questo dolce Cristo che ci dea grazia di fare penitenzia de nostri peccati, acciò che al nostro trapassamento abbiamo la sua gloria di paradiso. (Secondo la cit. ediz. Romagnoli, 1870.) LAPO DA CASTIGLIONCHIO. Nacque nel primo decennio del secolo XIV in Firenze, dell' antica famiglia dei signori da Quona, divisi poi nei da Volognano e nei da Castiglionchio. Studio il diritto nell' Università di Bologna, e riuscì esimio giureconsulto, specialmente in diritto canonico, e professò anche nello studio di Firenze. Coltivò le lettere, ed ebbe l'amicizia di Francesco Petrarca e di Coluccio Salutati: di taluni de' libri da lui raccolti o composti v'è ricordo nel Libro Memoriale de' figliuoli di m. L. d. C. pubbl. da P. NOVATI, Bergamo, Cattaneo, 1893. Uomo di parte, dopo avere contrastato alle ambizioni delle famiglie rivali, che volevansi arrogare la maggioranza in Firenze, divenuto uno de' Capitani di Parte Guelfa, e come il capo e l'anima di cotesta oligarchia faziosa, nel 1378 fu tra i primi contro i quali si levò il popolo, bruciandogli le case e obbligandolo a fuggire travestito. Processato e bandito, non rivide mai la patria; e fermatosi a Padova, vi professò ragione canonica, finchè, discendendo in Italia Carlo della Pace, fu da lui condotto seco a Roma, dove lo aiutò in importanti negozj politici, e dal Papa fu fatto avvocato concistoriale e senatore di Roma. Morì il 27 luglio 1381. Di lui abbiamo a stampa in volgare una Epistola ossia Ragionamento a Messer Bernardo suo figlio, nella quale tratta della nobiltà in genere, e poi di quella della propria stirpe. Essa fu pubblicata dal MEHUS, in Bologna, Corciolani, 1753, preponendovi la vita dell' autore. Ricordi autobiografici e domestici. Io proprio essendo stato lungo tempo cherico, e piovano della pieve di Miransù, e così studiato, e divenuto dottore, e letto più anni, e sperava per quella via di venire in istato, niente meno veggendo la nostra famiglia quasi mancare di persone, per zelo della nostra famiglia e per avere famiglia, presi moglie quella che ancora è, cioè la tua madre, la quale fu figliuola di Bernardo di Benincasa Folchi : il quale Benincasa fu un savio uomo antico e guelfo, e fu al suo tempo nel reggimento della città de' maggiori popolani del quartiere di S. Giovanni, e tutti gli ufficj maggiori ebbe; fratelli e consorti assai; ebbe un figliuolo, ch' ebbe nome Bernardo, il quale fu giovane di bella, savia e riposata maniera: dilettossi di leggere e di studiare. Costui tolse per moglie monna Masa, figliuola di messer Iacopo de' Medici, sirocchia d'Averardo de' Medici, il più grazioso uomo di casa Medici al tempo suo; e per cui ha nome Averardo il mio. minor fanciullo, fra tello tuo, per reverenza della detta monna Masa tua avola e sirocchia del detto Averardo, il quale amo molto, e del piovano Forese: donna di grande prudenza e di grande onestade. Di lei ebbe due figliuoli, uno maschio e che ha nome Bernardo, e una femmina cioè Margherita, la quale è mia donna e tua madre, della quale ho generato te e' tuoi fratelli e sirocchie. E infra l'altre grazie che Iddio m'ha fatto, che sono molte, fu avere lei; perciocchè di lei ho acquistata grande famiglia, honne avuto in danari ed altre cose assai d'utile e profitto, e soprattutto la sua prudenza, senno e sollecitudine in allevare la sua famiglia e a fare la sua masserizia bene: bene accompagnata di consiglio e ajuto della detta monna Masa sua madre, la quale per materna carità la detta mia donna, tua madre e sua figliuola unica, morto il detto Bernardo suo figliuolo, mai non volle abbandonare con grande onore e profitto di te, de' tuoi fratelli e sirocchie. Ho detto piu lungo di mio matrimonio che degli altri, perocchè fa allà materia principale, cioè della tua origine. Consiglio e comandoti che sempre in ogni cosa e luogo tu abbi grandissima reverenza a essa tua madre, e a essa tua avola, e loro onora quanto la mia propria persona. Ora possiamo da' parentadi raccogliere, che la nostra famiglia è discesa e nota per madri delle dette famiglie: cioè Pazzi di Valdarno, Cappiardi, Ferrantini, Cavalcanti, Galli, Ferraboschi, Frescobaldi, Tifi, Cerchi, quelli da Quarata, quelli di Benincasa Folchi, Ciuriani, Abbati, Bellandi, quelli da Sommaja, Fagiolari, Bonaguisi, quelli da Feghine, Covoni. De`parentai fatti da' nostri avoli addietro, si è la cosa antica, che nulla ne truovo. Voleva ora dire de' parentadi fatti per noi dando delle nostre donne ad altri, ma veggio che l'opera cresce troppo: e però passerò, e dirò pure di noi proprio. Io ebbe quattro sirocchie; l' una ebbe nome Feca: questa fu insino da giovane inferma per modo, che più onesto era a non maritarla: non piacque alla madre di metterla in monistero, ma per lo detto difetto la maritò a un ricco uomo di bassa foggia, che fu chiamato Giovanni Berlinghieri, che n'è uno figliuolo, cioè Berlinghieri. Costei fu donna di grande coscienza, di grande purità, e niente meno di rilevato animo e grande. L'altra ebbe nome Orsa: fu maritata a Niccolò di Guidalotto Bernotti, il quale in quel tempo era ricco e amato mercatante: era di Borgo Santo Apostolo d'una antica famiglia: ébbene molti figliuoli, bene che tutti sieno morti, fuori d'uno che oggi è piovano di Miransù: fu costei donna di grande coscienza e pura condizione, e onestissima. L'altra ebbe nome Nora: fu moglie di Zanobi di messer Iacopo degli Amieri, bello, savio e ricco donzello; ébbene bella famiglia, benchè tutti morissero. Costei fu donna di grande spirito e di grande onestà: dilettossi di leggere e studiare la Santa Scrittura, e conversare con persone spirituali; fu molto cara e accetta al suo marito nella vita, e quando mori la lasciò riccamente, benchè tutto distribuisse per Dio e per l'anima del marito. Torno al proposito, e dico che truovo che la Chiesa de' frati Minori di Firenze fu fondata da prima nel MCCC come racconta Giov. Villani nella sua cronica; e truovo che sopra l'arco della porta della entrata principale del luogo de' frati, fu posto e murato nel muro uno scudo di marmo dell' arme nostra, il quale vi stette insino a' di miei, che lo edifizio antico si disfece e formossi il nuovo, che oggi è ancora imperfetto. E poi quando fu fatta la faccia nuova della Chiesa dinanzi, a`mia richiesta fecero li frati rimettere a mie spese uno scudo dell'arme nostra nella detta faccia dal lato dentro alla Chiesa, appunto in quello luogo dove era stata la porta antica, e il detto scudo antico del marmo con l'arme nostra così è ora: nel qual luogo, se Iddio il concede, intendo di fare una cappella, e ivi la mia sepoltura, quando a Dio renderò la mia anima, la quale conceda a me esso Iddio di fare si che sia a lui accetta. Truovo ancora, che, comechè i detti nostri progenitori tornassero a stare a Firenze già sono lunghissimi tempi, niente meno, perciocchè non discesero mai ad arti nè a mercatanzia, usavano più in contado alle loro tenute uccellando e cacciando e tenendo loro usanze e grandigie, che in città insino agli avoli nostri, sicchè nella cittadinanza in quelli tempi non presero grande fama; come quelli da Ricasoli, i quali stati nobili antichi e grandissimi uomini nel contado di Firenze, nella cittadinanza non presero mai grande fama, nè mai non curarono d'avere nella città loro siti, ritenendosi pur con la grandigia del contado. Ma pure truovo che messer Ruggieri dottore fu de' Signori Priori di Firenze per lo sesto di S. Piero Scheraggio nel MCCLXXXIX, del mese d'Aprile, insieme con messer Iacopo da Certaldo giudice per lo sesto d'Oltrarno, e con Dino Compagni per lo sesto di Borgo, e Compagno Bordoni per lo sesto di San Brancazio, e con Dino vocato Pecora per lo sesto di porta del Duomo, con Bernardo di Messer Manfredi degli Adimari per lo sesto di porta S. Piero, e loro notajo fu Ser Benvenuto Olivieri da Sesto. Truovo ancora che Lapo d'Albertuccio, il quale fu a me padre e a te avolo, il quale fu uomo pacifico e di buona condizione e fama e molto amato da ogni maniera di gente, e dilettossi d'abitare alla città, fu de' Signori Priori di Firenze molte volte; e una volta fu de' Priori, e in quello ufficio mori con grande onore. Dopo lui molti di noi furono in quello ufficio de` Signori Priori, e specialmente il detto Ruggieri di Messer Lapo: il quale fu molte volte Gonfaloniere di Giustizia, e reputato fù valentissimo e lealissimo uomo; e a' di nostri, Alberto mio fratello più volte è stato in quello ufficio e negli altri ufficj della città, e specialmente negli ufficj di parte guelfa: nella quale parte e ne' suoi uffiej, tutta la nostra famiglia sempre è stata molto accetta. E acciocchè non prendasi ammirazione, che non vedi ch'io sia salito a quello ufficio del priorato, sappi che ne' tempi che si fecero gli squittinj e le borse e' sacchi, dove sono messi per molti anni, e donde si trae quello ufficio secondo gli ordini della città, io era cherico e piovano, sicchè non doveva essere messo negli ufficj temporali; vero è, che poichè lasciai il chericato e presi donna, come fare potea di ragione perocchè non avea altro che due minori ordini, sono fatti alcuni squittinj e borse e sacche, delle quali alcuna non è finita, alcuna non è cominciata a toccare; credesi e sperasi che in quelle debba essere: sicchè se vita ne concede Iddio, ancora a quello ufficio posso aggiugnere. — (Ediz. cit., pag 56.) LAPO MAZZEI. Nacque nel 1350 in Prato, figliuolo di Mazzeo di Ghigo, vocatus Farfocchia, e di una madonna Bartola: fatte le scuole nella terra nativa andò a Firenze e vi attese all'arte della notaría; e a ventitrè anni rogava. Nel 1376 sposò Monna Tessa di Giovanni d' Ugolino e n'ebbe molti figli. Nel 1381 e poi nel 91 fu squittinato al priorato per la maggiore, ma non risedè; nel 1383 (nov.-dic.) fu notaro della Signoria e nel 1385 all'ufficio de' Dieci di Balía; nel 1386 sostenne un' ambasciata a Faenza; nel 1391 accompagnò a Genova gli ambasciatori che trattaron della pace col Visconti. Fu molto tempo notaro all' Ospedale, che era stato fondato dal Portinari, e n'ebbe il carico tutto della gestione amministrativa. Condusse vita specchiata, amantissimo de' buoni studj. Nel 1410 riprese moglie: Margherita di Francesco Binducci. Mori in Firenze il 30 ottobre 1412, e fu sepolto in Sant'Egidio. Due amicizie coltivò amorosamente: quella di Guido Del Palagio e quella di Francesco di Marco Datini, ricco mercante pratese, che lasciò, anche per consiglio del buon Mazzei, tutto il suo per il Ceppo dei poveri di Prato. Restano di lui moltissime lettere volgari, le più a Francesco Datini (1390-1410), che si annoverano, per l'importanza e per la bellezza della schietta forma toscana, fra le migliori del Trecento. [Per le notizie biografiche vedi il bel proemio di CESARE GUASTI alle Lettere d'un notaro (Ser Lapo Mazzei) a un mercante del secolo XIV con altre lettere e documenti, Firenze, Le Monnier, 1880, vol. 2; vedi anche A. D'ANCONA, Due antichi fiorentini, ec., in Varietà stor. e letter., Milano, Treves, 1885, II, 189.] Consigli di carità, Lettera a Margherita moglie di Francesco Datini. Più tempo fa, ch'io non v'ho scritto. Sarebbe lungo a dire la cagione. E anche a Francesco ho iscemate le carte e le copie delle lettere, le quali con tanto piacere gli solea mandare. E tutto ho fatto per bene; e massimamente perchè ogni cosa di questa vita, che altre ha in abbondanza, subito viene a tedio e a fastidio: e come che i miei fatti siano disutili e vili, io gli ho un poco ritenuti per non guastare gli stomachi che sempre si dilettano mutare vivande. E veggio però che da voi mai non verrebbe, se io istesse uno anno, far domandare di me o mia famiglia, o di quella di Guido, non che scrivere una lettera; che m'è detto ch'avete così bene apparato, che è una maraviglia nella etade che siete, nella quale l'altre sogliono dimenticare. Io vi priego carissimamente vi ricordiate delle parole mi diceste in casa vostra quando vedevate il vostro buono nipote infermo di tale infermitade, nelle quali tanto sodamente e tanto francamente isprezzavate queste ricchezze che possedete; e con molto lieto animo domandavate a Dio essere isciolta almeno d'una grande parte, e turbavatevi che 'l vostro compagno e signore Francesco v'era così entro occupato; e che disideravate che questo suo buono animo egli il mostrasse a Dio a sua vita, con darne a poveri suoi: chè dice santo Alberto: Che Dio è più contento d'uno danaio a vita, che d'uno monte d'oro a morte. A questi di è capitata a me quella povera vedova del Serraglio, che vende funi, e ha quattro fanciulle da marito; che le fu tolto uno pegno, e pagò al messo xxx soldi, che no'gli guadagna in uno mese. E holla aitata, tra colla persona e con le lagrime, tanto, che forse per quello non ci arà più a tornare. Altro non posso bene bene, e voi il sapete. E non so chi ella s'è, nè d'onde; chè non vorrei Francesco credesse ella fosse del parentado mio, che voi dite di Giovacchino.1 Già ho costei messa innanzi agli occhi a Francesco, ed egli ha meco gli orecchi impeciati. Lodato sia Iddio d'ogni cosa! Ma io veggio qui perire tali e tanti mercatanti, che e' non sarebbe gran fatto che Francesco facesse parte al povero che gli è recato innanzi: almeno se non per l'anima, ma perchè Iddio gli salvasse quello ha con tanto sudore acquistato. Conchiudo con voi, ch'io vi richieggio e priego per la parte di Dio, e per l'amore che è fra tutti noi, che, se quella è miseria, com'io credo, che confortiate Francesco che ponga la mano a una di quelle fanciulle; e io vi prometto ch' io penso e ne sarà egli stesso più contento che di quante mura egli ha mai fatte. Buone sono le chiese, buone le dipinture; ma per una volta che Cristo le ricordasse, più di cento ricordòe i poveri. S'io errasse, perdonatemi. Ma io spero in Dio e nell'amore ch'io vi scrivo, che voi arete per bene ogni cosa, come per bene vel dico. Sono vostro. E dite a Francesco, che ciò che farà in ciò, terrò abbia fatto alla mia famiglia; e a mio conto gli ponga. E se mai io avesse bisogno 1 Forse: numerosissimo, come quello di Giovacchino, marito di s. Anna ec. 2 Ajutando a maritar una di quelle quattro fanciulle. |