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passògli tutte l'armadure, e cadde in terra morto; e così To lassò e passò via colla spada in mano, e tanti quanti ne giugneva, li lassava quasi che morti, e molti n'ammazzò. A lato a lui giunse maestro Arrigo d'Astinbergo; le cose che faceva, non è da potere narrare. Similemente lo franco conte Aldobrandino da Santa Fiore bene pareva uno leone scatenato a vederlo a le mani con quelli Fiorentini. Veramente poco loro valeva santo Zanobi,1 chè se ne faceva maggiore macello, che non fanno li beccari delle bestie lo venerdi santo. Lo nobile omo e potente messer lo conte Giordano veramente pareva un Ettore, che non fece si gran tagliata de' Greci, come faceva lo conte Giordano di quella gente de' Fiorentini. Lo primo colpo che diè lo conte Giordano, diè al capitano degli Aretini, e disteselo del cavallo morto. Poi come esso faceva e quanti n'uccideva, sarebbe cosa mirabile a narrare. Lo prode e ardito uomo messere Niccolò da Bigozzi speronò lo suo destriere verso de nemici, e scontrossi con uno de' nemici, lo quale messere Niccolò lo feri colla sua lancia, e ferillo molto sconciamente; e quello cosi ferito diè al destriere di messere Niccolò e sì luccise; e subito il detto messere Niccolò fu rimesso a cavallo da compagni; ma egli ne fece grande vendetta d'uomini e di cavagli, chè in quello di n' uccise più di cento colle sue mani.

Essendo la battaglia incominciata, come udito avete, e le grida grandi che facevano le genti de' Sanesi, usci fuore dall' agguato lo valoroso e franco cavaliere messere lo conte da Rasi con tutta la sua gente, ed esso va innanzi per mezza arcata, e viene a ferire per costato, e fu tanta la possanza del suo destriere valoroso, che lo traportò nel mezzo del campo de' Fiorentini; e ivi s'abbatte col capitano generale de' Fiorentini, e abbattèllo del destriere morto in terra; e come fu abbattuto lo capitano de' Fiorentini, di subito furon volte le loro bandiere e gittate per terra; e come quelli valorosi e valenti Tedeschi facevano, e quanti essi n'uccidevano, non è possibile a dire, tant era la moltitudine degli uomini morti e de' cavalli morti e lo molto sangue per terra, che a pena si poteva passare e andare I uno all' altro.

Aviamo detto de' forestieri e di loro grande prodezza; ora vederemo de' cittadini e di loro grande prodezza. Aveva in Siena a quello tempo dugento cavalli, chiamavasi la cavalleria, e in su quelli cavalli erano dugento uomini de'nobili di Siena; a volere dire delle loro prodezze, sarebbe uno lungo parlare. Ma pensa tu che leggi, che essi facevano per loro difensione e della loro città e de' loro parenti, sicchè ognuno di loro valeva per cento, e ognuno faceva con fede e con affetto del valoroso e franco popolo di Siena;

1 Protettore di Firenze.

come essi si sfamavano di quella gente maladetta de' Fiorentini, pensate, e mentre che eglino gli uccidevano dicevano: «Ora mandiamo a terra le mura di Siena! ora venite e pigliate Siena, e fate lo cássaro in Camporeggi!

E mentre gli tagliavano come rape o zucche, come avete udito, quelli uomini antichi e donne, ch'erano rimasti in Siena in compagnia del nostro padre messer lo vescovo avevano tutti vegghiato per tutta la notte nella chiesa del duomo. E come fu fatto di, così cominciarono a andare cercando le chiese di Siena; e di subito come fu levato il sole, uno tamburino era salito in su la torre de' Mariscotti, per lo quale luogo si poteva vedere tutta la nostra gente, e similmente la gente del campo de' Fiorentini; e questo tamburino, imperò che molta gente era ragunata a piè della detta torre, ciò che egli vedeva di fuore della città, con grande voce diceva: E' nostri sono mossi e vanno verso li nemici; » poi diceva: «Ora si muovono i nemici e vengono verso de' nostri ; » e come vedeva, così diceva. Per la quale cosa molti, e per la maggiore parte delle persone che erano a piè della torre, tutti inginocchiati pregavano Iddio e la nostra madre Vergine Maria, che desse a' nostri forza e vigore contra a quelli cani maladetti Fiorentini nostri nemici; poi quello d'in su la torre diceva: « E' nostri anno passato l' Arbia, e salgono dallo lato del poggio; e' nemici salgono dall' altro lato; gridate misericordia; ora sono a le mani co' nemici, ora sono a le mani; la battaglia è grande da ognuna delle parti; pregate Iddio che dia forza e aiuto al popolo di Siena. » Quelli uomini e quelle donne che stavano a piè della torre, stavano colle mani giunte, levate verso il cielo con grande pianto e devozione a pregare Iddio e la nostra madre dolcissima Vergine Maria, che concedesse vittoria al popolo di Siena; e quello tamburino d' in su la torre ciò che vedeva, diceva forte.

La battaglia era grandissima, e maggiore uccisione. Ora pensate che quello che veniva a le mani di quello valoroso popolo di Siena era tutto forato senza alcuna misericordia. La battaglia bastò da la mattina a mezza terza insino a véspero, e in sul véspero si misero quelli svergognati cani Fiorentini e li loro bestiali seguaci in fuga. Quelli che erano rimasti vivi, che erano molti pochi, essendo la grande moltitudine, pensate se ne furono morti ; tutte le strade e' poggi e ogni rigo d'acqua pareva uno grosso fiume di sangue. Allora cresceva la Malena di sangue de' Fiorentini, chè cotanti n'erano morti e di loro amicizia. Come si missero in rotta e in fuga, così quello valoroso popolo di Siena, ch'erano già stanchi, vedendo perdere li loro nemici, tutti si rinfrancâro, e corrono adosso a li loro nemici, e come essi n' ammazzavano, Iddio vel dica.

1 La fortezza.

Ivi non valeva a dire: «Io m'arrendo ; » tutti a tondo andavano al taglio delle spade. Fuvvi uno che aveva nome Gieppo, che con una scure ammazzò de' nemici più di venti, e questo Gieppo era uno, che andava spezzando le legna per Siena a prezzo; ora pensate come facevano quelli prodi cavalieri. Lo macello degli uomini e de' cavalli non si potrebbe dire quanto egli era; e quello che era in sulla torre in Siena, vedeva tutto, e come vedeva, così diceva: «Ora sono i nostri in piazza; ora sono abbattute le bandiere de' Fiorentini, e tutti i Fiorentini sono in rotta; ora i nostri sono vincitori, e' Fiorentini sono rotti e fuggono, e sono sconfitti, e vanno fuggendo per quelle coste; e quello valoroso popolo di Siena sempre li va seguitando ammazzandoli, come s' ammazzano le bestie. >>

Allora quelli pochi de' Lucchesi e degli Aretini ch'erano rimasti, vedendo la grande uccisione che di loro si faceva, subito s'arrecarono da parte e fuggono verso Monte Aperto, e ivi furono tutti presi senza colpo di spada, e s'arrendero a mani salve. Vedendo lo capitano messer lo conte Aldobrandino da Santa Fiore el conte Giordano e gli altri cavalieri lo grande macello d' uomini e di cavalli, che ivi si faceva, subito commossi a pietade e a compassione, acciò che tutti non morissono, mandàro uno bando che chi s` arrende, fusse preso per prigione, e chi non s'arrendesse, fusse morto senza niuna misericordia; e appena che la tromba avesse bandito tre volte, beato era colui che trovava chi volesse per prigione. Allora tutti quelli Lucchesi strappazucche e Aretini e da Orvieto gittàro loro armadure per terra; e chi era a cavallo, subito smontava a terra, e tutti se ne vanno al capitano de Sanesi, e a lui s'arrendono; el capitano tutti gli riceveva per prigioni. Lo siniscalco, cioè lo conte da Rasi, e messere Giordano ebbeno quelle brigate da Prato e da Pistoia, ma pochi erano rimasti. Maestro Arrigo d'Astinbergo e messere Gualtieri ebbero per prigioni quelli pochi ch'erano rimasti da San Gimigniano e da San Miniato; ognuno attendeva a legargli assai, meglio che sanno e possono.

A volere raccontare l'animo grande del magnifico popolo di Siena, e di quelli prigioni come e quanti essi ne legavano, non si potrebbe narrare nè dire; ma pensate come facevano gli uomini, quando tanto facea una femmina di si poco affare, cioè una treccola, che era in quel tempo, che aveva nome Usiglia. Costei abitava nel terzo di Camollia nella contrada di Santa Maria delle grazie, e per ventura era andata al campo de' Sanesi con vivande e buone cose da confortare le brigate. Essa Usiglia essendo nel campo, e vedendo che chi non era legato per prigione, era morto senza niuna misericordia ovvero compassione, come fanno le donne, che di loro natura sono compassionevoli e misericordiose, corse là di subito, là dove s' ammazzava tanta

gente, e cominciò a dire: « Arrendetevi per miei prigioni, e non sarete morti; » e quanti essa ne potè legare con una sua fascia ovvero benda, tanti ne scampò in su quello punto da la morte, i quali furono in numero trentasei ; tutti gli aveva legati a questa sua fascia ovvero benda, e tutti andavano dietro per lo campo come pulcini che vanno dietro a la chioccia, per paura di non essere morti; e cosi li menò poi dentro in Siena, come udirete. E' prigioni, e' quali legò questa Usiglia, come avete udito, si trovò poi che tutti erano del corpo della città di Fiorenza; sicchè pensate quello che dovevano fare gli uomini dell'arme e li forti fanti a piè; di certo erano più li prigioni, che non erano li combattitori, computato quando ne venivano presi. Furono li prigioni che vennero in Siena, sedici milia, e li morti intra la battaglia e per lo campo, sei milia; pensate se ne furono morti, che per la puzza degli uomini e de' cavalli morti s'abbandonò tutta quella contrada, e stette molto tempo che non vi s'abitò, se non per fiere e bestie selvagge.

La gente del magnifico e vittorioso Comune di Siena avendo avuta così fatta vittoria, lo sabato non tornâro in Siena, ma po' la domenica a mattina in su la mezza terza tornaro ed entràro in Siena con grandissima allegrezza. Innanzi a tutti andava uno dell' imbasciadori de' Fiorentini, il quale fu l'uno delli due imbasciadori, che venne a fare la dimandita che le mura di Siena fussero gittate per terra, ed era a cavallo in su uno asino, e strascinava la bandiera ovvero standardo del Comune di Firenze, ed esso imbasciadore aveva voltato il volto verso la bandiera, e la coda dell'asino aveva per briglia; e dietro a costui veniva la salmeria della vettovaglia, che furono centinaia di muli e d'asini e di somieri.

Appresso veniva molti trombetti, naccarini e pifferi e altri stormenti con molta allegrezza e gioia. Dopo questo seguiva lo stendardo reale della santa e vittoriosa Corona re Manfredi; poi seguiva lo inlustrissimo conte Giordano el conte da Rasi con quattrocento cavalieri tedeschi, tutti armati, e ognuno con grillande d' ulivo in capo. Poi seguiva lo vittorioso e trionfale stendardo ovvero gonfalone del terzo di Camollía, il quale è tutto bianco, e poi seguiva tutti e prigioni, e ciò che s'era guadagnato e preso, cioè padiglioni, tende e trabacche del campo de' Fiorentini. Poi seguiva la onorata e virile Usiglia treccola con trentasei prigioni, e' quali tutti aveva legati a una sua benda ovvero fascia; dopo questo veniva lo magnanimo e vittorioso amico cordiale e fedelissimo del Comune, messer lo conte Aldobrandino da Santafiore, capitano generale sopra tutta la gente dell' arme a piè e a cavallo; dopo lui seguiva messere lo maestro Arrigo e messere Gualtieri e messere Niccolò da Bigozzi, speziale amico carissimo del Comune di Siena, con

grande trionfo e gloria, a grande vergogna e vituperio e confusione di quelli cani Fiorentini. Ed entrati che furono nella città di Siena, come è detto di sopra, tutta questa vittoriosa procissione e onorata da Dio è da le genti, se n'andarono a la chiesa maggiore di Siena, cioè al duomo, a ringraziare l'onnipotente e giusto e misericordioso e benigno Iddio, il quale retribuisce a ciascuno secondo l'opere sue, e quella benedetta e divina reina del Cielo, dolcissima Vergine Maria, la quale non abbandona chiunque ricorre divotamente a lei per la sua misericordia; e poi ognuno si ritornò a le sue stanze, e ognuno guarda li suo' prigioni.

RISTORO D'AREZZO.

Non altro ci è noto di questo scrittore, salvo che fu aretino e religioso, e che compilò il suo libro della Composizione del mondo nel 1282, come si legge nel cod. riccardiano 2164. L'opera sua partita in otto libri, e che è una vera enciclopedia scientifica del tempo suo, meriterebbe esser studiata pel suo intrinseco valore, rispetto alle conoscenze cosmografiche del medio evo: di che piccol cenno è in una dissertazione del FONTANI negli Atti dell'Accad. della Crusca, vol. I, p. 191, e in un opuscolo di D. COMPARETTI, Intorno alla Composiz. del m. di R. d'A., Pisa, Nistri, 1859. Parte di quest'opera diede il NANNUCCI nel suo Manuale, II, 193 e segg. di sul cit. cod. riccard., che serba l'antica dicitura aretina dell'autore. Per intero fu pubblicato da ENRICO NARDUCCI, Roma, Tipogr. delle Scienze, 1859, e poi, su di cotesta ediz. dal CAMERINI, Milano, Daelli, 1864, seguendo il cod. chigiano M. VIII, 169. Noi riproduciamo quest' edizione, dove le forme vernacole sono ridotte a comune grafia, facendo voti, che per utilità degli studj filologici, la Composizione del Mondo sia messa a luce nel suo originale dettato, e possibilmente accompagnata da quanto giovi a determinarne il valore scientifico.

Gli antichi vasi aretini. Dacchè noi avemo fatta menzione della terra, volemo fare menzione del nobilissimo e miracoloso artificio che fu fatto d'essa, della quale feciono vasa per molti temporali li nobilissimi e sottilissimi artefici anticamente nella nobile città d'Arezzo, nella quale noi fummo nati: la quale città, secondo che si trova, fu chiamata Aorelia, e mo' è chiamata Arezzo. De li quali vasi mirabili per la loro nobilità, certi savj ne feciono menzione nelli loro libri, come sono Isidero e Sidilio. Li quali feciono di terra colata, sottilissima come cera, e di forma perfetta in ogni variazione. Nelle quali vasa furo disegnate

1 Per lungo tempo.

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