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ferrea. E però tira per natura; chè se tu ami alcuno di netto amore, ed egli il sappia, incontanente è costretto ad amare te; natural cosa è. Che cittade dunque dee essere quella, ove i cittadini saranno in tanto amore, che catuno1 tamerà d'amore perfettissimo, e da tutti ti vedrai essere amato, ed amerai tutti quanti generalmente e singularmente? Odi cosa a pensare! così sarai lieto d'ogni loro bene come del tuo. Se uno vedesse ch' un altro l'amasse, e fosse lieto d'ogni suo bene ed onore e prode, pognamo che non gli potesse giovare altrimenti, si l'amerebbe costui lui, ed avrebbel caro come se gliele avesse fatto.2

3

Or dunque considera quanto amore quel fia, ove ciascuno amerà tanto l' uno l'altro! L'altro modo perchè nasce l'amore, si è per la nobilità. La persona è più costretta ad amare una bella cosa, ed una nobile più ch'un' altra. Onde perchè hai tu in odio il povero? chè 'l vedi stare ammalato, lebbroso, e no puoi pur vedere; perocchè vedi in lui poco di bene di Dio, e però non ti può piacere, però non l'ami; vedivi la povertà, però non l'ami, chè le sue condizioni non ti piacciono; ma vedete come la persona ama le cose che gli piacciono una bella forma, una bella cosa, una cosa ricca. Quanto amore, e quanto piacere e diletto sarà in quella cittade, ove in nullo modo potrà essere nullo male o nulla miseria, nulla laidezza, nulla povertà; ove sarà la somma bellezza e somma ricchezza e dignità, sommo onore e gentilezza! Quivi non sarà alcuna cosa che ti possa ispiacere, perocchè tutte le cose saranno perfette; e però vi sarà l'amore radicato e fermato.

L'altra ragione perchè nasce l'amore si è per unità di volontà: quando le volontà di due s'accordano in uno medesimo modo, or questi sono i buoni compagni. Oh, come si trovano radi questi! non se ne trovâro mai due, che pienamente in tutte le cose s'accordassero insieme. Se ti ̄accordi in una cosa, in mille ti disvarj da lui; ma per quella si sostengono insieme. Non si trova oggi in persona questo, eziandio tra fratelli; imperocchè veggiamo oggidì che l'uno tiene qua e l'altro là: l'uno con l'una parte e l'altro con l'altra, e però si dividono e vengono insieme a ree parole, e voglionsi male. Se si trovassero pur due, che in tutte cose si piacessero e s'accordassero, oh, come sarebbe dolce la vita loro insieme! Quanto amore e bene de' essere in quella benedetta cittade, degna solamente ella d'esser detta cittade; chè tutti avranno uno cuore, uno volere, uno intendimento! Ciò che tu vorrai, tutti quelli di vita eterna vorranno; ciò che tu non vorrai, nè quelli non vorranno;

1 Ciascuno.

2 Se gli avesse fatto qualche cosa di giovamento, d'utile.

3 Qui, per frate, non che per uomo, c'è poco senso di carità. Perchè.

e ciò che vorrà l'uno, e tutti gli altri vorrannò. Or che diletto sarà questo, che gioia? non si potrebbe pensare! Fassi una prova, ed è buona dialettica: dice che ogni cosa che si racchiude in uno conviene che sia una medesima cosa; e perocchè tutti i beati si racchiudono in Dio, però tutti sono una cosa; or questa è città.

L'altra cosa, perch' ella è detta cittade, si è per l'ordine. Vedete come è bella la cittade quando è ordinata, e sonci le molte arti! troppo è bella cosa l'ordine nella città; e quest'ordine dà tre cose, bellezza, fortezza, grandezza. Bellezza da, come ti dissi. Come è bella cosa la cittade bene ordinata, ove sono le molte arti, e catuna per sè, e sono comuni tutte le arti! troppo è grande bellezza, perocchè non ci ha arte nulla che non sia utile: il calzolaio è utile a tutta la cittade, ch'egli calza; il fornaio è utile e necessario, che ti cuoce il pane; il sartore altresì; il cavaliere è utile a tutta la cittade, chè la difende ; sicchè il bene del calzolaio è del cavaliere, e quello del cavaliere è del calzolaio; ed ancora è più d'altrui l'opera e l'arte sua, che di sè. Il calzolaio abbisogna forse di due o tre paia di calzari l'anno, e fanne più di cinquecento; il fornaio ha assai per sè forse d'un moggio dl pane a cuocere, e cuocene più di dugento, e tutto I fa per altrui; e così sono tutte quante. A questo modo è quella città gloriosa di vita eterna; chè, siccome ciascheduno quaggiù è utile l'uno all'altro nell'arte sua, ovvero nell' ufficio suo a che è posto; così in quella cittade beata non avrà nullo che ci sia invano; anzi saranno si ordinati, che se uno ci n'avesse meno, non sarebbe compiuta quella cittade. Onde gli eletti sono tutti annoverati, chè non ve ne può essere alcuno meno o più. E però, compiuto il numero degli eletti, il mondo si disfàrà, e più non ne nascerà veruno.

Ma ora, avvegnachè ancora non sia pieno, imperò v' ha difetto; e questa è la ragione. Ecco il fanciullo, avvegnachè sia piccolo, però si è egli compiuto, ed ha tutte le membra, ed è uomo come tu; ma non è ancora cresciuto, non ha ancora il senno e la grandezza sua perfetta, ch'egli avrà nella cittade sua. Ma in quella etade ch'egli ha, egli è assai grande, e non si converrebbe più essere maggiore in quella etade. Cosi in quella beata vita non è difetto perchè gli eletti non ci sieno ancora tutti, ch'ella è ben compiuta, e sonci quanto a uno modo, ché Iddio gli vede che ci saranno, ma quanto in essenzia non ci sono ancora. Ed e'non si richiede d'essere per l'ordinamento della volontà di Dio, anzi sarebbe toglimento di gloria e d'ordine se ci fossero più tosto che abbia ordinato, avvegnachè non potrebbe essere.

1 Facciamo un argomento di buona dialettica: è generalmente detto ec. 2 Che ci sieno effettivamente.

Ma questo dell' arti della cittade non è bene proprio esemplo, perocchè l'arti della cittade sono trovate per li difetti, e quante arti ci sono, catuna è a riparare alcuno difetto; onde se nella città non fosse il calzolaio, troppo ci sarebbe grande difetto, ch'egli è buono a coprire i piedi da' sassi e dal fango e dal gelo che ti difenda. Se nella città non fosse il sartore, troppo ci sarebbe grande difetto; chi ti farebbe il vestimento? Se non ci fosse il fornaio, or da che sarebbe la cittade se non fosse chi ti cuocesse il pane? troppo n'è mistieri il fornaio per lo grande difetto che n' avemo, e così di tutte l'arti; tutte sono trovate a rimedio d' alcuno difetto; tanti sono i nostri difetti! Ma in vita eterna, in quella cittade, non ci ha nullo difetto, nullo; e però non fu proprio esemplo, ma pognamo l'altro esemplo migliore. Noi veggiamo che in uno corpo ha molti membri, e ciascheduno è ordinato al servigio l'uno dell' altro, e tutti sono bisogno; e se pure uno ne fosse meno, non sarebbe compiuto. Troppo è bello il corpo, ove sono tutte le membra, e se ci fosse meno il più vile, tutto l'altro corpo e l'altre membra ne sarebbono più sozze. Onde vedete l' occhio è così nobile e bel membro, e vedete i piedi, ch'è il più vile e sottano membro; se 'l piede fosse tagliato, assai avrebbe bella persona che non sia sozzo, e tutti i membri ne sarebbono insozziti, e l'occhio e l'altre membra ne sarebbono avviliti; non paiono mai sì bene; e se gli occhi fossero tratti, i piedi e l'altro corpo non paiono poscia neente. Così dico io: tutti saremo a modo d'un corpo: ciascuno sarà membro, e l'uno più nobile, e più gentile che l'altro assai, ed in questa diversità è la bellezza, più che se tutti fossero pari; imperocchè se tutto l corpo fosse pur occhio, non sarebbe bello, non voglia Dio; e se tutto fosse piedi, or che sarebbe? nulla; e però i diversi membri fanno un bello corpo. Che se le stelle fossero tutte pari, non sarebber si belle; ma l'una è più nobile che l'altra. Così la diversità intra' beati sarà ordinata dalla sapienzia di Dio in tanta bellezza che non si potrebbe dire; chè se pur uno, il minimo di vita eterna, ci fosse meno, tutta la corte ne sarebbe sozza ed avvilita d'ogni bellezza, come il corpo che avesse meno il piede, assai sarebbe men bello; ed il corpo che non sia in sue fattezze compiuto, poscia sarebbe laido; onde uno solo beato, il minimo, darà bellezza a tutta la corte, a tutti i beati, e ciascuno darà bellezza a tutti. Onde ciascuno uomo che sia predestinato al cielo, è più parte del mondo che non è la stella, perocchè quello che è eternale e non devenir meno, sì è più parte del mondo. E se una stella di quelle che vi sono non fosse nel cielo, dicono i Savj

1 Sono necessarj.

2 Ogni bella persona avrebbe di che esser brutta.

3 Dio ce ne guardi!

che il mondo perirebbe, e non sarebbe più questo mondo; perocch' ella è parte del mondo. Maggior parte, viemaggiore, è l'uomo che non è la stella: chè noi siamo fatti a godere Iddio od a conoscerlo, chè non è fatta a ciò la stella ; e però siamo più parte del mondo che la stella, e se uno ne fosse meno o più in vita eterna di quelli ch'ha ordinati la sapienza di Dio, non sarebbe nulla, e sarebbe vituperata ogni cosa.

La seconda cosa che fa l'ordine, si è che dà fortezza. Perchè sono le città debili? perocchè le cose vi vanno disordinate se le cose andassero ordinate per tutti i cittadini, troppo sarebbe forte cittade; ma per le cose disordinate si guastano le cittadi, e nascono le discordie, ed è fatta debile la cittade. Una agevole cittade che fosse ordinata e bene in concordia, sarebbe si forte che non si potrebbe giammai vincere, e vincerebbono ogni altra gente. Quanta dunque dee essere quella fortezza di quella cittade, ove è tanta concordia e tanto ordine! e però vincono ogni battaglia i Santi .

Dà ancora l'ordine grandezza, e questa è l'ultima cosa, e questo si mostra ancora, e puossi mostrare nel primo esemplo ch'io ti puosi, come l'uno membro è più bello e più nobile per cagione dell' altro. E però ti dissi che dà grandezza, cioè, dignitade: come il naso è bello in sulla faccia, e fuori della faccia è sozza cosa e non è bello, e la faccia n'è sozza e vituperata; e quando ne sta così, bene: ed è allora in cotanta bellezza e grandezza e dignitade; e se fosse altrove, sarebbe sozzo. Così l'occhio, vedete come è bello! se fosse altrove o ne' piedi, non sarebbero belli. E se fossero per sẻ fuori del luogo loro, sarebber sozzissima cosa; ed essendo nel luogo loro, ove deono, vedete in quanta grandezza e magnificenzia e' sono, e come sono bellissimi, e tutto l corpo e le membra rendono magnifiche. Così il piede è bellissimo nel suo luogo; se fosse fuori di suo luogo, nel petto o nel capo, sarebbe sozzissimo; ovvero se fosse tagliato dalla gamba, sarebbe sozzo per sè; ma congiunto alle sue membra e posto nel suo luogo, vedete com'egli è bello, e come tutto l corpo ne diventa bello; e l'occhio n'è di meglio assai. Cosi quella beata unitade di vita eterna: sarà sì catuno in suo luogo, e sarà si ordinato da Dio, che se non ci fosse, ovvero fosse in altro luogo, ne diventerebbe sozzo e tutto 1 corpo vituperato; e stando catuno nel suo luogo, eziandio il minore Santo di vita eterna darà somma bellezza al maggiore, e così il minore per lo maggiore: perocchè insieme tutti faranno una cosa, e tutti servono l'uno all' altro, siccome l'occhio serve al piede che gli mostra la via, chè per se e non vede, e 'l piede serve all'occhio che 'l mena e va, chè l'occhio non potrebbe andare; e così degli altri membri; tutti servono l'uno all' altro, catuno ha sua virtù che non l'ha l'altro, e catuno serve a tutti gli altri della sua

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virtù e potenzia, e più opera la virtù sua negli altri che in sè: chè non solamente ne partecipa un poco agli altri, ovvero altrettanto, anzi il partecipa quasi tutto. Vedi l'occhio che mostra la via al piede; e vede l' altro membro più che sè, anzi è mirabil cosa che se non vede: e questa è profonda cosa a pensare ne beati.

Ei vede gli altri, ma sè non vede; or quale occhio vede sè? nullo. Simigliantemente, la mano tocca l'altre cose, ma non tocca sè; ben tocca l'una mano l'altra, ma la mano non tocca sè stessa. Questa è la ragione perchè si crede che in vita eterna sarà tanta comunitade, che il mio bene e la mia gloria sarà di tutti gli altri più che mia, e avrò la gloria, il bene e la bellezza di tutti gli altri, e per questa ragione disidererò io cotanto la gloria tua: e T ben tuo riputerò esser mio, tu il mio riputerai esser tuo. E tutti per sè, ciascuno darà gloria l'uno all'altro. Che letizia altresì sarà a vedere gli Angeli e spezialmente che ciascheduno ha sua natura diversa dall'altro, e catuna è angelica; diverse nature, diversi colori, diverse luci: quella sarà bellezza! E però quella è detta propriamente cittade, e città verace per le condizioni dette. Onde chi pensasse che è a dire cittade, egli s'innamorerebbe si di quella beata vita, che tutto il mondo abbandonerebbe per contemplare e per acquistare quella; beato chi ne sarà cittadino! Queste cittadi del mondo non sono degne d'essere chiamate cittadi: non voglia Dio; ma diciamo cosi, chè non potremmo altrimenti favellare. Questo nome venne di lassù; quella è la città! (Dalle Prediche recitate in Firenze dal 1303 al 1309; predica XCIV, secondo l'edizione del MANNI.)

MARCO POLO. La sua famiglia era oriunda di Sebenico in Dalmazia: nacque in Venezia nel 1254 di Niccolò Polo, che si diceva di San Giovan Grisostomo per distinguerlo da altri Polo. Il padre lo trovò grandicello al suo ritorno dall' Oriente nel 1269. Con lui e collo zio Maffeo, che avevano già viaggiato in lontani paesi, parti nell'aprile del 1271; furono insieme nel 1275 alla corte di Cublai, Can de' Mongolli, visitarono la Cina e altre regioni orientali dell'Asia, ottenendovi onori ed ufficj. Nel 1295 tornarono a Venezia, ove Marco abitò quella casa che per molto tempo fu detta Corte de' Milioni. Secondo il racconto del Ramusio, arrivati a Venezia non furono riconosciuti nemmeno da' parenti. Come sopracomite, o nobile comandante, ebbe il governo d'una galea alla battaglia di Curzola (1298), nella quale i Veneziani furono vinti da' Genovesi, e stette prigioniero nelle carceri di Genova. Dopo che fu conchiusa la pace tornò a Venezia nell'agosto del 1299; sposò una Donata, forse della famiglia Loredano, e ne ebbe tre

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