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molta pompa in varie città d'Italia. E benchè la guerra, se mova da civili discordie, e da tirannica avidità di dominio, sia contraria alle leggi dell' Evangelo, pure gli antichi, quasi volessero stoltamente santificarla, portavano in battaglia il carroccio, e sopra esso l'immagine del Salvatore confitto in croce. Ah come non caddero loro di mano l'armi fraterne alla vista di quello, che perdonando morì, ed a noi tutti insegnò il perdono? Ah come innanzi alla croce non ricordarono ch' egli già venne al mondo a darne la pace, e che la pace ei ci lasciò al suo partire? Infelici! Erano cristiani di nome e di fantasia, non di cuore, nè di ragione e noi posteri sventurati portiamo la pena de' falli loro.

Ma non sempre la santità della croce fu empiamente violata dai padri nostri. Spesso ai prieghi di un umile fraticello, che spingendosi tra le schiere dei combattenti quella innalzava in mezzo alle aste e ai volanti dardi, furono visti ammollirsi feroci sdegni, e la pietà e il pentimento succedere all' ira ed alla vendetta. Che dirò delle processioni fatte da popoli innumerevoli, che in abito ed in contegno di penitenza si flagellavano duramente a placare Iddio? Che di coloro i quali o si racchiudevano in erme grotte per contemplarvi le verità celestiali, o pativano volentieri ogni aspra mortificazione, per dare buono esempio di se alla gente, e spegnere in essa la superbia con l'umiltà? A tener vivi i pensieri e gli affetti di religione molto giovarono gli Ordini di san Francesco e di san Domenico, instituiti quando più v'era bisogno di combatter gli errori degli Albigesi, e di ricondurre alla mansuetudine e alla

carità gli uomini ebbri di sangue, dispregiatori d'ogni diritto, che sopra la forza non si fondasse.

Certo al vedere il penitente di Assisi andarsene scalzo, vestito di grossi panni, soccorrere pietosamente gl' infermi, rendere onore alla povertà, e invitar, gli uomini con gli esempi, e con le parole all' annegazione, alla pazienza, all' amore doveva destarsi in tutti il rispetto delle virtù, che la ferocia de' tempi faceva allora tenere a vile. E dal sapere, ch' egli menando la vita in mezzo alle selve, facendosi casa delle montane spelonche, e letto dei duri scogli, alle colombe, alle pecorelle, agli alberi ed alle rupi con cara semplicità di Dio favellava, tutto per forza di celestiale fervore rapito in Dio, chi poteva negare la sovrumana virtù della religione, mentre ne aveva dinanzi agli occhi sì chiare prove? E chi non l'avrebbe amata allorquando un uomo di costumi tanto innocenti e di così austeri ne insinuava in tutti l'amore?

Da ciò che abbiamo discorso rimane aperto, avere avuto la religione nel secolo x grandissima autorità sulla civil comunanza: però non è meraviglia se l'Alighieri di lei cantasse, e se il suo ingegno prendesse forma da lei. Ora vedremo quale effetto avesse su questo la condizione politica dell' Italia, e come le passioni dell' età sua gli accendessero il cuore e la fantasia.

Tempi di virtù ardite e forti furono quelli, che successero alla lega di Pontida, e alla battaglia dai nostri vinta a Legnano. Ebbero però corta vita. Chè sorgendo tra i popolani contese e gare, e l'ambizione dei nobili non tenendosi paga all' autorità concessa loro da giuste leggi, fu in breve discordia e guerra tra gli ordini vari

dei cittadini. E ciò nella Lombardia avvenne prima che altrove, sì che molti per desiderio di signoria rivolsero contro la libertà quel potere che loro era stato concesso alla sua difesa, da consoli o da potestà facendosi con male arti tiranni. Di questi Ezzellino fu il più crudele. Non altro fuori del volto era in lui d'umano: parea leone che si scagliasse affamato su gregge imbelle godeva del sangue sparso da lui; e benchè le uccisioni e i tormenti col ferro e col fuoco a spegnere i suoi nemici moltiplicasse, non mai era sazia la sua ferocia. Il papa gli bandì la crociata contro; giustissima e santa guerra ad empio ladrone. L'arcivescovo di Ravenna condusse le schiere de'collegati, e il vessillo della croce li precedeva. Ma giovò poco che quello fosse sconfitto a Cassano, e che acciecato dal suo bestiale furore da se stesso troncasse rabbiosamente la sozza vita, se ogni ambizioso trovò nelle terre di Lombardia materia disposta a patire la servitù. Perchè le sette de' Guelfi e de' Ghibellini essendo venute in Italia dalla Germania vi recarono sdegni crudeli, ed odii tremendi; onde i cittadini con quell' ardore con cui avrebbero dovuto studiarsi di mantenere la pubblica libertà, si travagliavano a spegnerla ponendosi nella balìa di chiunque opprimesse la parte avversa alla loro. Da questo avvenne, che prima i Torriani, poscia i Visconti presero con varia fortuna dominio sopra Milano: Verona stette all' obbedienza degli Scaligeri; Ferrara, Reggio e Modena degli Estensi; i Signori da Correggio ressero Parma, Rimini i Malatesta, quei da Polenta Ravenna, e Bologna divisa tra le fazioni de' Lambertazzi e de' Geremei ora fu guelfa ed or ghibellina.

Ripensando con quale animo, con quale costanza, con qual valore le città collegate di Lombardia difendessero la libertà loro contro le armi di Federigo di Svevia, ci sembra inesplicabile cosa, che quella si lasciassero poi rapire da uomini più ambiziosi che grandi, più astuti che generosi, inalzati al sommo potere non da propria loro virtù, ma dalla forza, dalla fortuna, o più veramente dalle cieche passioni altrui. Perocchè in mezzo alle ire di parte niuno mai godeva di pace, o di sicurtà erano munite fortezze tutti i palagi: ivi asserragliate le vie, là popolo che feroce correva all' armi: in ogni luogo rapine, incendi, uccisioni: oggi condannato all'esilio chi ieri agli altri dettava legge la virtù divenuta segno all'invidia, alla cupidità la ricchezza : niuna riverenza, niun ricordo di meriti antichi nè di recenti. L'odio formava i popolari giudizi: l'odio spingeva le moltitudini alla vendetta: l'odio nella servitù. le precipitava. Qual meraviglia che gli uomini quieti d' indole e insofferenti di quel tempestoso tumultuare si accomodassero volentieri alla obbedienza di un solo, sperando di averne pace per libertà? O che i faziosi amassero meglio avere un tiranno, che sottostare alla setta loro nemica ?

Per queste cagioni nell' Italia di mezzo l'ordine de' Comuni fu spento, o solo l'apparenza ed il nome ve ne rimase. A tener vive le parti fra gl' Italiani molto eziandio contribuirono gl' imperatori. Perchè sapendo che non avrebbero mai potuto fermare quietamente in Italia il loro dominio, se quella fosse rimasa unita, cercarono d'indebolirla con le fazioni. Però a se tirando i nobili e i popolani grandi d'ogni città, i quali ne pren

devano il nome di Ghibellini, li volgevano contro l'ordine popolare, cioè contro la parte guelfa, che allora fu veramente parte italiana. E benchè il Barbarossa fugato dalle armi nostre uscisse çon grande vergogna da quella impresa, che con tanta superbia avea cominciata, pure Federigo II, di lui nipote, ne seguitò con molto ardire l'esempio. Anzi, siccome principe di grande animo, e di smisurata ambizione oltre al volere farsi òbbediente la Lombardia, tentò d'imperare sulla Toscana; e non essendogli poi riuscito il suo desiderio vi seminò tanti scandali e tante risse, che fu nel futuro cagione della rovina non pur di quella, ma sì d'Italia. Nella quale voleva aver signoria non solo per le ragioni, che dopo i tempi di Carlo Magno gl'imperatori pretendevano avere sopra di lei, ma perchè avendo ereditato il reame di Napoli e di Sicilia dalla sua madre Costanza, ultima della stirpe dei re normanni, desiderava di estendere su tutta quanta l'Italia l'autorità che aveva in una delle sue parti. E perchè fu dai romani pontefici principalmente, che l'ambizioso disegno di Federico non avesse il voluto effetto, parmi sia questo il luogo da dire in breve quello ch'essi facessero al tempo di che scriviamo, ora in beneficio, ora in danno della libertà e dell'Italia. Nè perchè la verità mi costringa a riprendere alcuna volta le azioni loro, quando dalla giustizia si allontanarono, dovrò essere accusata d'irriverenza verso la più augusta dignità che sia in terra. Uomini furono anche i pontefici allorchè di umane cose trattarono a noi cattolici basti che rimanessero impeccabili sempre nelle divine. Onde il papa in quanto egli è sacerdote non incorre nel biasimo alcune volte dal papa

VOL. I.

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