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che per gli argomenti di Catelina e per le cave che si feciono, la fortezza non ruinasse. E ancora Centurione, veggendosi male parato, gli convenne rendere Teverina alla reina. E perocchè per la difesa che Centurione fece, fu ferito quasi a morte, renduta la donzella, Centurione fu fatto guarire delle sue ferite. E pregò Teverina la sua madre che a detto Centurione non fosse fatto male: però, mentre fui in suo potere, sempre s'indovinava di fare tutte le cose mi piacessono; e per questo la reina fece perdonare a Centurione. E guarito in tutto si gettò inginocchioni innanzi la reina, e disse: Madonna, che mi comandate ch'io faccia? Disse la reina: Che tu ti parti stanotte di questa città per modo che Catelina nol sappia. E così fu fatto: e la reina l'accompagnò infino alla porta; e disse alla reina : Non aprite ancora. E gittossi a terra del cavallo piangendo inginocchione con molta riverenza, pregandola per misericordia con pietoso lamento, ricordandogli l'onore el piacere ch`avea fatto a Teverina sua figliuola: ond' io vi prego in servigio di grande dono, che voi la mi mostriate innanzi ch'io vada; forse mai non ci rivedremo più. E la reina ne venne pietosa, e donògli cavalli e arnesi, con che ne potesse andare : e tornò al palazzo, e disse con Teverina le parole a lei dette, e ella rispose: Madre, io sono al vostro volere, però mi pare gli dobbiate fare ricordo per gli servigj fatti a me. Allora la reina menò seco la donzella, e furono alla porta, e la reina gli diede una bella spada, la quale dovesse portare per amor della donzella: e fatto questo si fece aprire la porta e fece grande scomiatata dalla reina, e poi si volse alla donzella, e disse: Per mia consolazione ti priego mi tocchi la mano. La donzella distese la mano con tutto il braccio, e il Centurione la prese francamente, e gittòllasi dinanzi in sul cavallo, e va per gli fatti suoi. Allora la reina cominciò il maggiore lamento che mai s'udisse; e a questo pianto si levarono e trassono molte persone fiesolane, e Catelina vi venne con tutta la sua baronia, e trovarono la reina tramortita; portaronla nella sua camera, e Catelina pregava la reina teneramente che gli dovesse dire il suo lamento, e la reina di dolore nol potea dire; e pure in fine il disse. Quando Catelina seppe che Centurione n`avea portata Teverina, fu il più doloroso che mai fusse nessuno, e la reina per lo dolore l'avea tanto penato a dire, che Centurione s'era già dilungato dieci miglia o più. E incontanente Catelina montò a cavallo in compagnia di mille cavalieri e dumila pedoni, perseguitando il detto Centurione: e egli fuggi continuo a sproni battuti, tanto che ricoverò nel castello di

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Nalde. E quivi Catelina si puose all'assedio, e mandò a Fiesole per quindici milizie di pedoni,' e stettevi due anni e uno mese e sette di ad assedio. E quivi stando, i Romani il seppono, e partironsi da Roma, e vennono ad assedio a Fiesole. E per quella cagione Catelina si parti dal castello dov'era Centurione, e tornò a Fiesole prima che i Romani l'assediassono, e afforzò la città di ciò che fece loro bisogno alla difesa contro a' Romani.

LEGGENDE CAVALLERESCHE.

Quelle che Dante chiama le bellissime favole di Artù, comprendono particolarmente la narrazione delle imprese e degli amori di esso Artù, di Lancillotto e di Tristano, intorno ai quali si raggruppano dame e cavalieri e incantatori e giganti e fate. Chi volesse conoscere tutte coteste narrazioni, che si diramarono in numero grandissimo di romanzi e di poemi, e in Francia ove nacquero e fuori di Francia, può vedere l'opera di PAULIN PARIS, Les romans de la Table Ronde, mis en nouveau langage etc. Paris, Techener, 1868-77, 5 vol., e il vol. XXX della Hist. littéraire de la France. Un compendio di tutti i racconti di questo ciclo fece in lingua francese, verso il 1270, un italiano, Rusticiano da Pisa, giovandosi di un manoscritto posseduto dal re Eduardo d' Inghilterra; e la sua compilazione incontrò il favore della culta società, cui specialmente dilettavano queste avventure di galanteria e d'armi, e fu fondamento alle varie traduzioni che se ne fecero in italiano ed in altre lingue. Un volgarizzamento della fine del sec. XIII è il Tristano che presto pubblicherà il prof. E. G. PARODI: ma è pur anche del dugento, o di appena entrato il secolo appresso, il bel testo pubbl. da F. L. POLIDORI, di sul cod. Laurenziano, XLIV, 27: La Tavola ritonda o l'Istoria di Tristano, Bologna, Romagnoli, 1864. Un secondo vol., pubbl. nel 1866, contiene lo Spoglio filologico e brani di altri codici.

Prime imprese di Tristano. Gli maestri delle storie pongono, che dimorando Tristano nella corte dello re Marco, egli non dimorò grande tempo, che lo Amoroldo di Irlanda fece raunare a Londres, sua città, grande moltitudine di cavalieri e di pedoni, dicendo in fra gli suoi baroni: Signori, voi sapete che per ambasciata che io mandata aggia allo re Marco di Cornovaglia, egli ancor non s'è mosso a mandarmi lo tributo, lo quale pagare mi dee per nove anni passati; e ciò addiviene perch' egli mi tiene a vile e non

1 Mandò a prendere ec.

si cura di me. Imperò io sono fermo di passare il mare, e d'essere in quello reame, e porvi assedio alla città di Tintoille, e mai non me ne partire sanza lo detto tributo raddoppiato. E gli baroni suoi s'accordano a ciò. Allora eglino s'acconciano di biscotti e di cervogia, e di navi e di galee e di legni; e fa sonare le trombe e nacchere e cennamelle, e dare nelle campane a martello; e tutta la gente allora montano sulli navilj, i quali furono per numero trenta milia sette cento cavalieri e sessanta milia pedoni. E appresso danno alle vele. E lo tempo fu buono; sicchè per la potenzia di scirocco, in sedici giorni furono allo porto di Cornovaglia a Tintuille. E allora tutta la gente dismonta delle navi, e attendârsi alla marina, presso alla città a mezza lega. E appresso, l'Amoroldo chiamò a sè due grandi baroni, e mandogli allo re Marco per ambasciadori; e sì gli comandò, che di lì a trenta giorni dovesse avere pagato lo tributo raddoppiato, lo quale egli dovea pagare per nove anni passati, sotto pena della metà di loro persone. Ed essendo gli due cavalieri dinanzi allo re Marco, contarono e dispuosoro loro ambasciata; e lo re di tale novella fu lo più tristo signore del mondo; e tutti gli baroni mostravano grande doglienza. E Tristano, vedendo la corte tutta così turbata, fassene di ciò grande maraviglia, e domanda allora uno antico cavaliere, dicendo: Onde è venuto tanto dolore, così novellamente? E lo cavaliere conta a Tristano tutto lo convenente, si come lo re Felice gli avea sottomessi a quello d'Irlanda; e si come Amoroldo era venuto per lo tributo, lo quale dovea ricevere di nove anni. E Tristano disse: Debbelo egli avere ragionevolemente? E lo cavaliere disse: Niuna ragione ne assegna se non la sua grande possanza; però ch'elli si è uno delli più prodi cavalieri del mondo, e ha sotto di sè uno possente e grande reame, e cogli migliori cavalieri del mondo. E Tristano disse: Sire cavaliere, da poi che lo Amoroldo non ha diritta ragione, come non si difende per battaglia? Già ci veggio io tanti cavalieri in questo reame, e tanta bella gente e grande baronia e grandi ricchezze. E l'antico cavaliere disse: Ora sacciate certanamente, che 'n tutto lo reame di Cornovaglia non è cavaliere tanto ardito, che contro a l'Amoroldo entrasse in campo per tutto l'oro del mondo. Ma non voglio dire uno solo cavaliere; ma se fussero trenta, non potrebbero la battaglia in verso di lui solo: imperò che lo Amoroldo è uno degli più pro' cavalieri del mondo, e sì è cavaliere errante, e per sua prodezza egli è stato nello collegio degli cavalieri della Tavola Ritonda. E Tristano disse: Da poi che Iddio v' ha fatti tanti vili, che non vi vogliate della

1 Esposero.

Tutto il fatto ne' suoi particolari.

3 Come non ci difendiamo da lui colle armi?

Non varrebbero, non avrebbero forza e ardire di combattere.

ragione difendere voi medesimi, avete a fare ragione di pagare. E più non disse; se non ch'egli se n'andò davanti a Governale, dicendo: Maestro, lo Amoroldo d'Irlanda, si come voi vedete, addomanda allo re Marco lo tributo; ed emmi detto ched egli non lo debbe avere di ragione, ma per sua grande possanza e ardire; e lo re e' suoi baroni, per loro grande viltade, s'acconciano a pagarlo. Eò inteso che per uno solo cavaliere si puote difendere; sicchè io mi sono fermato di volermi fare cavaliere, e di volere contrastare lo detto tributo; non per amore della vile gente di questo reame, ma per amore del mio lignaggio. E Governale disse: Oh, come, Tristano, entreresti tu in campo incontro allo Amoroldo, lo quale è uno degli migliori cavalieri del mondo, e voi siete uno giovine fantinello? E Tristano disse: Governale, se lo Amoroldo è prode cavaliere, io vorrei egli fosse ancor migliore; perchè se io sarò vincitore della battaglia egli mi sarebbe vie maggiore onore che s'egli fosse comunale cavaliere. In questa prima battaglia conoscerò io se io debbo valere niente per arme; e se io non debbo esser pro, meglio m'è di morire combattendo con uno franco cavaliere, che di vivere in viltà. E Governale disse: Figliuolo, dappoi che ti piace d'essere cavaliere e di provare tua persona, e a me piace. E a quel punto Tristano se ne va dinanzi allo re Marco, dicendo: Sire, io sono stato nella vostra corte, si come voi sapete: non per tanto 3 ch'io v'abbia servito da domandarvi guiderdone, ma solo per vostra cortesia v'addomando in grazia voi mi facciate cavaliere. E lo re disse: Damigello, elli mi sarebbe molto piaciuto che di ciò voi vi foste indugiato, imperò che ora al presente non sono in tempo di mostrare allegrezza; ma da poi ch'io veggio il vostro volere, io vi farò cavaliere. E tutta quella notte vegghiò Tristano nella grande chiesa, si come era usanza di fare, e di pregare Iddio che gli desse grazia di portare sua cavalleria con giustizia e con leanza e con prođezza; e fu in quella notte accompagnato da molti baroni e cavalieri. E venendo al mattino, e Tristano se ne va nella grande piazza della città; e quivi lo re lo bagna,* e quivi Tristano prese lo giogo e lo nome della cavalleria; cioè, ch'egli s'innobliga d'essere pro', ardito e sicuro, liale e cortese e giusto, e difendere ogni persona menipossente, alla quale fosse fatto alcuna cosa contra ragione; e rinunzia a ogni mercatanzia e arte, o vero sollecitudine la quale appartenesse ad avanzare mondano; e di ciò giura e fànne

1 Fate conto di dover pagare.

2 Un cavaliere come tutti gli altri.

5

3 Non perchè il mio servire meriti premio, ma ec.

Una delle prime cerimonie di chi si facesse cavaliere, era il venir immerso in un simbolico bagno: onde il grado di cavalier bagnato. * Ad acquisti e vantaggi materiali.

sagramento, sì come faceva ogni novello cavaliere. E appresso lo re gli cinse la spada, e diègli la gotata, pregando Dio che gli donasse ardire è prodezza e cortesia, acciò ch' egli vivesse con ragione, con cortesia e con giustizia, che difendesse il dritto dal torto.

Manifesta la vera storia, che essendo Tristano cavaliere, egli dimorò da tre giorni che gli ambasciadori dello Amoroldo tornaron alla corte, dicendo allo re Marco: Sire, come v'apparecchiate voi del fatto dello tributo? Non vi accorgete voi che lo termine è molto brieve?1- E lo re a tali parole non rispondeva, anzi lagrimava fortemente. E niuno altro barone a quella parola non rispondeva; perchè lo tributo era troppo grande, che pagare si doveva. E allora messer Tristano, vedendo che niuno altro barone non rispondea, si si dirizza in piè, dicendo agli ambasciadori: Se gli nostri antecessori hanno pagato nessuno tributo a quegli d'Irlanda, non l'hanno pagato per ragione nè con giustizia, ma annolo pagato per paura, e per forza ch'è stata fatta loro. Si che, domandando l'Amoroldo lo tributo per sua possanza, e non per altra ragione che egli abbia, noi non lo vogliamo pagare, nè osservare la legge antica degli imperadori, che per loro forza e potenza signoreggiavano il mondo; ma osservare vogliam la legge di Dio, al quale piace, non per potenza ma per ragione e per giustizia si posseda, ma non per forza o per rapina, facendo obbligare le genti e' paesi indegnamente. E se lo Amoroldo altro volesse dire, io lo appello alla battaglia, e mostrerògli per forza d'arme, che niuno tributo da noi non debbe ricevere; ma quello il qualegli à avuto per tempo passato, lo debbe ristorare e rendere. E gli ambasciadori dissono: Messere, quello che à detto lo vostro donzello dicelo egli con vostra volontà? E lo re disse: Certo sì. E gli ambasciadori dissono a Tristano: Cavaliere, chi siete voi che contro a l'Amoroldo prendete battaglia? imperò ch'egli non entrerebbe in campo se non contro a cavaliere di legnaggio. E Tristano disse allora : Signori, sacciate che per tale convenente la battaglia non puote già rimanere; chè se l'Amoroldo è cavaliere, e io sono cavaliere; e s'egli è figliuolo di re, e io figlio di re per tale maniera, che lo re Meliadus fue lo mio padre. E a quel punto gli ambasciadori tornarono a l'Amoroldo, e contarongli l'ambasciata: si come uno cavaliere novello volea difendere lo tributo per battaglia. E lo Amoroldo disse: Sed egli è novello cavaliere, io novellamente lo farò morire. E perchè io la battaglia allegramente accetto, sì gli appresenterete da mia parte questa spada, la quale si è la migliore del mondo; e fue da prima dello grande Tartaro, e io la conquistai nelle lontane isole, quando trassi a fine lo grande gigante

È di prossima scadenza.

2 Qualche, alcun tributo.

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