Sayfadaki görseller
PDF
ePub

ove la persona è nata e nudrita, che talora sarà da ogni studio non solamente privato, ma da gente studiosa lontano. Le due (1) prime di queste cagioni, cioè la prima dalla parte di dentro e la prima dalla parte di fuori, non sono da vituperare, ma da scusare e di perdono degne; le due altre, avvegnachè (2) l'una più, sono degne di biasimo e d'abbominazione. Manifestamente adunque può vedere chi bene considera, che pochi rimangono quelli che all'abito da tutti desiderato (3) possano pervenire, e innumerabili quasi sono gl'impediti che di questo cibo da tutti (4) sempre vivono affamati. (5) Oh beati que' pochi che seggono a quella mensa ove il pane degli Angeli si mangia, e miseri quelli che colle pecore hanno comune cibo! Ma pe

(1) La comune lezione era: « Le due di queste cagioni, cioè >> la prima dalla parte di fuori non sono da vituperare. » Colle altre parole da noi introdotte nel testo si è supplita la manifesta laguna che s'incontrava in questo passo. Vedi il SAG

GIO DEI MOLTI E GRAVI ERRORI TRASCORSI IN TUTTE LE EDI

ZIONI DEL CONVITO (Milano, dalla Società tipografica dei Classici Italiani, 1823) a c. 50.

(2) Le parole avvegnachè, o avvenga che come porta l'edizione del Sessa (Venezia 1531), ed abbominazione sono interlineate dal Tasso.

(3) Tutte le stampe e tutti i codici, che ci son noti, leggono considerato. E può spiegarsi preso di mira. Nulladimeno emendiamo desiderato, secondo la correzione posta dal Biscioni in nota; perocchè questa emendazione concilia il luogo presente coll' altro di Dante sul bel principio: tutti gli uomini naturalmente desiderano di sapere.

(4) da tutti, cioè fatto per tutti; se pure non è da leggersi da tutti desiderato. V. il SAGGIO, pag. 106.

(5) Le parole da seggono fino a cibo sono interlineate dal Tasso; e tutto il passo poi, cominciando da Oh beati fino a ghian de gire mangiando, è da lui contrassegnato con una linea verti cale in margine: il che mostra quanto gli fosse piaciuto. Anche il Perticari nell'esemplare da lui postillato (ediz. di Venez, Pasquali 1741) interlineò le parole Oh beati fino a cibo. È bello il vedere come due alti ingegni si sieno egualmente inna

rocchè ciascun uomo (1) a ciascun uomo è naturalmente amico, e ciascuno amico si duole del difetto di colui ch'egli ama, coloro che a sì alta mensa sono cibati, non sanza misericordia sono inver di quelli che in bestiale pastura veggiono erba e ghiande gire mangiando. E acciocchè misericordia è madre di beneficio, sempre liberalmente coloro che sanno porgono della loro buona ricchezza alli veri poveri, e sono quasi fonte vivo, della cui acqua si rifrigera la natural sete (2) che di sopra è nominata. (3) E io adunque, che non seggo alla beata mensa, ma, fuggito dalla pastura del vulgo, a' piedi di coloro che seggono ricolgo di quello che da loro cade, e conosco la misera vita di quelli che dietro m'ho lasciati, per la dolcezza ch'io sento in quello ch'io a poco a poco ricolgo, misericordevolmente mosso, non me dimenticando, per li miseri alcuna cosa ho riservata (4), la quale agli occhi loro già è più tempo ho dimostrata, e in ciò gli ho fatti maggiormente vogliosi. Per che ora volendo loro apparecchiare, intendo fare un generale convito di ciò ch'io ho loro mostrato, e di quello pane ch'è mestiere a così fatta

morati di questa veramente deliziosa immagine; e bellissimo riescirà poi il considerare che Dante medesimo dimostrò di compiacersene, cantando nel Poema (Par. 2. 10):

» Voi altri pochi, che drizzaste 'l collo

» Per tempo al pan degli Angeli, del quale

» Vivesi qui, ma non si vien satollo, ecc.

(1) Di questa parola uomo è difetto la prima volta nella stampa del Biscioni, e si è supplita col cod. Vaticano Urbinate 686, col secondo Marc., e co' Gadd. 134, 135 secondo, e 3. (2) La sete natural che mai non sazia ecc. Purg. 21. 1.

(3) Il Tasso interlineò questo passo fino a la misera vita di quelli che dietro, e con una linea verticale nel margine lo contrassegnò fino a maggiormente vogliosi.

(4) Pensiero tolto da quel di Virgilio, ov'egli fa dire a Didone (En. Lib. 1. v. 630): Non ignara mali miseris succurrere disco.

vivanda, sanza lo quale da loro non potrebbe essere mangiata (1) a questo convito; di quello pane degno a cotal vivanda, qual io intendo indarno essere ministrata. E però ad esso non voglio s'assetti (2) alcuno male de' suoi organi disposto (3); perocchè nè denti, nè lingua ha nè palato: nè alcuno assettatore di vizii; perocchè lo stomaco suo è pieno d'umori venenosi, contrarii, sicchè (4) mia vivanda non terrebbe. Ma vegnaci qualunque è per cura (5) famigliare o civile nella umana fame rimaso, e ad una mensa cogli altri simili impediti (6) s'assetti: e alli loro piedi si pongano tutti quelli che per pigrizia si sono stati, chè non sono degni di più alto sedere: e quelli e questi prenderanno la mia vivanda col pane, chè la farò loro e gustare e

(1) Col levare un' e intrusa dopo la parola mangiata, e col rettificare l'interpunzione, messa a caso nell'edizione del Biscioni, si è restituito a questo passo il senso che n'era affatto smarrito. In miglior condizione è il punteggiamento del presente luogo nelle antiche edizioni.

(2) La parola assetti (cioè si ponga a sedere, o simile) e po co dopo assettatore (cioè seguitatore) sono segnate dal Tasso. Assetti è pure notato dal Perticari.

(3) Anche qui è pessimamente punteggiata l'edizione del Biscioni (Fir., Tartini e Franchi, 1723). Migliore a questo luogo è quella del Sessa.

(4) mai vivanda non terrebbe. Cod. Vat. Urb.

(5) Le parole per cura, mancanti in tutti i testi, sono una sensatissima aggiunta che noi dobbiamo ad uno straniero, il sig. Carlo Witte, tedesco. Le sue emendazioni al testo del Convito, mandate dal sig. Professore Odoardo Gerhard al ch. sig. Girolamo Amati, e da questo celebre letterato pubblicate nel Giornale arcadico di Roma (Vol. di Agosto 1825), ci hanno giovato a rettificare alcuni passi, sui quali eravamo tuttavia incerti. Da per tutto gliene renderemo il debito onore. Ed è veramente mirabile che mentre molti Italiani lasciano le proprie cose in obblio, uno straniero ne prenda tanta cura, e con tanta fortuna.

(6) Con quelli, cioè, che hanno impedimenti di somigliante

natura.

patire (1). La vivanda di questo convito sarà di quattordici maniere ordinata, cioè quattordici Canzoni sì di Amore, come di virtù materiate, le quali sanza lo presente pane aveano d'alcuna scurità ombra, sicchè a molti lor bellezza più che lor bontà era in grado; ma questo pane, cioè la presente sposizione (2), sarà la luce, la quale ogni colore di loro sentenzia farà parvente (3). E se nella presente opera, la quale è CONVITO nominata, e vo' che sia, (4) più virilmente si trattasse che nella VITA NUOVA, non intendo però a quella in parte alcuna derogare, ma maggiormente giovare per questa quella; veggendo siccome ragionevolmente quella fervida e passionata, questa temperata e virile essere conviene. Chè altro si conviene e dire e operare a una etade, che ad altra; perchè certi costumi sono idonei e laudabili a una etade, che sono sconci e biasimevoli ad altra, siccome di sotto nel quarto Trattato di questo libro sarà propia ragione mostrata. E io in quella dinanzi all'entrata di mia gioventute parlai, e in questa di poi quella già trapassata. E conciossiacosachè la vera intenzione mia fosse altra, che quella che di fuori mostrano le Canzoni predette, per allegorica sposizione quelle intendo mostrare, appresso la litterale storia ragionata: sicchè l' una ragione e l'altra darà sapcre a coloro che a questa cena sono convitati; li quali

(1) patire per smaltire, digerire. V. la Crusca.

(2) La lezione volgata è disposizione; ma teniamo per fermo che sposizione sia la vera.

(3) parvente, parola notata dal Tasso.

(4) Le parole più virilmente si trattasse che nella VITA NUOTA, e le altre poco dopo siccome ragionevolmente quella fervida e passionata sono interlineate dal Tasso, il quale a canto dell'ultima notò ancora in margine passionata. Un po' più avanti, ove è detto certi costumi sono idonei e laudabili.... che sono sconci e biasimevoli ecc., egli segnò le parole idonei

sconci.

7

priego tutti (1), che se il convito non fosse tanto splendido quanto conviene alla sua grida, che non al mio volere, ma alla mia facultate imputino ogni difetto; perocchè la mia voglia di compiuta e cara liberalità è qui seguace.

CAPITOLO II.

Nel cominciamento di ciascun bene ordinato convito sogliono li sergenti prendere lo pane apposito (2), e quello purgare da ogni macola; per ch'io, che nella presente scrittura tengo luogo di quelli, da due macole mondare intendo primieramente questa sposizione, che per pane si conta nel mio corredo. L'una è, che parlare alcuno di sè medesimo pare non licito; l'altra si è, che parlare, sponendo, troppo a fondo pare non ragionevole. E lo illicito e 'l non ragionevole il coltello del mio giudicio purga in questa forma. Non si concede li Rettorici alcuno di sè medesimo sanza necesper

D

(1) In questo passo: «priego tutti, che se il convito non fos >se tanto splendido quanto conviene alla sua grida, che non >> al mio volere, ma alla mia facultate imputino ecc.,» sembra che uno dei due che sia superfluo. Si legga però la nota dell'ab. Colombo alla nov. 8. g. 2. del Decamerone (pag. 222, tom. 2., ed. Parm. 1812), ove incontrasi bell' esempio del medesimo pleonasmo: e si vedrà in essa chiaramente spiegato l'ufficio dei pleonasmi di tale natura; il quale è d'impedire che, per l'interposizione di qualche proposizione un po' lunga tra due frasi insieme legate da una particella, il lettore corra pericolo di dimenticarsi la connessione ch'esse frasi hanno fra di loro; facendogliela risovvenire colla ripetizione della particella medesima. Così Dante istesso nel Poema (Inf. c. 26. v. 22.):

« Si che se stella buona, o miglior cosa

>> M'ha dato 'l ben, ch' io stesso nol m'invidi,

ove sembra di soprappiù il che innanzi ad io. E giova qui l'avvertire quest'uso, perchè nel Convito è frequente.

(2) apposito, parola segnata dal Tasso; così subito appresso macola.

« ÖncekiDevam »