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siccome ad altra persona: e non solamente sono parole d'Orazio; ma dicele quasi medio del buono Omero, quivi nella sua Poetria: Dic mihi, Musa, virum etc. Per Ovidio parla Amore, come se fosse persona umana, nel principio del Libro di Rimedio d'Amore quivi: Bella mihi video, bella parantur, ait. E per questo puote essere manifesto a chi dubita in alcuna parte di questo mio libello. Ed acciocchè non ne pigli alcuna baldanza persona grossa, dico che nè li poeti parlano così senza ragione; nè que' che rimano deono così parlare, non avendo alcuno ragionamento in loro di quello che dicono; perocchè grande vergogna sarebbe a colui che rimasse cosa sotto veste di figura o di colore rettorico, e poi domandato non sapesse dinudare le sue parole da cotal vesta, in guisa ch'avessero verace intendimento. E questo mio primo amico ed io ne sapemo bene di quelli che così rimano stoltamente.

§ XXVI.

Cresciuta in fama la beltà di Beatrice, fanno tutti a prova per veder lei; e Dante spiega in un sonetto quanto onesto e maraviglioso piacere ne procedeva in altrui.

Questa gentilissima donna, di cui ragionato è nelle precedenti parole, venne in tanta grazia delle genti, che quando passava per via, le persone correano per vederla; onde mirabile letizia me ne giugnea: e quando ella fosse presso ad alcuno, tanta onestà venía nel core di quello, ch'egli non ardiva di levare gli occhi, nè di rispondere al suo saluto; e di questo molti, siccorne esperti, mi potrebbono testimoniare a chi nol credesse. Ella coronata e vestita d'umiltà s'andava, nulla gloria mostrando di ciò ch'ella vedeva ed udiva. Dicevano molti, poichè passata era: « Questa non è femina, anzi è uno de' bellissimi Angeli del cielo. » Ed altri dicevano: « Questa è una maraviglia! Che be

nedetto sia lo Signore, che si mirabilmente sa operare! Io dico ch'ella si mostrava si gentile e si piena di tutti i piaceri, che quelli che la miravano, comprendevano in loro una dolcezza onesta e soave tanto, che ridire nol sapevano; nè alcuno era il quale potesse mirar lei, che nel principio non gli convenisse sospirare. Queste e più mirabili cose da lei procedeano mirabilmente e virtuosamente. Ond'io, pensando a ciò, volendo ripigliare lo stile della sua loda, proposi di dire parole nelle quali dessi ad intendere delle sue mirabili ed eccellenti operazioni; acciocchè non pure coloro che la poteano sensibilmente vedere, ma gli altri sapessono di lei quello che per le parole ne posso fare intendere. Ed allora dissi questo sonetto:

Tanto gentile e tanto onesta pare

La donna mia, quand' ella altrui saluta,
Ch' ogni lingua divien tremando muta,
E gli occhi non ardiscon di guardare!
Essa sen va, sentendosi laudare,

Benignamente d'umiltà vestuta:
E par che sia una cosa venuta
Di cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrasi si piacente a chi la mira,

Che dà per gli occhi una dolcezza al core,
Che intender non la può chi non la prova,

E par che della sua labbia si muova

Uno spirito soave e pien d'amore,
Che va dicendo all'anima: sospira!

§ XXVII.

Aggiunge in altro sonetto, che la beltà di Beatrice, lunge dal far onta alla bellezza delle altre, queste ricevano onore dall'andare con lei,

Dico che questa mia donna venne in tanta grazia, che non solamente ella era onorata e laudata, ma per lei erano onorate e laudate molte. Ond' io veggendo ciò, e volendol manifestare a chi ciò non vedea, proposi anche di dire parole nelle quali ciò fosse significato; e dissi questo sonetto, che comincia: Vede per

fettamente, lo quale narra come la sua virtù adoperava nelle altre.

Vede perfettamente ogni salute

Chi la mia donna fra le donne vede,
Quelle che van con lei, sono tenute
Di bella grazia a Dio render mercede.
E sua beltate è di tanta virtute

Che nulla invidia all' altre ne procede;
Anzi le face andar seco vestute
Di gentilezza, d'amore e di fede.
La vista sua face ogni cosa umile,
E non fa sola sè parer piacente,
Ma ciascuna per lei riceve onore.
Ed è negli atti suoi tanto gentile,
Che nessun la si può recare a mente,
Che non sospiri in dolcezza d'amore.

§ XXVIII.

Ma pensando Dante non essere sufficienti le lodi dette di lei nelli due sonetti ultimi, mette mano ad una canzone, che meglio dichiari il potere in lui della virtù di Beatrice.

Appresso ciò, cominciai a pensare un giorno sopra quello che detto avea della mia donna, cioè in questi due sonetti precedenti; e veggendo nel mio pensiero ch'io non avea detto di quello che al presente tempo adoperava in me, parvemi difettivamente aver parlato: e però proposi di dire parole, nelle quali io dicessi come mi parea esser disposto alla sua operazione, e come operava in me la sua virtude; e non credendo ciò poter narrare in brevità di sonetto, cominciai allora una canzone la quale comincia:

Si lungamente m' ha tenuto Amore,
E costumato alla sua signoria,
Che si com' egli m'era forte in pria,
Così mi sta soave ora nel core.
Però quando mi toglie sì il valore,
Che gli spiriti par che fuggan via,
Allor sente la frale anima mia

Tanta dolcezza, chè 'l viso ne smuore.
Poi prende Amore in me tan'a virtute,
Che fa li miei sospiri gir parlando;
Ed escon fuor chiamando

La donna mia per darmi più salute.
Questo m' avviene ovunque ella mi vede:
E si è cosa umil; che non si crede.

PARTE SECONDA

§ XXIX.

E' n'aveva composta la stanza prima, quando accadde chè Beatrice se n'andò al cielo per morte; e mostrato come a lui non convengasi trattare di questa, entra a dire per quali ragioni il numero nove abbia potuto aver luogo più volte nel raccontare di lei.

Quomodo sola sedet civitas plena populo? facta est quasi vidua domina gentium. Io era nel proponimento ancora di questa canzone, e compiuta n'avea questa soprascritta stanza, quando il Signore della giustizia chiamò questa gentilissima a gloriare sotto la insegna di quella reina benedetta Maria, lo cui nome fu in grandissima reverenza nelle parole di questa Beatrice beata. Ed avvegnachè forse piacerebbe al presente trattare alquanto della sua partita da noi, non è mio intendimento di trattarne qui, per tre ragioni. La prima, che ciò non è del presente proposito, se volemo guardare il proemio che precede questo libello. La seconda si è che, posto che fosse del presente proposito ancora non sarebbe sufficiente la mia penna a trattare, come si converrebbe, di ciò. La terza si è che, posto che fosse l'uno e l'altro, non è convenevole a trattare di ciò, per quello che trattando mi converrebbe essere laudatare di me medesimo; la qual cosa è al postulto biasimevole a chi 'l fa; e però lascio cotale trattato ad altro chiosatore. Tuttavia, perocchè molte volte il numero del nove ha preso luogo tra le parole dinanzi, onde pare che sia non senza

La Vita nuova.

ragione; e nella sua partita cotal numero pare che avesse molto luogo; conviensi qui dire alcuna cosa, acciocchè pare al proposito convenirsi. Onde prima dirò come ebbe luogo nella sua partita, e poi ne segnerò alcuna ragione, perchè questo numero fu a lei cotanto amico.

§ XXX.

Nota che Beatrice morì nella prima ora del giorno nove di giugno (ch'è il nono mese dell'anno Siriaco) dell'anno 1290, cioè nella diecina nona del secolo XIII in cui era nata. E ciò dice avvenuto per questo, che si erano perfettamente accordati nella sua generazione i cieli, che secondo Tolomeo sono nove: e che come il tre è numero fattore del nove, così è da credere la mirabile Trinità abbia voluto esser radice del nove, cioè del miracolo di bellezza che fu Beatrice.

Io dico che, secondo l'usanza d'Italia, l'anima sua nobilissima si partì nella prima ora del nono giorno del mese; e, secondo l'usanza di Siria, ella si parti nel nono mese dell'anno perchè il primo mese è ivi Tismin, il quale a noi è ottobre. E, secondo l'usanza nostra, ella si partì in quello anno della nostra indizione, cioè degli anni Domini, in cui il perfetto numero nove volte era compiuto in quel centinaio nel quale in questo mondo ella fu posta; ed ella fu dei Cristiani del terzo decimo continaio. Perchè questo numero le fosse tanto amico, questa potrebb'essere una ragione: conciossiacosachè, secondo Tolomeo e secondo la cristiana verità, nove siano li cieli che si muovono, e, secondo comune opinione astrologica, li detti cieli adoperino quaggiù, secondo la loro abitudine, insieme; questo numero fu amico di lei, per dare ad intendere che nella sua generazione tutti e nove li mobili cieli perfettissimamente s'aveano insieme. Questa è una ragione di ciò; ma più sottilmente pensando, e secondo la infallibile verità, que

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