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il volto verso mezzodì. La sua prima moglie siede lungo lui dal lato manco; e dal lato ritto, più basso un poco, seggono gli figliuoli e gli nipoti, e' suoi parenti che sieno dello imperiale lignaggio, si che il loro capo viene agli piedi del Signore. Poscia seggono gli altri baroni più a basso, e così va delle femmine, chè le figliuole del Gran Cane signore, e le nipote e le parenti seggono più basso dalla sinistra parte, e ancora più basso di loro le mogli di tutti gli altri baroni; e ciascuno sa il suo luogo ov' egli dee sedere per l' ordinamento del Gran Cane. Le tavole sono poste per cotal modo, che 'l Gran Cane puote vedere ogni uomo, e questi sono grandissima quantitade. E di fuori di questa sala ne mangia più di quarantamila, perchè vi vengono molti uomini con molti presenti, gli quali vi vengono di strane contrade con istrani presenti. E di tali ve n'ha ch'hanno signoria, e questa cotal gente viene in questo cotal dì, che 'l Signore fa nozze e tiene corte e tavola. E un grandissimo vaso d'oro fine, che tiene come una gran botte, pieno di buon vino, istà nella sala, e da ogni lato di questo vaso ne sono due piccoli; di quel grande si cava di quel vino, e degli due piccoli, beveraggi. Havvi vaselli vernicati d'oro, che tiene l'uno tanto vino che n'avrebbono assai più d'otto uomini, e hanne per le tavole tra due, uno. E anche ha ciascuno una coppa d'oro con manico, con che beono; e tutto questo fornimento è di gran valuta. E sappiate che 'l Gran Signore ha tanti vasellamenti d'oro e d' ariento, che non potresti credere se nol vedessi. E sappiate che quegli che fanno la credenza al Gran Cane signore, sono grandi baroni, e tengono fasciata la bocca e il naso con begli drappi di seta, acciò che lo loro fiato non andasse nelle vivande del Signore. E quando il Gran Cane dee bere, tutti gli stormenti suonano, chè ve n'ha grande quantità; e questo fanno quando ha in mano la coppa, e allotta ogni uomo s'inginocchia e' baroni e tutta gente, e fanno segno di grande umilitade: e così si fa tuttavia che dee bere. Di vivande non vi dico, perciò che ogni uomo dee credere ch'egli n'ha grande abondanza; nè non v' ha niuno barone nè cavaliere, che non vi meni sua moglie, perchè mangi coll'altre donne. Quando il Gran Signore ha mangiato, e le tavole sono levate, molti giuocolari vi fanno gran sollazzo di tragittare e d'altre cose; poscia ne va ogni uomo al suo albergo. - (Dal Milione, ediz. citata, cap. LXXI-LXXII.)

Le poste nella Cina. Or sappiate per veritade che di questa cittade si partono molti messaggi, gli quali vanno per molte provincie; l'uno va all' una, e l'altro va all'altra, è così di tutti; chè a tutti è divisato ove debbiano andare.

Presso, dopo lui.

2 Il servizio a tavola. 3 Ogni volta che. Giuochi di mano e colla persona.

E sappiate che quando si partono da Camblau questi messaggi, per tutte le vie ov'egli vanno, di capo delle venticinque miglia egli truovano una posta, ove in ciascuna ha un grandissimo palagio e bello, ove albergono i messaggi del Gran Sire, ov'è un letto coperto di drappo di seta, e ha tutto quello che a messaggio si conviene. E se uno re vi capitasse, si vi sarebbe bene albergato. E sappiate che a queste poste truovano gli messaggi del Gran Sire, e havvi bene quattrocento cavalli, che 'l Gran Sire ha ordinato che tuttavia dimorino quivi, e sieno apparecchiati per li messaggi, quando egli vanno in alcuno luogo. E sappiate che a ogni capo di venticinque miglia sono apparecchiate queste cose ch'io v'hc contato: e questo è nelle vie maestre, che vanno alle provincie ch'io v'ho contate di sopra. E a ciascuna di queste poste è apparecchiato da trecento o quattrocento cavalli per gli messaggi al loro comandamento. Ancora v' ha così belli palagi, com' io v'ho contato di sopra, ove albergano messaggi cosi riccamente com' io v'ho contato di sopra; e per questa maniera si va per tutte le provincie del Gran Sire. E quando li messaggi vanno per alcuno luogo disabitato, lo Gran Cane ha fatte fare queste poste più alla lungi a trentacinque miglia, o a quaranta. E in questa maniera vanno gli messaggi del Gran Sire per tutte le provincie, e hanno albergherie e cavalli apparecchiati, come voi avete udito, a ogni giornata. E questo è la maggiore grandezza che avesse mai niuno imperadore, nè che aver potesse niuno altro uomo terreno; chè sappiate veramente che più di duecentomila di cavalli istanno a queste poste, pur per questi messaggi: ancora gli palagj sono più di diecimila, che sono cosi forniti di ricchi arnesi, com'io v'ho contato; e questa è cosa di sì gran valuta e si maravigliosa, che non si potrebbe iscrivere nè contare. Ancora vi dirò un' altra bella cosa. Egli è vero, che tra l'una posta e l'altra è ordinato tra ogni tre miglia una villa, dov' ha bene quaranta case d' uomini appiede, che fanno ancora queste messaggerie del Gran Sire. É dirovvi com'eglino portano una gran cintura, piena di sonagli attorno attorno, che s'odono bene dalla lunga; e questi messaggi vanno a gran galoppo, e non vanno se non tre miglia; e gli altri che dimorano in capo delle tre miglia, quando odono questi sonagli, che si odono bene dalla lunga, ed egli stanno tuttavia apparecchiati, e' corre contra colui, e pigliano questa cosa che colui porta, ed è una piccola carta, che gli dona quel messaggio, e mettesi correndo e va infino alle tre miglia, e fa così come ha fatto quell'altro. E si vi dico che l Gran Sire ha novelle per uomini a piedi, in un dì e in una notte, bene dieci giornate dalla lunga; e in due di e in due notte, bene di venti giornate; e così in dieci di e in dieci notte avrà novelle bene di cento giornate; e si vi dico che questi cotali uomini recano in un dì al signore fatti di dieci giornate. E il Gran Sire non piglia da questi cotali uomini niuno tri

buto, ma fa loro donare de' cavalli e delle cose che sono 'ne' palagj di queste poste ch'io v'ho contato. E questo non costa nulla al Gran Sire, però che le città che sono attorno a quelle poste, vi pongono i cavagli e fannogli questi arnesi, si che le poste sono fornite per gli vicini, e il Gran Sire non vi mette nulla, salvo che le prime poste. E si vi dico, che quando gli bisogna che il messaggio da cavallo vada tostamente per contare al Gran Sire novelle d'alcuna terra rubellata, o d' alcuno barone o d'alcuna cosa che sia bisognevole al Gran Signore, egli cavalca bene duecento miglia in un dì, ovvero duecentocinquanta; e mostrerovvi ragione com'è questo. Quando gli messaggi vogliono andare cosi tosto e tante miglia, egli ha la tavola del girfalco, in significanza ch'egli vuole andare tosto; s'egli sono due, egli si muovono dal luogo ov'egli sono, su due cavagli buoni e freschi e correnti; egli si bendano la testa e 'l capo, e sì si mettono alla gran corsa, tanto ch'egli sono venuti all'altra posta di venticinque miglia; quivi prende due cavagli buoni e freschi, e montanvi su, e non ristanno fino all' altra posta; e così vanno tutto di, e cosi vanno in un di bene duecentocinquanta miglia per recare novelle al Gran Sire, e quando bisognavano, bene trecento. — (Dal Milione, edizione citata, cap. LXXXIII.)

FRANCESCO DA BARBERINO. Francesco di Neri di Ranuccio, dal grosso castello di Valdelsa, dove nacque nel 1264, fu detto da Barberino. » Nulla sappiamo della famiglia, che dovett' essere oscura: del padre, il poeta commenda il senno e la probità. Dopo aver atteso, forse in Firenze, agli studj della grammatica, Francesco passò ad apparar notaría nello Studio di Bologna in un documento, steso in questa città del 1294, egli figura infatti colla qualifica di « notaio.» Vuolsi da taluno ch'ei vedesse quindi la curia romana, pontificando Celestino; in ogni modo nel 1296 egli era richiamato nel natio castello dalla morte del padre; e l'anno appresso, il 30 agosto, vi dettava il proprio testamento. Subito dopo però lasciò, e questa volta per sempre, Barberino. Tornato a Firenze entrò, qual notaio, nella cancelleria vescovile: ne fanno testimonianza i numerosi documenti da lui rogati fra il 10 giugno 1297 ed il 10 novembre 1303. Questi sette anni ebber grande importanza nella vita di ser Francesco. Vicino a Dante, al Cavalcanti, al Compagni, a molt'altri, rivolti tutti a poetare, a filosofare, il buon notaio si senti crescer le penne, cantò una Costanza, disputò d'amore e raccolse gli elementi de' suoi futuri lavori. In questo tempo ei condusse anche donna, sebbene da giovine fosse entrato negli ordini (una bolla pontificia lo dice a clericus conjugatus »), e n'ebbe cinque figliuoli. La tranquilla e laboriosa esistenza del da Barberino fu però circa il 1304 turbata

da avvenimenti gravi, che non conosciamo esattamente. Venuto per ragion di partito in odio all' oligarchia dominante, spiacente, se crediamo a Filippo Villani, a quegli stessi uomini nuovi, dei quali anch'esso, venuto di contado, facea parte, ser Francesco dovette lasciar Firenze e l'ufficio. Dopo aver dimorato un poco a Padova, egli passò a Venezia e quivi, fattisi benevoli i capi dello Stato, ne conseguiva incarichi onorevoli: quello, fra gli altri, di accompagnare in Avignone gli ambasciatori, che nel 1309 recavansi ai piedi di Clemente V per ottenere l'assoluzione dalla scomunica, che aveva colpito la Repubblica. Lunghissime furono le trattative; una nuova ambasceria, per esser riuscita inutile la prima, dovette partire per la curia nel 1311; così ser Francesco, contro ogni sua credenza, si vide forzato a trattenersi in Francia quattr'anni e tre mesi. In Toscana intanto grandi avvenimenti eransi preparati. Enrico VII, creato re de' Romani, scendeva a metter pace nella penisola; e la sua venuta riempiva di speranza tutti gli esuli: al pari di Dante, anche ser Francesco gli indirizzò, a nome della corona imperiale, un' Epistola esortativa che è giunta fino a noi. Ricondottosi a Venezia nella primavera del 1313, il da Barberino vi riceveva, il 30 di maggio, dal messo imperiale l'invito di trovarsi al più presto « cum quinque equis» a Pisa per unirsi alle schiere d' Enrico. Ma la morte di questi, seguita due mesi dopo, ruppe ogni disegno degli esuli. Il da Barberino che nell'agosto avea fatto presentare al vescovo di Firenze una bolla pontificia con cui gli si concedea facoltà di dar l'esame in ambo le leggi, potè però ritornare poco dopo in patria e conseguirvi, fra il 1315 ed il 1316, il berretto dottorale.

Col ritorno di ser Francesco in patria comincia un nuovo periodo della sua vita. Alieno, forse per indole, dalle commozioni politiche, egli ci appare d'allora in poi tutto assorto nella trattazione di quegli affari che a giureconsulto si spettano. Nel 1314, mortagli la prima moglie, sposò Barna di Tanuccio Rinieri e n'ebbe un sesto figliuolo. Nel 1341 fu console de' giudici e notai: nel 1345 imborsato per Priore. Nel 1348 la peste lo rapiva insieme al figlio Filippo, ei pur dottore in diritto civile. Furon entrambi sepolti in Santa Croce, dove è ancora traccia del loro ultimo asilo.

Le opere del da Barberino che ci son giunte, sono fuor di dubbio le più importanti ch'egli abbia dettate. Se andarono infatti smarriti i Fiore di Novelle, da lui composto dopo il ritorno in patria, e taluni componimenti poetici giovanili, ci rimangono il Reggimento e Costumi di donna e i Documenti d'Amore, ambedue in versi di pedestre andamento, qualche volta rimati, in vario metro, e intramezzati da prose. L'uno e l'altro hanno importanza per la storia del costume, e sono, come a dire, Galatei femminili del secolo XIV. Inoltre abbiamo di lui sei canzoni, una ballata, un sonetto, quattro epistole latine. Delle due opere maggiori non è agevole determinare la data: sembra infatti che ser Fran

SCRITTORI VARI.

cesco lavorasse intorno ai Documenti ed al Reggimento insieme da lunghi anni, allorchè le vicende politiche lo costrinsero a rammingar per l'Italia prima, per la Francia poi. Durante il soggiorno in Provenza, non avendo seco il ms. del Reggimento, opera pressochè compiuta, lavorò alacremente intorno ai Documenti e li condusse a termine. Tornato in patria pubblicò questo, quindi diè l'ultima mano al Reggimento. Questo dovette uscir quindi alla luce fra il 1318 ed il 1320 all'incirca: quelli un paio d'anni prima. A metter insieme il testo e il commentario ponderoso de' Documenti il da Barberino aveva faticato tre lustri.

I Documenti d'Amore furono editi da F. UBALDINI, Roma, Mascardi, 1640; i Reggimenti da G. MANZI, Roma, De Romanis, 1815, e poi dal BAUDI DE VESME, Bologna, Romagnoli, 1855. Un saggio delle Glosse latine ai Documenti ha dato O. ANTOGNONI, nel Giorn. di Filolog. romanza, IV, 78.

[Vedi THOMAS A., Francesco da Barberino et la littérature provençale en Italie au M. Age, Paris, 1883; NOVATI F., Franc. da Barberino, notizie biografiche, in Giorn. stor. della letterat. ital., VI, 1885, p. 399 e segg.; THOMAS A., Lettres latines inédites de Fr. de Barb., in Romania, XVI, 1887, p. 73 e segg.; NOVATI F., Enrico VII e Franc. da Barb., in Arch. stor. ital., scrie IV, XIX, 1887, p. 373: cfr. Romania, XVI, p. 571; per le dottrine morali del B. vedi FALCO, Moralisti ital. del Trecento, Lucca, Serchio, 1891, p. 25.]

Feste Nuziali.

Or si conviene oggi mai di mangiare:
Suonan le trombe e li stormenti tutti,
Canti soavi e sollazzi d' attorno;
Frondi con fiori, tappeti e zendali
Sparti per terra,

E gran drappi di seta alle mura;
Argento ed oro, e le mense fornite,
Letti coverti, e le camere allegre,
Cucine pien di varie imbandigioni,
Donzelli accorti a servire, ed ancora
Più damigelle giovani tra loro,
Armeggiando pe' chiostri e per le vie.
Fermi balconi e le loggie coverte,
Cavalier molti e valorosa gente;
Donne e donzelle di grande beltate,
Vecchie nascose in orazione a Dio,
Sian ben servite colà dove stanno.
Vengono vini e confetti abbondanti,
Là son le frutta in diverse maniere.
Cantan gli augelli in gabbia e per li tetti,

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