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tisti, e poeti grandi, siccome aveva liberi cittadini, e prodi guerrieri.

Quegli che dall'evento vuol giudicare delle Crociate o in esse guarda soltanto ciò che alla condotta degli eserciti, e all'arte di vincere le battaglie si riferisce, non può tenersi dal biasimarle, essendone stato il principio senza prudenza, e il fine assai doloroso, per tacere delle crudeltà inaudite commesse dai Crociati contro gli Ebrei, e dei pericoli, ai quali quelli si esposero per cieco ardore, e per ignoranza. Ma chiunque crede manifestarsi il voler d'Iddio negli avvenimenti che turbano, sconvolgono, mettono in moto nazioni intere, quasi per impulso di occulta forza, e contro la previsione del senno umano, giudica, che l'impresa delle Crociate fu in beneficio di tutta cristianità. Conciossiachè se l' Europa non si fosse sull' Asia precipitata, i Turchi avrebbero esteso nell' occidente il loro dominio, essendo allora assai potenti sull' armi, e spinti da fanatica intolleranza a spegnere ogni altra fede, che dalla loro fosse diversa. Onde noi saremmo caduti in una barbarie assai più tremenda, che non fu quella in cui rovinammo per opera dei Longobardi, e dei Goti. I quali rozzissimi e crudelissimi avevano però quasi i semi delle virtù, che fanno i popoli grandi, tenendo in pregio la castità nelle donne, magnificando il coraggio, ed essendo sdegnosi di servitù. Per lo contrario con la dottrina di Maometto i Turchi ci avriano recato la poligamia, e il fatalismo: morte quella dell' amore, e della concordia nelle famiglie: questo dell' interna forza nell' uomo, della libertà nello Stato. Onde se il Corano avesse vinto il Vangelo, Italia e Francia con tutte le terre dell'occidente avriano

avuta la stessa sorte dell' Asia, in cui con la servitù si vede la barbarie perpetuare, nulla giovandole il suo bel cielo, nè la fertilezza del suo terreno, nè tanti altri doni a lei fatti dalla natura.

Essendo adunque la vittoria della verità sull'errore effetto immediato delle Crociate non è da tacere di altri beni, che pur ne vennero. Perchè i popoli dell' Europa uscendo dalle loro contrade, ove si stavano gli uni agli altri del tutto ignoti, cominciarono a riconoscersi per fratelli, e visitando paesi, ne' quali alcun segno dell'antica grandezza ancor si vedeva, ebbero a poco a poco in fastidio la loro selvaggia vita, sicchè deposta dopo alcun tempo la nativa rusticità presero nuovi modi, e novelle usanze. Oltre a ciò Venezia, Genova e Pisa accumularono allora grandi ricchezze: perchè dando a nolo le loro navi ai principi ed ai baroni, che volevano passare in oriente, e su quelle poi riportando assai care merci, per gli accresciuti guadagni, vennero in grande potenza, e riputazione. Nè a distruggere gli ordini feudali poco contribuirono le Crociate. Chè, lontani i loro signori, gli abitanti delle città presero cuore a scoterne il giogo, ovvero da essi, impoveriti dalle lunghe e continue spese, ricomperarono con denari la loro franchigia. Tornando poi gl'Italiani alle loro terre vollero abbellirle pressochè al modo di Costantinopoli, di Antiochia, e di altre città dell'Asia; ed essendosi fatti più coraggiosi per i pericoli vinti, e per la dura vita menata in Siria, divennero più pronti, che già non erano, a conquistare, o a mantenere la libertà loro, e quindi a nobilitarla con le arti, e con la sapienza.

Come i Romani riportarono dalla Sicilia, e poi dalla

Grecia, le spoglie della civiltà e della industria, così i Crociati recarono dall'oriente codici antichi, e alcune delle opere di Aristotile. Il quale già commentato dagli Arabi, venne allora tradotto in latino, ed anche nelle. nuove favelle che cominciavano in Europa a formarsi con fisse leggi; onde qualunque studiasse allora in filosofia seguiva le sue dottrine, benchè fossero in molte parti falsate dalle arguzie degli scolastici.

Qui è buono di ricordare, siccome nel medio evo la teologia e la filosofia. fossero termine fisso a tutti gli studi, e come questa si dividesse in due scuole, l' una delle quali instituita da sant' Anselmo si chiamava dei realisti, e l'altra ch'ebbe forma dalle opere di Roscellino e di Abelardo, fu detta de' nominali. Idealista la prima, sensualista fu la seconda, ambedue cagioni di acerrime controversie. Poi surse la scuola de' mistici; e perchè le sue dottrine non eran fatte per appagare gl' ingegni amanti di chiare dimostrazioni, cominciò allora a nascere il dubbio, e a metter radice lo scetticismo. Onde nel medio evo, siccome un tempo in oriente e in Grecia, la mente umana si mise per le quattro diverse vie, che si aprono innanzi a lei, allorchè muove alla ricerca del vero.

Non dirò quanto facessero Alberto Magno e Rogero Bacone per ampliare le filosofiche discipline, essendo il campo del mio discorso ristretto entro ai confini d' Italia. Ma non potrei senza ingratitudine qui tacere i gloriosi nomi di san Bonaventura e di san Tommaso. Mirabili per altezza d'ingegno non meno che per vastità di dottrina essi posero il principio della scienza in Dio, e nelle verità assolute da lui derivanti, siccome da loro.

propria cagione. Onde chi sa, essere nella filosofia ontologica lo stabile fondamento della morale, il quale posa sul falso in tutti i sistemi, che troppo danno alla sensazione, nulla all'intuito, ed alle idee in noi raggianti dal lume eterno, ringrazia i padri della italiana filosofia, non solo perchè ci hanno in astratto mostrata l'essenza ed il principio del vero, ma perchè ci hanno insegnato, quale sia la ragione del buono, quale il fine supremo del viver nostro. Conciossiachè la dottrina di san Tommaso quantunque sia metafisica in molte parti, sempre mira alla pratica applicazione delle sue teorie, e nel suo vastissimo giro abbraccia Dio, l' uomo, gli uffici della vita civile, e i diversi doveri a lei pertinenti. Onde vi si scorge riflessa mirabilmente la natura dell' ingegno italiano, che proprio allo speculáre, acuto nelle astrazioni, è poi portato da innata forza a mettere in atto ciò che nella meditazione avea contemplato. E perchè in esso la poetica inspirazione è pur da natura, onde la forza fantastica vi dà forma e rilievo, e colore alle pure idee, la filosofia non ebbe a desiderare chi degnamente di lei cantasse.

In tutti i popoli antichi fiorirono i poeti prima dei filosofi e questo avvenne per necessaria cagione. Essendochè nelle genti nuove abbonda l'affetto, la potenza immaginativa è molto gagliarda, e per converso le altre facoltà intellettive non hanno ancora il vigore che si richiede per indagare l'essenza, e la cagione intrinseca delle cose, e per sollevarsi dalle idee particolari alle universali. Nella Italia del medio evo filosofia e poesia andarono insieme, onde il più grande de' suoi poeti, fu grandissimo ancora come filosofo, non solo per

la sovrumana forza del suo intelletto, ma si per la natura della cattolica religione, che avendo efficacia più nello spirito che ne' sensi, dispone l'uomo al meditar solitario, e mette in lui attitudine meravigliosa alle opere del pensiero. Certo a ricevere nella mente i suoi benefici effetti con perfezione, si richiede grandezza d'ingegno, perseveranza di studi, ardore di sentimento, e tutte in somma le parti che formano l'animo del filosofo e del poeta. Nè io qui dico che Dante fu così grande soltanto perchè fu cristiano; dico però che le dottrine di Gesù Cristo aggiunsero forza nuova alla mente sua, e che per esse ei fece assai più di quello che avrebbe fatto, se privo egli fosse stato del lume loro. Onde come nella maestosa fierezza della sua lingua si scorge l'indole de' suoi tempi, così nella sublimità paurosa de' suoi concetti vedesi quella della fede da lui seguita. La religione pertanto ci diede una poesia originale, più grande assai dell'antica; e perchè nel pensare, nello scrivere e nel comporre, ora noi non prendiamo norma da essa, ci son mancati ad un tratto i buoni artisti e i buoni poeti.

Di queste cose non parlerei, se non scrivessi per chi prende a educare i giovani ingegni, o per quanti vogliono da se stessi l'educazione loro rifare in meglio. Intendasi adunque, che siccome non avremo noi libertà senza religione, da Dio venendo le ragioni del giusto imperio e del dignitoso ubbidire, così non avremo senza di quella grandi scrittori. È legge inviolabile di natura, che ogni cosa a portare i dovuti effetti, debba mantenersi conforme al principio suo. Ora il principio delle società moderne essendo nel cristianesimo, ne risulta

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