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prossimarsi a schiumare, prese un' asse, e colla corda se la legò al corpo molto bene istretta, e poi saltava dall' una pentola all'altra, ch'era uno diletto. Considerando ogni cosa con sua grande ricreazione questo frate, esce fuori di cucina, e truova gli altri frati, e dice: Io vi so dire, che frate Ginepro fa nozze. I frati ricevettero quel dire per beffe. E frate Ginepro lieva quella pentola dal fuoco, e fa suonare a mangiare; gli frati si entrano a mensa, e viensene in refettorio con quella cucina sua, tutto rubicondo per la fatica e per lo calore del fuoco, e dicea alli frati: Mangiate bene, e poi andiamo tutti all'orazione, e non sia nessuno che cogiti più a questi tempi1 di cuocere ; perocch'io ho fatta tanta cucina oggi, che io ne avrò assai più di quindici di. E pone questa sua pultiglia a mensa dinanzi a' frati, che non è porco in terra di Roma si affamato che n'avesse mangiato. Loda frate Ginepro questa sua cucina, per darle lo spaccio; e già egli vede che gli altri frati non ne mangiano, e dice: Or queste cotali galline hanno a confortare il célabro; e questa cucina vi terrà umido il corpo, ch'ella è si buona. E istando li frati in tanta ammirazione e devozione a considerare la devozione e semplicità di frate Ginepro, el guardiano, turbato di tanta fatuitade e di tanto bene perduto, riprende molto aspramente frate Ginepro. Allora frate Ginepro si getta subitamente in terra in ginocchioni dinanzi al guardiano, e disse umilmente sua colpa a lui e a tutti li frati, dicendo: Io sono uno pessimo uomo: il tale commise il tale peccato, il perchè gli furono cavati gli occhi; ma io n'era molto più degno di lui: il tale fu per li suoi difetti impiccato; ma io molto più lo merito per le mie prave operazioni: ed ora io sono stato guastatore di tanto beneficio di Dio e dell'Ordine; e tutto così dolendosi, si parti, e in tutto quello di non apparve dove frate nessuno fusse. E allora il guardiano disse: Frati miei carissimi, io vorrei che ogni di questo frate, come ora, sprecasse altrettanto bene, se noi l'avessimo, e solo se ne avesse la sua edificazione, perocchè grande semplicitade e caritade gli ha fatto fare questo. ·(Dalla Vita di fra Ginepro, cap. X. Secondo l'edizione del p. CESARI, Verona, 1822.)

SANTA CATERINA DA SIENA. Non è agevole impresa, nella vita di questa Santa, sceverare sempre la storia dalla leggenda e l'umano dal soprannaturale, cui essa credè e aggiunser fede i suoi discepoli e devoti. Nacque in Siena nel marzo 1347 dal tintore Iacopo Benincasa e da Lapa di Puccio Piagenti, nella contrada dell'Oca. Dimostrò ben presto tendenza alla vita di pietà e reli

1 Pensi più durante questi giorni ec.
2 Cervello.
3 Pietanza.

gione; nè valsero minacce e lusinghe a trattenerla dal farsi monaca e dal mortificare aspramente la carne. Nel 1362 fu ricevuta tra le mantellate terziarie domenicane; e visse nella solitudine d'una stanza, in sua casa, compiendo opere di carità, che non sempre le furono rimeritate di gratitudine. Tardi imparò a leggere (ed ella credeva per miracolo), e più tardi ancora (1378) a scrivere. Nel 1374 si segnalò per atti di carità e abnegazione nella pestilenza che afflisse Siena. Per mandato speciale di Gregorio XI, si diede tutta a cercare di ricondurre anime a Dio. Nel 1375 si recò a Pisa e v'ebbe festose accoglienze: quivi cominciò a vagheggiare, come mezzo di pacificazione fra' cristiani, una grande crociata in Oriente. Nel 1376 fu inviata da' Fiorentini qual mediatrice di pace al papa in Avignone, e vi perorò in concistoro. Colà, frustrato il primo scopo, cooperò validamente a indurre Gregorio XI a ristabilire la sede a Roma, e vi riuscì (1377). Tornò poi a Siena, d'onde fu mandata dal papa a metter pace a Firenze (1378), e vi trovò amarezze, non senza rischio della vita (N. TOMMASÈO, Moti fiorentini del 1378, in Arch. stor. ital., N. S., 1860, t. XII, p. 21 e segg.). Dette opera efficacissima a far prevalere Urbano VI sull'antipapa Clemente VII e a riconciliare i Fiorentini col papa, che la volle a Roma, ove andò colla madre e coi fidi discepoli. Ricercata da eremiti e da principi, da cardinali e popolani, dette consigli e responsi; molti di questi, in quei rapimenti dello spirito, che ebbe spesso, e che la fede ammette senza discussicne, la scienza tenta spiegare (v. A. ASTURARO, S. C. da S., osservaz. psico-patolog., Napoli, Morano, 1881). Affranta dalle sofferenze che aveva imposte al suo corpo, morì in Roma il 29 aprile del 1380; fu sepolta nella chiesa de' Domenicani, e nel 1855 trasportata con gran pompa in Santa Maria della Minerva: la sua testa conservano, preziosa reliquia, i Senesi, che trasformarono in oratorio la sua casa, e l'ebbero dichiarata santa dal papa senese Pio II nel 1461.

Abbiamo di lei un lungo dialogo, dettato in estasi, e compiuto il 13 ottobre 1378, detto comunemente Della Divina Provvidenza (1a ediz., Bologna, 1472). Andò perduto un suo trattato sui Vangeli; rimangono invece le parole di lei morente, raccolte dai discepoli, e alcune preghiere. Importantissime sono le Lettere, assai numerose: le più furono dettate, alcune scritte dalla stessa Santa; son dirette a persone di condizione diversissima, papi, principi, cardinali, parenti, popolani. (La prima raccolta fu stampata a Bologna nel 1492: l'edizione migliore è di N. TOMMASEO, Firenze, Barbèra, 1860, vol. 4. Vedi E. FERRERO, Di un cod. delle lett. di S. C. d. S., in Atti d. Accad. d. Scienze di Torino, 1879, vol. XV, p. 873 e segg.) Pur nell'uniformità della intonazione ascetica, anche noi moderni sentiamo in esse la forza di quella libertà del giudicare, l'ardore di quello spirito di carità cristiana, che viene alla scrittrice dall'ispirazione della Bibbia, dalla potenza affettiva del suo cuore, dalla gagliardia virile (e questa è parola preferita dalla Santa) dell' animo suo; e

SCRITTORI VARI.

tra le immagini e le parabole talvolta rudi, suona schietto ed agile il bell' eloquio senese. Girolamo Gigli, nel Vocabolario cateriniano, difese gli idiotismi della lingua da lei usata, trascendendo poi ad una vera battaglia contro la Crusca, che non aveva volute citare le opere della Santa (v. M. VANNI, G. Gigli nei suoi scritti polemici e satirici, Firenze, Cooperativa, 1888, p. 51 e segg.). Queste lettere di santa Caterina sono superiori a tutte le lettere, assai copiose, ascetiche e religiose del tempo. Un confronto di lei con santa Caterina de' Ricci fece G. CAPPONI, in Scritti editi ed ined., Firenze, Barbèra, 1877, vol. I, p. 202 e segg.; e già nella Storia della Repubbl. di Firenze, Firenze, Barbèra, 1875, t. I, p. 323, così aveva egli scritto della Santa: « Fu grave ingiustizia non averla contata tra' sommi di quella età della lingua. Si discosta ella da ogni forma dove appaia un'arte che sia consapevole di sè stessa; invece dell'arte sta il naturale svolgimento del pensiero, ed ogni cosa piglia suo luogo, e quelle parole hanno più rilievo che aveano avuto prima nella voce più vivo l'accento. Imperocchè quella mirabile giovinetta dettava d'impeto le sue lettere quante volte amore spirava: un solo è il subietto di tutte, se vuolsi, ma è tale subietto che ha in sè l' infinito. » Cfr. anche sulla dottrina mistica della Santa, F.FALCO, Pensieri filosof. di S. C. da S., Lucca, tip. del Serchio, 1890.

[La più ampia raccolta delle opere di santa Caterina fu stampata da G. GIGLI, in quattro volumi. Il più antico biografo è frate RAIMONDO DA CAPUA, Vita Catharina senensis, ec., Colonia, 1553: ne fu fatto un volgarizzamento italiano edito in Firenze, Ripoli, 1477: un ristretto è la Leggenda minore di S. C. d. S., con lettere dei suoi discepoli, pubbl. da F. GROTTANELLI, Bologna, Romagnoli, 1868. Vedi anche Leggenda di S. C., pubblicata da A. CERUTI, in Propugn., anno XI (1878), p. 443 e segg. Quanto a lavori moderni, oltre al proemio del TOMMASÈO all' ediz. citata, sono da consultare A. CAPECELATRO, Storia di S. C. d. S., Firenze, Barbèra, 1858 (e quivi, a p. 439 e seg., la bibliografia), C. HASE, C. von S., ein Heiligenbild, Leipzig, 1864; M. A. MIGNATY, Cath. de Sienne, etc., Paris, Fischbacher, 1886.]

Della mala condizione della Chiesa e del mondo, lettera a Papa Gregorio XI. — Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce. Santissimo e carissimo e dolcissimo padre in Cristo dolce Gesù, io vostra indegna figliuola Catarina, serva e schiava de servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio che ho desiderato di vedere in voi la plenitudine della divina grazia; si, e per siffatto modo che voi siate strumento e cagione, mediante la divina grazia, di pacificare tutto l'universo mondo. E però vi prego, padre mio dolce, che voi, con sollicitudine ed affamato desiderio della pace e onore di Dio e salute

dell' anime, usiate lo strumento della potenzia e virtù vostra. E se voi mi diceste, padre: - Il mondo è tanto travagliato! in che modo verrò a pace? - dicovi da parte di Cristo crocifisso: Tre cose principali vi conviene adoperare con la potenzia vostra. Cioè, che nel giardino della santa Chiesa voi ne traggiate li fiori puzzolenti, pieni d'immondizia e di cupidità, enfiati di superbia; cioè li mali pastori e rettori, che attossicano e imputridiscono questo giardino. Oimè, governatore nostro, usate la vostra potenzia a divellere questi fiori! Gittateli di fuori, che non abbino a governare. Vogliate ch'egli studino a governare loro medesimi in santa e buona vita. Piantate in questo giardino fiori odoriferi, pastori e governatori che siano veri servi di Gesù Cristo, che non attendano ad altro che all'onore di Dio e alla salute dell' anime, e sieno padri de poveri. Oimè, che grande confusione è questa, di vedere coloro che debbono essere specchio in povertà volontaria, umili agnelli, distribuire della sustanzia della santa Chiesa a' poveri; ed egli si veggono in tante delizie e stati e pompe e vanità del mondo, più che se fussero mille volte nel secolo! Anzi, molti secolari fanno vergogna a loro, vivendo in buona e santa vita. Ma pare che la somma e eterna Bontà faccia fare per forza quello che non è fatto per amore: pare che permetta che gli stati e delizie siano tolti alla sposa sua, quasi mostrasse che volesse che la Chiesa santa tornasse nel suo stato primo poverello, umile, mansueto, com'era in quello tempo santo, quando non attendevano altro che all'onore di Dio e alla salute dell' anime, avendo cura delle cose spirituali, e non temporali. Chè, poi ch'ha mirato più alle teinporali che alle spirituali, le cose sono andate di male in peggio. Però vedete che Dio per questo giudizio gli ha permessa molta persecuzione e tribolazione. Ma confortatevi, padre, e non temete per veruna cosa che fusse addivenuta o addivenisse, chè Dio fa per rendere lo stato suo perfetto; perchè in questo giardino si paschino agnelli, e non lupi divoratori dell' oncre che debbe essere di Dio, il quale furano, e dánnolo a loro medesimi. Confortatevi in Cristo dolce Gesù; che io spero che l'adiutorio suo, la plenitudine della divina grazia, il sovvenimento e l'adiutorio divino sarà presso da voi, tenendo il modo detto di sopra. Da guerra verrete a grandissima pace, da persecuzione a grandissima unione: non con potenzia umana, ma con la virtù santa sconfiggerete le dimonia visibili delle inique creature, e le invisibili dimonia, che mai non dormono sopra di noi.

Ma pensate, padre dolce, che maleagevolmente potreste fare questo, se voi non adempiste l'altre due cose che avanzano a compire l'altre: e questo si è dello avvenimento vostro, e drizzare il gonfalone della santissima croce. E non vi manchi il santo desiderio per veruno scandalo né ribellione di città che voi vedeste o sentiste; anzi più s'accenda

il fuoco del santo desiderio a tosto volere fare. E non tardate però la venuta vostra. Non credete al dimonio, che s'avvede del suo danno, e però s'ingegna di scandalizzarvi, e di farvi tòrre le cose vostre perchè perdiate l'amore e la carità e impedire il venire vostro. Io vi dico, padre in Cristo Gesù, che voi veniate tosto come agnello mansueto. Rispondete allo Spirito Santo, che vi chiama. Io vi dico: Venite, venite, venite, e non aspettate il tempo, chè il tempo non aspetta voi. Allora farete come lo svenato agnello, la cui vice voi tenete; che con la mano disarmata uccise li nemici nostri, venendo come agnello mansueto, usando solo l'arma della virtù dell'amore, mirando solo avere cura delle cose spirituali, e rendere la grazia all'uomo che l'aveva perduta per lo peccato.

Oimè, dolce padre mio, con questa dolce mano vi prego e vi dico, che veniate a sconfiggere li nostri nemici. Da parte di Cristo crocifisso vel dico: non vogliate credere a' consiglieri del dimonio, che volsero impedire il santo e buono proponimento. Siatemi uomo virile, e non timoroso. Rispondete a Dio, che vi chiama che veniate a tenere e possedere il luogo del glorioso pastore santo Pietro, di cui vicario sète rimasto. E drizzate il gonfalone della croce santa: che come per la croce fummo liberati (così disse Paolo), così levando questo gonfalone, il quale mi pare refrigerio de' Cristiani, saremo liberati, noi dalla guerra e divisione e molte iniquità, il popolo infedele dalla sua infidelità. E con questi modi voi verrete, e averete la riformazione delli buoni pastori della santa Chiesa. Reponetele il cuore, che ha perduto, dell'ardentissima carità: chè tanto sangue li è stato succhiato per gl'iniqui devoratori, che tutta è impallidita. Ma confortatevi, e venite, padre, e non fate più aspettare li servi di Dio, che s'affliggono per lo desiderio. E io misera miserabile non posso più aspettare: vivendo, mi pare morire stentando, vedendo tanto vituperio di Dio. Non vi dilongate però dalla pace, per questo caso che è addivenuto di Bologna; ma venite: chè io vi dico che li lupi feroci vi metteranno il capo in grembo come agnelli mansueti, e dimanderanno misericordia a voi, padre.

Non dico più. Pregovi, padre, che ôdiate, e 'scoltiate quello che vi dirà frate Raimondo e gli altri figliuoli che sono con lui, che vengono da parte di Cristo crocifisso, e da mia; che sono veri servi di Cristo e figliuoli della santa Chiesa. Perdonate, padre, alla mia ignoranzia; e scusimi dinanzi alla vostra benignità l'amore e dolore che mel fa dire. Datemi la vostra benedizione. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore. (Dall'ediz. del TOMMASEO, lett. 206.)

1 La ribellione di Bologna nel 1876.

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