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tichiamo a combattere quelle, e a dissipar questi. Certo in mezzo alle infelicità, e alle illusioni della mortale faticosissima vita la fortezza dell'uomo verrebbe meno, se non lo sostenesse il pensare, che Iddio sta in esso, cioè nel suo intelletto portato da vivo, ingenito instinto alla verità, nella sua fantasia innamorata del bello naturalmente, nel suo cuore pur da natura disposto al bene. Ah di noi facciano gli uomini, e la fortuna che loro piace! Non ci potranno rapire quello ch'è nostro: Iddio, e il godimento della sua luce. Però cerchiamo con ogni cura che il segno ideale chiaramente nell'animo ci risplenda, e la parte sensibile e materiale mai non vi usurpi sulla divina illecito imperio.

Poichè le cose vengono tutte da Dio è di ragione, che tutte tendano a lui, e che in tutte sia mantenuto il collegamento, che avevano già nella mente eterna. Da ciò deriva l'ordine tra le forze dell' universo, la necessità di un fine prefisso a tutte le sussistenze, la nobiltà di ognuna di esse, e l'armonia ch'è tra loro. Dottrina poetica quanto vasta, da cui la vita dell' uomo ha sicura guida, lume e spiegazione la storia, conforto il presente, speranza dolcissima l'avvenire. Essa fu professata già da Platone, e posta in versi dall' Alighieri riunisce in se la doppia attrattiva della bellezza, e del vero:

Le cose tutte quante

Hann' ordine tra loro; e questa è forma
Che l'universo a Dio fa simigliante.
Qui veggion l'alte creature l'orma
Dell' eterno valore, il quale è fine,
Al quale è fatta la toccata norma.

Nell' ordine ch' io dico sono accline
Tutte nature per diverse sorti,
Più al principio loro e men vicine;
Onde si movono a diversi porti

Per lo gran mar dell' essere, e ciascuna
Con istinto a lei dato che la porti.
Questi ne porta il fuoco in ver la luna;
Questi ne' cuor mortali è promotore ; ·
Questi la terra in sé stringe e aduna.
Nè pur le creature, che son fuore

D' intelligenzia, quest' arco saetta,

Ma quelle c'hanno intelletto ed amore. »

Paradiso, canto 1, v. 103.

Ponetevi nel pensiero a considerare l'ampiezza del suolo, qua e là rilevato dalle montagne, i vari fiumi che lo dividono, i distesi mari, le specie quasi infinite d'alberi, di fiori, di quadrupedi, di pesci, di uccelli, e le mille, e mille svariate forme sotto le quali nell' aere, nella terra, nelle acque la vita si manifesta, poi guardate gli astri rotanti pel vasto cielo, e gl' innumerevoli soli sospesi in esso, e sapendo, che tante cose, tante esistenze sì belle, sì grandi, e così diverse sono da naturale tendenza portate a Dio, e che ciascuna di esse vive, cresce, dura, si move secondo le leggi da lui fissate, non sentirete voi forse da nuova meraviglia, da nuovo amore compreso l'animo vostro? E avrete bisogno de' mondani piaceri per ricrearlo, quando un insetto, un fiore, una pianta può aprirvi il campo a pensieri che consolano di diletto non fuggitivo? Quando la scienza a se vi chiama per dimostrarvi l'ordine, e il misurato governo dell' universo? Quando potete in tutte le cose vedere Iddio, e con sicura allegrezza bearvi in esso? Felice quegli,

che lontano dallo strepito popolare, libero dall' ambizione, dalla cupidità, dall' orgoglio, studia le leggi della natura, si piace della sua vista, e da lei s' inalza all'invisibile suo creatore! Più felice ancora colui, il quale avendo veduto l'arcano collegamento delle sue forze, e l'ultimo fine, a cui è indirizzata, fa questo, e quelle soggetto di nobile poesia, partecipando agli altri la luce, che illumina la sua mente, e conducendo gli uomini tutti ad amare « Ciò che non muore, e che non può morire. »

Se ciò facesse il nostro poeta lo dica chiunque ha retto giudicio, e può con la fantasia seguitarne il volo. Arduo era il trattare poetizzando dell'atto creativo di Dio, e dell'armonia da lui posta nell' universo. Non meno difficile era il definire la essenza del bene e del male, la loro cagione, ed i loro effetti. Ma l'ingegno di Dante prendeva forza dalle incontrate difficoltà, ed ai suoi occhi le varie idee apparivano così vive e così distinte, ch' ei potea tratteggiar con sicura mano l'ordine loro, e per la virtù inimitabile dello stile dare forma alle astratte, alle invisibili colorito, a tutte lucidità, e leggiadria. Nel dichiarare il principio del bene e del male ei si accordò con Platone, ponendolo, com' egli fa, nell' amore, il quale mentre mantiene la vita nella natura, mette in moto le facoltà intellettive, e da impulso agli affetti del nostro cuore. Si notino le bellezze che sono nelle sentenze grandiose e brevi, e nel dettato evidente, e proprio, di questi versi:

<< Ne Creator, nè creatura mai,

Cominciò ei, figliuol, fu senza amore,

O naturale o d'animo; e tu 'l sai.

Lo natural fu sempre senza errore;
Ma l'altro puote errar per malo obbietto,
O per troppo, o per poco di vigore.
Mentre ch' egli è ne' primi ben diretto,
E ne' secondi sé stesso misura,

Esser non può cagion di mal diletto;
Ma quando al mal si torce, o con più cura,
O con men che non dee, corre nel bene,
Contra il Fattore adovra sua fattura.
Quinci comprender puoi, ch' esser conviene
Amor sementa in voi d'ogni virtute,
E d'ogni operazion che merta pene. »
Purgatorio, canto XVII, v. 91.

Questo amore però non è nato insieme con l'uomo: a più alta, anzi ad eterna cagione l'origine sua appartiene. E qui pure la sentenza platonica, e la dantesca muovono insieme di pari passo. Venendo dimostrato per esse, come nell' anima umana siano principii ed idee non derivate dall' esterne impressioni, ma poste in essa dal suo creatore. Dottrina conforme a quella degl' Italiani sapienti, i quali restaurando la nostra filosofia la sottrassero alla servitù del sensismo. Vedasi con quanta poetica grazia ella sia espressa dall'Alighieri:

<< Ogni forma sustanzial, che setta

È da materia, ed è con lei unita,
Specifica virtude ha in sé colletta,
La qual senza operar non è sentita,
Ne si dimostra ma che per effetto,
Come per verdi fronde in pianta vita.
Però, là onde vegna lo intelletto

Delle prime notizie, uomo non sape,
E de' primi appetibili l'affetto,
Che sono in voi, si come studio in ape
Di far lo mèle ..

Ed anche più apertamente appresso:
Innata v'è la virtù che consiglia,

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Per questa virtù egli intende la ragione, e chiamala innata, per essere in lei impresse da Dio le idee. pertinenti al verò, al buono, ed al bello, le quali ove non siano oscurate nell' uomo dalla ignoranza, e dalle passioni, gli sono luce nella condotta della sua vita, gli mostrano le leggi dell'arte, gli fanno distinguere la verità dall' errore.

Avendo adunque avuto l'anima nostra da Dio le idee, che poi saranno regolatrici delle sue interne potenze, e de' suoi costumi, ella ha pure da lui ingenita inclinazione verso le cose, che sembrandole buone, o belle, e con ciò promettendole il godimento del piacere desiderato, risvegliano in lei l'amore verso di quello, il quale già in essa fu acceso in cielo. Quale, poeta ha mai trovato più soave e graziosa immagine di questa, con cui l' Alighieri significa la tendenza dell'uomo verso il piacere:

<< Esce di mano a lui, che la vagheggia 1

Prima che sia, a guisa di fanciulla,

'Dante era sempre poeta, anche nello scrivere in prosa. Eccone la prova nel modo col quale con altra immagine ha espresso il concetto stesso: << E siccome peregrino, che va per una via per la quale mai non fu, che ogni >> casa, che da lungi vede, crede che sia l'albergo, e non trovando ciò essere, » dirizza la credenza all' altra, e così di casa in casa, tanto, che all' albergo » viene: così l'anima nostra, incontanente, che nel nuovo e mai non fatto >> cammino di questa vita, entra, dirizza gli occhi al termine del suo sommo » bene, e però qualunque cosa vede, che paia avere in se alcun bene, crede >> che sia esso. E perchè la sua conoscenza prima è imperfetta, per non es>> sere sperta nè dottrinata, piccoli beni le paiono grandi, e però quelli co» mincia prima a desiderare. » — Convito, Tratt. IV.

VOL. I.

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