Lamento in morte di un giovane cavaliere. Spietata Morte e fera, Certo sei da biasmare Di te mi blasmo, chè tolto Dipartito hai, micidera, Lo più verace amore Che tra me e il più fino era, In cui era valimento Fatt hai grande fallenza: Ch'a null' uom rincrescimento A ciascuno a piacimento Maladetta sia ad ogni ore, 1 il mio diporto, il conforto mio; partimento, dipartenza. 2 micidera, omicida; valimento, valore; fallenza, fallo; piacenza, piacere. 3 soperchianza, sopruso; ad ogni mano, a mano, affabile; serventese, servizievole. Che era in veritate, Di tutte bontà fontana E d'ogni umilitate! (Dalle Rime volgari sec. il cod. Vat. 3793, I, 412.) GUITTONE D'AREZZO. Guittone (e di questo nome non è chiaro ond' egli derivi), di casato, a quanto pare, del Viva, nacque a Santa Firmina presso Arezzo, non si sa bene quando. Alcune notizie della sua vita si ricavano dagli stessi suoi scritti. Suo padre Miehele fu camarlingo del Comune di Arezzo, e in questo ufficio fu coadiuvato da lui. Prese moglie di nome Archina, e n'ebbe figli. Si ascrisse prima del 1269 all'ordine de' cavalieri di Santa Maria gloriosa, detti poi frati godenti (fondato in Bologna nel 1261), che accoglieva in sè anche gli ammogliati e le donne, sicchè non ne deriva, come alcuno scrisse, ch'egli abbandonasse perciò i suoi. Nel 1285 era a Bologna in relazione di affari coi frati godenti di quella città (G. GOZZADINI, Cronaca di Ronzano, Bologna, 1851, pag. 184-5). Donò nel 1293 le sue sostanze per la fondazione del monastero degli Angeli in Firenze. Mori nel 1294, forse in Firenze. Scrisse in versi e in prosa volgare. Due periodi si possono segnare nella sua operosità poetica: nel più antico furon composte le rime amorose, nel più recente quelle morali, religiose e politiche. Sono numerose assai: canzoni, nell' organismo metrico delle quali introdusse qualche novità: sonetti, che scrisse anche doppi e rinterzati, e che adoprò anche in serie, come metro didascalico. Furono attribuite a lui non poche rime, poi riconosciute apocrife, e tali sono specialmente tutte quelle (27 sonetti, due ballate e due canzoni) della raccolta Giuntina. Il sonetto, ad es.: Quanto più mi distrugge il mio pensiero è del Trissino. La più compiuta ediz. delle sue rime, è quella di L. VALERIANI, Firenze, Morandi, 1828. Parecchie di queste e altre inedite, tratte dai mss. vaticano 3793, palatino 418, laur.-rediano 9, trovansi nelle raccolte D'ANCONACOMPARETTI (vol. II e IV) e BARTOLI-CASINI, Bologna, Romagnoli, 1850, e CASINI, Testi ined. di antiche rime volg., Bologna, Romagnoli, 1883. Delle lettere, otto sono poetiche, le altre in prosa, e furono già edite da G. BOTTARI, Roma, 1745, con note. Trovansi tutte nel codice laur.-rediano 9, e sono in generale d'argomento morale e religioso. Come poeta fra Guittone mostra chiaramente d'aver messo studio diligente ne' trovatori, de' quali riprodusse molti artificj di forma, come la replicazione, l'allitterazione, le rims cars ec. Nè meno chiaro è il gusto suo del latineggiare, che dimostra ancor più nella prosa. Egli fu caposcuola, e d'intorno a lui si raggruppano alcuni fiorentini, senesi, lucchesi, e in particolar modo Galletto, Bacciarone, Pucciandone Martelli e altri rimatori pisani (cfr. E. MO NACI, Da Bologna a Palermo, in MORANDI, Antol. d. crit. mod., p. 231). Dante (Purg., XXVI, 124-126, e cfr. De vulg. eloquentia, II, 6) e il Petrarca (Trionfo d'Amore, cap. IV, 32-33) accennano al favore e alla fama di che Guittone godè un tempo. Ma Dante (Purgatorio, XXIV, 55-57), esponendo il canone della nuova scuola poetica, accenna anche al nodo che come i provenzaleggianti così anche Guittone e i guittoniani ritenne di qua dal dolce stile poetico. Le lettere di fra Guittone sono de' più antichi esempi di prosa letteraria, e una ne riferiamo. Non mancano neppure in queste parole e costrutti derivati dal provenzale, ma la pretesa che egli ebbe di fare una prosa con arte di stile, si rivela nell'imitazione strana e faticosa del periodare latino. Ad ogni modo, volle egli uscir dalla via trita e dar esempj di poesia e di prosa culta nel novello volgare sicchè ha fra gli antichi scrittori fisonomia sua propria, sebbene con tratti duri, angolosi, e qualche volta grotteschi. [Per la biografia, vedi oltre le introduzioni alle cit. ed. di G. BOTTARI e L. VALERIANI, P. VIGO, Delle rime di fra G. d'A., in Giornale di fil. romanza (gennaio 1879), e il lavoro, del resto non molto sicuro, di W. KOKEN, Guittone's v. A. Dichtung und sein Verhältniss zu Guinicelli von Bologna, Hannover, Riemschneider, 1885.] A Firenze, dopo la rotta di Montaperti (1260). Ahi lasso! or è stagion di doler tanto Chè l pregio è già quasi tutto perito, E l'onorata sua ricca grandezza E lo valore el poder si disvia. Ahi lasso! or quale dia Fu mai tanto crudel dannaggio udito? 1 Che dritto pèra, e torto entri in altezza ? 1 Altezza tanta in la sfiorata Fiore Fu, mentre vêr se stessa era leale, Aquistando per suo alto valore Province e terre, presso e lunge, mante; 1 I primi versi sembrano voler dire: è meraviglia che vi sieno ancora dei buoni superstiti. Fior, Firenze; granata, granita, fiorente; avaccio, subito; ricoverata, rimessa in buon grado; pregio, onoranza; dia, di'; dannaggio, danno; soffrito, sofferto. E sembrava che far volesse impero, Di far ciò, si trasse avanti tanto, U non sonasse il pregio del Leone.1 Leone, lasso! or non è, ch'io lo veo E per la grand' altezza ove gli mise Ed e fe' lor perdono, Ed anche il rifedir poi, mal fu forte હું. Or hanno lui e sue membra conquiso.2 E di Maremma e Laterina ha il frutto. Have, con ciò che seco avea di bene; Per quella schiatta ch'è più ch'altra folle." 1 mante, molte; leggero, facile; non contrastante, nessuno contrastandoglielo; non se ne penava, non si travagliava ad acquistarlo, tanto a suo vantaggio, quanto per mantenere giustizia e pace; fulli amoroso, le piacque; si trasse avanti, progredì per modo; il Leone, o Marzocco, era l'insegua del Comune di Firenze. 2 veo, veggio; lignaggio, la sua gente; a gran reo, a gran torto; stratti, estratti; in bono, in buono stato; Innantir, avanzarono tanto, presero tanto orgoglio; rifedir, ferirono di nuovo: perdono, risparmiò ad essi. 3 ha il frutto, possiede: a suo, come suo; la campana, la Martinella del Carroccio; quella schiatta, gli Uberti e loro consorti ghibellini. Foll' è chi fugge il suo prò e chêr danno, A gran piacer, s'adduce a suo gran danno E suo signor fa suo grande nemico. Le spade lor, con che v'han fessi i visi E piacemi che lor deggiate dare, Fatica assai, di vostre gran monete.' Monete mante e gran gioi' presentate Or dunque pare che ben tutto abbiate Potete far cioè re del Toscano.* Baron lombardi, romani e pugliesi Chè fare vuol di sè re de' Toscani, Have conquisi per forza e i Sanesi.3 Lettera esortativa a una donna. (Rime volg., II, 225.) Soprappiacente donna, di tutto compiuto savere, di pregio coronata, degna mia donna compiuta, Guittone, vero devotissimo fedel vostro, 1 chêr, cerca; 'i, gli; A gran piacer, con gran piacere, soddisfazione; divenuto, accaduto; vi adagia, vi piaccia, vi convenga; Servitei, serviteli; fessi, rotti. mante, molte; gioi', gioie; presentate, offrite in dono; lago, il Trasimeno; re del Toscano, padroni di tutta Toscana : e questo e quel che precede e il rimanente sino in fine, è amara ironia. 3 corte, come tenesse corte bandita. |