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Poi si parti di quello luogo, ed andossene in camera, la quale trovò così parata con un'altra più piccola a lato a quella, come qui si diviserà.

La grande camera fu cosi parata: che a capo del letto e da lato furono finissimi drappi d'oro e di seta, dal letto infino al solaio; tutti nuovi, ricchissimi, di diversi colori e di maravigliosa bellezza; e due cortine, l'una da lato al letto e l'altra da piede, tutte fatte di nuovo de l'arme del Papa, tutta distesa. Da piè del letto, di lunge una canna, fu fatta una seggia papale, coperta da ricco drappo d'oro e di seta, ed ornata di cuscini a maraviglia; e sotto a' piedi fu messo un tappeto velluto a modo degli altri tappeti, salvo ch' era tutto di finissima seta e tutto nuovo: questo fu una ricchisima cosa a vedere. Intorno a tutte le mura, capoletti tutti nuovi, di nuove e diverse storie; bancali1 per la camera, e tappeti tutti per terra; e tutta piena. Il letto no' si potrebbe credere, scrivere quanto fu ricchissimo; la copritura di sopra fu di finissimi velluti vermigli. Fuvvi suso un fodero d'ermelino candidissimo, quanto mai si vide vergine neve imaculata. Il sopralletto 2 tutto di drappi d'oro e di seta, come quegli da capo ed intorno al letto. Ed un simile letto fu ne la minore camera da dormire, parata d'intorno alle mura di simili drappi d'oro, e di cortine e sopralletti e tappeti per terra tutta piena. Quivi dimorò alquanto; e fu l'ora d'essere a la mensa. Uscì fuori con sedici cardinali; e lavate le mani, e fatta la benedizione de la mensa, si mise a tavola ne la testa de la sala, ne la sedia papale, ornata e parata, come l'altre due dette de la chiesa e de la sala.

Come venne il lavare de le mani (e quivi erano quattro suoi cavalieri che servivano, e dodici iscudieri) vennono alquanti degli scudieri di messer Annibaldo; a questi quattro cavalieri feciono vestire loro quattro cotte nuove di fini drappi d'oro e di seta d'una partita; ed a ciascuno donarono da parte del cardinale una ricca cintura fornita d'ariento con una ricca borsa, di pregio di venticinque fiorini d'oro per una. Ed a' dodici scudieri feciono vestire dodici cotte di drappo di seta d'un'altra partita; ed a ciascuno donarono una cintura e borsa, di pregio di dodici fiorini d'oro per una, perchè cosi servissono dinanzi a nostro Segnore. Poi furono cinquanta iscudieri di messer Annibaldo, tutti vestiti di nuovo d'una partita di due zendadi giallo e vermiglio, perchè servissono dinanzi a le tavole: e così feciono.

I paramenti de la sala dove mangiò Nostro Signore con sedici cardinali e con venti altri fra prelati ed altri segnori laici: ed ebbevi una tavola, dove furono dodici fanciulli che

1

Tappeti da coprir banchi e panche.

La parte superiore, il cielo del letto.

3 Ad una foggia, ad una assisa.

Drappi sottili di seta.

5 Intendi: Questi sono i paramenti.

rici, che 1 maggiore à dodici anni, che sono tutti nipoti del Papa o stretti di parentado, e continuo da una pezza in qua vanno e stanno co' lui dove che sia, ed anno maestri, cavalieri, scudieri, che gli ammaestrano e costumano e servongli. Questi furono ne la detta sala a le tavole. La quale sala fu cosi parata. Ne la testa de la sala, e da le due latora forse una canna, furono coperte le mura di finissimi drappi d'oro e di seta, dal tetto insino al solaio; nel mezzo, di dietro a la sedia, fu una ricchissima pezza di sciámito vermiglio per erto, che tenne dal solaio insino al colmo del tetto, e poi rivolta sopra la sedia più d'una canna; e fu larga da una canna: fu nobilissima cosa a vedere, e fu del più fine colore che mai si vide. Poi tutta l'altra sala, coperta di finissimi e grandissimi capoletti, di nuove e diverse storie. E cosi bancali e tappeti sotto i piedi. Come le tavole furono coperte, per queste altre cose si puote imaginare: che furono tovaglie nobilissime e ricchissime.

Quivi furono nove vivande triplicate, che furono ventisette, di tante diversitadi, che a volerle scrivere non ò memoria; e questa penna perderebbe la sua temperatura, però ch'ò a scrivere molte altre cose: ma in somma, qui fu d'ogni cosa che si può pensare che fosse cara, bona, migliore e ottima.

Dopo le tre vivande de le nove, venne un castello, per tramessa,3 grandissimo, dove furono salvaggine solamente di bestie; cioè, un grandissimo cerbio che pareva vivo, ed era cotto, un cinghiale, cavriuoli, lievri, conigli; che tutti parevano vivi ed erano cotti: fu guidato e recato dagli scudieri ed accompagnato da' cavalieri cogli stromenti di diverse maniere. Credo che 'l suono degli stromenti col rallegrarsi la gente, risonasse insino a Vignone.

Poi appresso questo, venne la quarta vivanda; e dopo questa, vennono cherici e scudieri di messer Annibaldo. É l'uno de' cherici a Nostro Signore: Padre santo, egli è quaggiù un destriere bianco bellissimo e nobilissimo; ed ecco due anella, ed uno nappo coperchiato che si mette in su un piede, come voi vedete. Il cardinale suplica a la Vostra Santità che vi piaccia di prendere queste cose. Nostro Segnore prese l'anella, che fu un grossissimo zatiro ed un grossissimo topazio; e misesegli in dito; e prese il nappo, e comandò che fosse preso il destriere. Il nappo incontanente donò a l'uno de'quattro cavalieri che 'l serviva inanzi. Fu detto, e così si parla, che 'l destriere si pregia di CCCC fiorini d'oro; l'anella, di CL fiorini d'oro; il nappo, di C fiorini d'oro. Fatto questo, andarono questi sopradetti a' sedici cardi

1 Per uno spazio circa di una canna.

2 Per ritto, dal basso all' alto. Sciúmito è drappo, che prende nome dal colore di un fiore.

3 Per intermezzo, come allora usavasi nei gran conviti.

nali, ed a ciascuno donarono uno anello ricco e bellissimo di diverse pietre; e così a' prelati ed a' cavalieri de la detta sala; poi a' XII fanciulli cherici, a ciascuno una cintura e borsa di quello pregio che furono quelle de' quattro cavalieri, cioè XXV fiorini d'oro per una; poi a' XXIIII sergenti ch'erano armati per la casa, a ciascuno una cintura fornita d'ariento, di pregio di tre fiorini d'oro l'una.

Poi venne la quinta vivanda; e dopo questa venne recata da.... uomini una fontana, che nel mezzo era una torricella, ed in sulla torricella aveva una colonna, che gittava da cinque parti vino; da l'uno vernaccia, dal secondo greco, dal terzo bielna, dal quarto sanporciano, dal quinto vino senese. Intorno, in su le sponde de la detta fontana avea paoni, che parevano vivi ed erano cotti, co le code a padiglioni; avevavi fagiani, pernici e grue, ceceri ed ogni salvaggina d'uccelli. Questo venne, come il primo tramesso, accompagnato col mescolato romore de le genti e degli stromenti.

Dopo questo, venne la sesta vivanda, e poi la settima; ed appresso questa settima, vennono ne la sala dieci grandissimi destrieri, a uno a uno, ed eravi suso dieci cavalieri armati; ed entrarono in questo modo: che'l primo fu un cavaliere armato leggiermente con una bandiera in mano de l'arme di messer Annibaldo: poi dopo lui, gli altri ad uno ad uno. E come furono ne la sala tutti, cominciasi a fedire un torniamento, l' uno contro a l' altro. Qui i colpi maravigliosi; qui abbattere cavalieri e cavagli; i suon' de' colpi sopra l'armi risuonano a maraviglia. Dà e togli, durò questa cosa per ispazio d'jun'ora. Poi, a la fine, ebbe il pregio un cavaliere che portava il campo ad oro con una croce vermiglia. Questi cavagli furono dificiati per questo modo; che sei uomini portavano un dificio di fusta leggerissimo, ch'era di forma d'un grandissimo cavallo, e questo era coverto infino a terra di zendado, che no' si vedea che fossono uomini; e'n su questi destrieri furono vere selle fatte tutte di nuovo, ed ivi suso vivi uomini armati di tutte armi. E veramente efu una bellissima cosa a vedere, e nuovo giuoco.

Dopo questo, venne l'ottava vivanda, apparirono sei ischermidori ne la sala vestiti d'una assisa, con grida, con brandire di spade percotendosi ne' boccolieri, e dinanzi a la tavola del Papa, cominciarono tutti una schermaglia disusata, fierissima e asprissima; che veramente, no' guardandovi, parevano a' suoni de' diversi colpi e spessi, più di XXX uomini che insieme și combattessono. Durò una pezza: poi si partirono ed uscironsi de la sala.

Venne la nona vivanda; e per tramessa fu udito un cantare di cherici, ma no' veduti; di boci d'ogni maniera. grosse, men grosse, mezzane, picciole e puerili, con una

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dolcezza soavissima che renderono cheta tutta la sala, perchè gli attenti orecchi tutti feciono tacere le parlanti lingue, per la soavità de la dolce melodia. Chetato il canto e levata l'ultima vivanda, vennono le frutta di diverse maniere: ed in su la tavola del Papa furono portati due alberi; l'uno che pareva tutto proprio d'argento, con pomi, pere, fichi, pesche, uve d'oro; l'altro, tutto verde a modo d'alloro, con anche frutti d'ogni colore; e questi erano tutti finissimi confetti.

La vernaccia, i grechi, i vini di Roccella, di Bielna, di Sanporciano, vini di Reno, vi furono abbondantissimamente per ogni bocca, e più finissimi ch'essere potessono. Stando le frutta dinanzi in su le tavole, venne il mastro cuoco del cardinale con una brigata di suoi compagni cogli stromenti inanzi, e furono da trenta, con falcole dificiate, con sonagli, ch'è un giuoco romanesco, ed entrarono danzando allegrissimamente per la sala; e così intorniate le tavole tre o quattro volte, si partirono.

Due altre sale di sotto, una grandisima camera, tutti i corritoi, le corti e l'anticorti ed ogni particella de la casa fu coperta le mura di capoletti bellissimi e di bancali, e per tutto messe tavole. E quivi furono serviti di nove vivande doppie, che furono XVIII, di simili vini a quelli di sopra, di frutta, di giuochi e sollazzi, con istromenti, con canti, e allegrezze; ed in somma, ogni cosa ridea.

FRA GIORDANO DA RIVALTO. Nacque poco dopo la metà del secolo XIII e forse nel 1260: ma è incerto se in Rivalto, terra del contado pisano, o piuttosto in Pisa stessa, di famiglia originaria di cotesto luogo, e che indi avesse tratto il nome. Vesti l'abito di San Domenico nel convento di Santa Caterina in Pisa, e studio teologia a Bologna e a Parigi: fu anche in Germania (v. Predica del 9 novembre 1304). Nel 1305 fu eletto maestro di teologia nel convento di Santa Maria Novella in Firenze. Nel 1311 quando andava a Parigi a conventarsi dottore, morì in Piacenza ai 19 d'aprile, in età ancor giovane e dopo trentun anni di vita claustrale. È sepolto in Colorno, ove le sue ossa furono da Pisa trasportate nel 1765 a istanza del duca Ferdinando di Parma. La chiesa lo canonizzò beato nel 1833: in Pisa vive tuttora la sua memoria, per essere egli stato della tuttora esistente arciconfraternita del Santissimo Salvatore, detta del Crocione; se ne celebra ogni anno la festa. Nelle laude dei disciplinati contenute nel ms. parigino dell'Arsenale n. 8521, ve n'ha una al suo nome, nella quale è detto capitano dei battuti e predicatore eccellente (MAZ

1 Pur esso con frutti. 2 Fiaccole artificiose.

ZATINTI, Manoscr. ital. delle biblioteche di Francia, Roma, Bencini, 1888, III, 394).

L'opera sua che ci resta, oltre gli statuti della confraternita su menzionata, sono prediche fatte in Firenze dal 1303 al 1309 in varie chiese, e spesso anche nelle piazze. Alla predicazione si era dato con tanto ardore, che qualche volta predicò tre, e persino cinque volte in un giorno. Le sue prediche non furono scritte da lui, ma raccolte dalla viva voce di un suo zelante ammiratore, che talora anche le ebbe da altri, e perciò alcune sono compendiate o frammentarie; ma spesso fra mezzo a molte aridità teologiche, si sente la forma schietta ed efficace del parlare improvviso, e l'intento di rendersi chiaro alle turbe. Il SALVIATI giudicò queste prediche opera finissima, che per purità e leggiadria di forme rasentano il primo segno. La prima edizione di esse, in numero di 91, fu fatta da A. M. BISCIONI, Firenze, Viviani, 1739, premettendovi una vita scritta da D. M. MANNI. L'ab. D. MORENI, nel 1830, pubblicò in Firenze presso il Magheri le Prediche sulla Genesi recitate in Firenze nel 1304, e l'anno dopo, presso lo stesso stampatore, in due volumi, altre 69 Prediche dette in Firenze dal 1303 al 1306. Il Silvestri di Milano nel 1839 riprodusse le Prediche sulla Genesi in un volume, e in tre tutte quelle coutenute nelle edizioni biscioniana e moreniana. Altre Prediche recitate in Firenze dal 1302 al 1305 furono pubblicate a cura di ENRICO NARDUCCI, Bologna, Romagnoli, 1865, in numero di 94, premettendovi un frammento di Vita scritta dal p. I. AFFÒ.

[Oltre la citata Vita del MANNI e quella dell' AFFÒ, v. FABRONI, nelle Mem. stor. d'illustri pisani, Pisa, Prosperi, 1792, III, 89, e BONAINI, Croniche pisane (Firenze, Vieusseux, 1848, vol. II, 451), ov'è recato e commentato il ricordo di Fra Giordano nella Cronaca del convento di Santa Caterina; per le dottrine, v. F. FALCO, Moralisti italiani del trecento, Lucca, 1891, p. 44; per la bibliografia delle stampe e dei codici, v. NARDUCCI, op. cit., p. XXVI e segg.]

La città terrestre e la città eterna. Questo nome cittade se noi ben consideriamo, noi c'infiammeremmo di quella beata terra chiamata Città di Dio, alla quale propriamente si fa questo nome. Non ne sono degne le cittadi del mondo d'avere questo nome. Questo nome e questi nomi di quaggiù, sono ritratti pur da quelle cose di sopra. Città tanto suona come amore, e per amore s'edificâro le cittadi; perocchè si dilettâro le genti di stare insieme..... Si genera l'amore, quando la persona si sente amare. Non è nullo che sentendosi che sia amato da alcuno (non ci abbia egli mal mescuglio o mal vizio), ch'egli non sia tratto ad amar lui incontanente; ed è questa natural cosa, perocchè dicono i savj, che l'amore ha catene di ferro: Vincula ejus, vincula

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