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fetto e poscia non più nè più volte alcuno altro die, infino a tanto che cotale sposa non sarà data al suo marito: sotto pena di lib. L. di picc. a ciascuno che farà contro tôrre, e per ciascuna volta.

E che l die che si faranno le sposalizie lo sposo, o altri per lui, non possa dare desinare o cena alle donne, che andranno al corteo di quella sposa, sotto la detta pena. E questo non s'intenda delle figliuole o serocchie carnali o nepoti figliuole di figliuolo o di fratello o di serocchia carnale, nè delle serocchie carnali dello sposo: contro le quali o alcuna di quelle non abbia luogo il presente vietamento. E dopo il corteo, quello die che si darà l'anello ad alcuna sposa, non possano ire alla casa della sposa più di iiij. donne. E lo sposo, quello die che si faranno le sponsalizie, non possa menare a casa della sposa a vederla più che iiij. compagni e per simile modo chi dalla parte della sposa verrà per quella medesima cosa, non possa menare seco più che iiij. compagni, sotto la detta pena.

Sposa che di novello n'andrà a marito, possa andare a cavallo, ma tornare a piede a casa del padre o degli altri donde si parti quando prima fu menata al marito, sì come è costume; e con lei, dal suo lato, possano ire alle sue nozze infino in sei donne e non più: e quando a casa del padre o dei suoi tornerà, come è detto di sopra, dopo le fatte nozze, ritorni a piede accompagnata con due donne e con due uomini e non più, sotto pena di lib. C. di picc. per ciascuna che farà contro, e per ciascuna volta. Salvo et espresso, che sposa la quale andasse o fosse menata a marito fuori della cittade di Firenze, o fosse menata, di fuori della cittade di Firenze, a marito nella cittade di Firenze, possa andare e reddire a cavallo sanza pena e salvo le mogli de' cavalieri, le quali in ciascuno de' predetti casi andare e reddire possano sanza pena, e a cavallo e come a loro piacerà.

Alle nozze di sposo o di sposa, che per innanzi si faranno nella cittade di Firenze essere non possano o avere più che xvj. donne, delle quali siano ed essere possano vj. dalla parte della sposa, e le x. dalla parte dello sposo: e in questo novero non sieno compitate ne compitare si possano madre o serocchia o serocchie carnali dello sposo, nè mogli di fratelli carnali o de' fratelli del padre, o femine o fanciulle che steano continuo residenti nella casa dello sposo ad uno pane e ad uno vino: e simigliantemente non possano essere in alcune nozze oltre x. uomini e vij. servidori, li quali servidori, per cagione delle nozze, di nuovo non si possano vestire ad una intaglia o assisa o altro modo. Possansi imper

1 Treggèa è confettura minuta; e vuol dire che la treggèa valga, sia da considerarsi per confettura permessa.

↑ Residenti in casa e viventi in famiglia.

3 Divisa.

tanto avere alle nozze infino in tre giocolari overo buffoni, e non più, sotto pena di lib. C. di pice. a tôrre al marito o sposo in ciascuno de' predetti casi che fatto sarà contro. E che dal die delle nozze e ancora dal seguente die innanzi o poscia, se non in quelli due die, non si possano avere nella casa delle nozze giocolari o servitori; non intendendo servitori in questo caso li residenti nella famiglia della casa delle nozze; sotto pena di lib. XXV. picc. a tôrre a ciascuno sposo, e di lib. X. picc. a ciascuna persona che farà contro o andrà contro alla detta forma. E che in niuno modo fuori della casa delle nozze, di die o di notte, con lume o sanza lume, si possa per alcuno o alcuna, ballare o danzare o carolare, sotto pena di lib. XXV. di picc, a tôrre a ciascuna persona che farà contro o farà fare. E solamente il die delle nozze, nella casa delle nozze, dare si possano confetti, nè prima nè poscia infra V. die, sotto pena di lib. XXV. di picc. E allora solamente dare si possano di due maniere confetti, e la tregèa trita s'intenda essere e sia l'una maniera di confetti: e in alcune nozze non si possano dare più che tre vivande, infra le quali essere possa uno arrosto con torta, se alcuno vorrà, e sieno intese per una vivanda questo specificato e dichiarato, che frutti o confetti non si possano compitare per vivanda. E per lo corredo o desinare delle nozze, non si possano apparecchiare più che venti taglieri per ciascuna vivanda, intendendo per vivanda ravioli, bramangiere tortelletti, sotto pena di lib. XXV. picc, a tôrre allo sposo. Ma nel corredo o desinare delle nozze di cavaliere sposo, fare si possano infino in trenta taglieri di ciascuna vivanda sanza pena. El cuoco che apparecchierà o dovrà cuocere per innanzi ad alcune nozze che si facciano nella cittade di Firenze, sia tenuto e debba, per uno die innanzi che si debbano fare le nozze, di notificare e raportare a l'oficiale del Comune di Firenze, forestiere, diputato per lo tempo sopra l'osservanza de' presenti ordinamenti, le nozze che fare si dovranno per colui per lo quale dovrà cuocere, e quante e quali vivande dovrà apparecchiare, e 'l nome col sopranome dello sposo e del popolo del quale sarà, e 'l die che si dovranno fare le nozze, sotto pena di lib. XXV. picc. a tôrre a quello cotale cuoco. E in quella medesima pena incorra esso cuoco, se più taglieri o più vivande cocerà o apparecchierà che di sopra sia specificato. E se nel desinare delle nozze si darà vitella, non si possano dare altre carni con quella e lo pezzo della vitella non possa essere di maggiore peso di sette libbre e in su uno tagliere non si possa dare più d'uno pezzo di vitella del sopradetto peso,

1 Portate, piatti.

o

2 Dal fr. blanc-manger; ed è un composto di petti di pollo, o polpa di pesce con zucchero e latte.

3 Della cura o parrocchia.

a pena di lib. XV. di picc. per ciascuna volta che sia fatto contro in alcuna cosa: questo dichiarato, che sopra tagliere d'arrosto non possa esser dato o avuto se non solamente uno cappone con torta, o un papero con torta, o uno pajo di starne con torta, o uno pajo di pollastri con uno pippione, o uno pajo di pippioni con uno pollastro, o uno anitroccolo con due pippioni o con due pollastri e non più, sotto la detta pena per ciascuna altra cosa che fia fatto contro. E che trombadori, trombetti, naccheraj, sonatori, o qualunque altri giocolari, non possano avere o ricevere, per cagione di cotali nozze, più che soldi quindici per ciascuno di loro e ciascheduno die, sotto pena di lib. X. picc. per ciascuno di loro che più ricevesse.

Item, che niuna persona, di qualunque etade sia, lo die delle nozze o prima per iiij. die, o poscia infra otto die, dia o mandi o conceda alcuno presente, crudo o cotto, fuori della casa delle nozze, ad alcuna persona, sotto pena di lib. XXV. di picc. a tôrre per ciascuna cosa, così a colui che manderà, come a colui che mandare farà e in simigliante pena incorra in questo caso lo sposo. Salvo che, se lo die delle nozze lo sposo desinassi in altra casa fuori della casa delle nozze, che a lui sia lecito, sanza pena, di farsi recare in cotale casa infino in V. taglieri di catuna vivanda; non imperò valicando il novero di taglieri che si possono apparecchiare per le nozze, si come di sopra è scritto nel precedente ordinamento: e salvo che donare si possa alli cavalieri che accompagneranno la sposa a casa dello sposo, a ciascuno di loro uno pezzo di carne di vitella di peso d'otto libbre al più, uno cappone o due starne o uno papero: e salvo che della casa delle nozze si possa sanza pena presentare, fuori di quella casa, gelatina, qualunque e quante volte piacerà a qualunque persona e li rilievi delle nozze si possano dare alli poveri di Cristo sanza frode, sanza alcuna pena.

Niuna persona possa e le sia licito in alcune nozze o convito, avere o ricevere fibbiette o fanfaluche, se non due castelli di fibiette o fanfaluche, sotto pena di lib. X di picc. per ciascuna volta che sia fatto contro in alcuna delle predette cose, a tôrre allo sposo nella cui casa si metteranno, come a colui che le porterà.

Item, che in casa d'alcuno della cittade di Firenze, il die che in cotale casa si facessero nozze, nè poscia infino alla domenica seguente, non si possa fare o dare merenda, nella quale siino più di x. donne o femine; ed in quella merenda dare non si possa più che di due vivande; e di ciascuna vivanda dare non si possa in quella merenda oltre cinque taglieri. E nella cena delle nozze non si possa apparecchiare

1 Castelli vorrà significare una certa quantità, come ora dozzine o serque o grosse: e fanfaluche vorrà dire altre cose minute e di piccol pregio del mondo muliebre.

più che xv. taglieri e di due vivande, sotto pena di L. lib. di picc. a tôrre allo sposo in ciascuno de' predetti casi per ciascuna volta, se in alcuno de' detti casi fia fatto contro. E intendasi imbandigione in ciascuno de' predetti casi, solce, gelatina, tartera,1 e ciascuna d'esse per sè.

Item, che niuna donna o sposa, o alcuna persona per lei, quello die che di novello va al marito, o il die ch'ella ritornerà a casa del padre o de' suoi congiunti, o poscia quandunque * infra sei mesi, porti o doni o mandi o dia, o dare o donare faccia, alcuno velo o borsa o cintura o scarsella o coreggia, o qualunque altra cosa, ad alcuna persona sotto pena di lib. XXV. di picc. per ciascuna volta che contro alcuna delle predette cose fia fatto e quante volte: salvo che 'l die che la sposa andrà a marito possa donare, per sua scalzatura,3 infino in soldi XX di piccioli a cui vorrà e non più: e possa donare alla sua cameriera o ad altra femina che andrà con lei quando andrà a marito, uno fiorino d'oro e non più, sotto la detta pena; e sotto quella medesima pena a ciascuna altra persona che più maggiori doni riceverà dalla sposa, che di sopra sono specificati, e per ogni volta. (Dagli Ordinamenti contro alli soperchi ornamenti delle donne e soperchie spese de' mogliazzi e de' mariti, volgarizzati dal LANCIA, e pubblicati da P. FANFANI, nell' Etruria, I, 366 e segg., 1851.)

FAZIO DEGLI UBERTI. Gli Uberti eran famiglia potente e che mirava a farsi grande fino dal secolo XIII; e intorno ad un Uberto Cesare s'intrecciano leggende che si confondono con quelle che si raccontano delle origini di Firenze. Ebbero consoli nel XII e XIII secolo e un santo (Bernardo). Per le notissime lotte che ebbero coi Buondelmonti si volsero alla parte ghibellina: famoso è quel Manente d'Iacopo di Schiatta, che è il Farinata dantesco, e pur famose sono le sventure che colpirono poi, con persecuzioni ed esilj, questa famiglia. Intorno a Fazio non sono, nemmen oggi, nè troppo copiose nè sicure le notizie. Fu figliuolo di Taddeo di Lapo di Farinata; si chiamò propriamente Bonifazio e nacque, probabilmente, in Pisa, tra il 1305 e il 1309 stile comune. Passò la giovinezza in Lombardia e nel Veneto presso i Visconti, gli Scaligeri e, fors' anche, presso i Carraresi, rendendo servigj a Luchino Visconti e ad altri signori. Nel 1336 era in Verona. Viaggiò in Francia e nella Germania meridionale. Menò anche vita dissipata, correndo dietro a varj amorazzi; ma costantemente amò la Ghidola Malaspina, maritata a Feltrino di Montefeltro. Dal 1318 o 1350

1 Solce, carne trita e acconcia nell' aceto; tartera o tartara, torte inzuccherate. 2 Quando si voglia.

3 Mancia, che prende il nome dall' ufficio pel quale è data.

comincia nella sua vita un periodo di raccoglimento e di studio. Si trovò spesso a soffrire la povertà: piegò sua costa, è vero, a' signori, meno rigido in questo de' suoi forti antenati; ma nel profondo dell'animo si lascia sempre scorgere fermo nelle sue opinioni antiguelfe. Mori dopo il 1368.

Di lui non abbiamo che versi: certamente, poi, ebbe maggior valore nelle liriche. Lasciò canzoni, sonetti, una frottola, una laude. Molte rime gli si attribuirono senza ragione, che ha ora sceverate dalle autentiche il suo ultimo editore (Liriche edite e inedite di F. D. U., testo critico, ec., per cura di R. RENIER, Firenze, Sansoni, 1883). Sono assai delicate molte rime amorose, nelle quali cantò con ispirazione vera e con sentimento vivo della natura. Altre liriche animò di robusto sdegno ed entusiasmo politico.

Circa i quarantacinque anni cominciò a comporre il Dittamondo (Dicta mundi), poema in terza rima, che è una rappresentazione geografico-storica del mondo conosciuto, in forma di viaggio compiuto sotto la guida del geografo Solino e d'altri, con evidente scopo d'imitar Dante, specie ne' primi canti. Attese a quest'opera in varj tempi e la lasciò incompiuta (1a edizione, Vicenza, Leon. Da Basilea, 1474). Nonostante che anche Fazio nell' imitazione dantesca non dia prova d'altro che d'una viva ammirazione per il divino poeta, non mancano nel poema alcuni tratti veramente felici. Si ha del Dittamondo un commento inedito di un Guglielmo Cappello.

[Per le notizie biografiche e bibliografiche, v. l' Introduzione del RENIER all'ed. citata, e dello stesso nel Giorn. di Filol. rom., vol. III, Versi greci del Dittamondo. V. anche TH. PAUR, F. d. U., ein Epigone Dante's, nel Neues Lausitzisches Magazin, 67, 2.]

Roma.

giugnemmo sopra un fiume,

Che si spandea per una bella valle;
Sopra la quale per lo chiaro lume
Del sol, ch'era alto, ivi una donna scorsi:
Vecchia era in vista, e trista per costume.
Gli occhi da lei, andando, mai non torsi;
Ma poichè presso le fui giunto tanto
Ch' io l'avvisava senza nessun forsi,

Vidi il suo volto, ch'era pien di pianto,

Vidi la vesta sua rotta e disfatta,
E raso e guasto il suo vedovo manto.
E con tutto che fosse così fatta,
Pur nell'abito suo onesto e degno
Mostrava uscita di gentile schiatta.1

1 Appariva di esser uscita ec., e così sotto mostrate sì gentile.

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