibili va sempre, secondo che (1) gli altri, giudicando il male e 'l bene; così quelli ch'è cieco del lume della discrezione sempre va nel suo giudicio secondo il grido o diritto o falso. Onde qualunque ora (2) lo guidatore è cieco conviene che esso e quello anche cieco ch'a lui s'appoggia vengano a mal fine. Però è scritto che 'l cieco al cieco farà guida, e così cadranno amendue nella fossa. -Questa grida (3) è stata lungamente contro a nostro Volgare per le ragioni che di sotto si ragioneranno. Appresso di questa li ciechi soprannotati, che sono quasi infiniti, colla mano sulla spalla a questi mentitori (4) sono caduti nella fossa della falsa opinione, della quale uscire non sanno. Dell'abito di questa luce discretiva massimamente le popolari persone sono orbate; perocchè occupate dal principio della loro vita ad alcuno mestiere, dirizzano si l'animo loro a quello, per forza (5) della necessità, che ad altro non intendono. E perocchè l'abito di virtude, sì morale come intellettuale, subitamente avere non si può, ma conviene che per usanza s'acquisti, ed ellino la loro usanza pongono in alcuna

(1) secondo che. Nota modo. PERTICARI. E vale secondo che gli altri giudicano.

(2) ora per volta: qualunque volta. Manca al Vocabolario. PERTICARI.

(3) Le pr. ediz. guida, malamente. opinione, o simili.

Qui grida vale voce,

(4) Nel SAGGIO, pag. 41, considerando che qui si parla di guidatore e di guida, tenemmo opinione che non mentitori, ma menatori fosse da leggere; e ci pareva d'aver buona ragione. Ora però, dopo un più attento esame, ne sembra che la lezione mentitori, cioè sostenitori di falsa opinione, sia vera; e volentieri la rimettiamo nel testo, giacchè, come nel SAGGIO medesimo abbiamo scritto, pag. 158, non è nostro costume l'ostinarci nelle nostre opinioni neppure quando potremmo senza biasimo sostenerle.

(5) I codici e le stampe a quella persona, con lezione ma nifestamente corrotta. V. il SAGGIO, pag. 112.

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