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giunto a Roma, essendo dato l'ordine il dì che si doveva fare questo concistoro, e che ognuno potesse andare a udire quello che colui proponeva, messer Alano chiese di grazia all'abate che lo menasse con lui a questo concistoro. Disse l'abate: Se'tu matto? Come credi tu ch'io ti menassi colà, dov'è ff Papa, i Cardinali e tutti i valenti signori? Disse messer Alano: Io verrò con gli altri, e non sarò veduto però ch'io son picciolo e sparuto. Rispose l'abate: Guarda tu che quei portinari e mazzieri non ti dieno parecchi mazzate. Disse messer Alano: Lasciate fare a me. E come l'abate andò a concistoro, essendo gran calca all' entrare, cacciossi prestamente fra quella, ed entrò con gli altri. L'abate fu posto a sedere con gli altri abati nel grado loro; e messer Alano stava fra le gambe sotto la cappa, e teneva gli occhi alla finestrella, e stava attento per udire la quistione che vi si proponeva. Di che poco stando, ecco venire a concistoro messer Gio. Piero; e montò in ringhiera in presenza del Papa e de'Cardinali, e di tutti gli altri che vi erano, e propose la sua quistione, provandola con sue ragioni maliziose e sottili. Messere Alano subito lo conobbe, e veggendo che nessun si levava a fargli la risposta o arguirgli contra, e che nessuno aveva ardire di rispondere, mise il capo fuori della finestrella della cappa dell'abate, e gridò forte: giube. L'abate alzò la mano, e diegli un grande scappezzone, e disse: Sta' cheto, che Dio ti dia il mal anno: vuòmi tu vituperare? Onde che, chiunque era quivi presso, guardava l'un l'altro dicendo: Onde usci quella voce? Messer Alano poco stante rimise il capo fuori, e disse: Santissime pater, audiatis me. Di che l'abate si tenne vituperato, perchè ognuno il guardava, dicendo: Che è quello che voi avete sotto? L'abate disse ch'egli era uno suo converso ch'era matto: di che gli fu cominciato a dire villania, dicendo: Come menate voi i matti al concistoro? Ove trassero oltre que'mazzieri, per dargli e per mandarlo fuori. Messer Alano per temenza di non avere delle busse, gittossi fuori della cappa dell'abate, e dando tra quei vescovi, se n' andò a' piedi del Papa: di che si levò gran risa per tutto il concistoro, e fu presso l'abate a essere cacciato fuori, perchè e' s'aveva menato dietro colui. Ora essendo messer Alano a piè del Papa, domandò licenza di potere dir l'animo suo sopra questo fatto; el Papa gliela diede. Messer Alano montò in ringhiera é replicò tutto ciò che colui aveva detto, e poi a parte a parte venne determinando la quistione con ragioni vive e naturali; di che tutto il collegio si cominciò a maravigliare, udendo il pulito latino ch' egli aveva in bocca, e' begli argomenti che faceva alla quistione. Ove ognuno diceva: Veramente questo è l'Agnolo di Dio che c'è apparito. E udendo il Papa l'eloquenza sua, ringraziava Dio. E così avendo questo messer Alano confuso messer Gio. Piero, egli era smemorato, veggendo che l'aveva confuso, e disse: Veramente tu sei lo spirito di messer Alano,

o tu se' qualche spirito maligno. Rispose messer Alano: Io son Alano, che altre volte t'ho fatto star cheto; ma tu se'veramente spirito maligno, che volevi mettere la Chiesa di Dio in tanta eresia. Rispose messer Gio. Piero: S'io avessi creduto che tu fossi stato vivo, io non ci sarei mai venuto. Il Papa volle sapere chi costui era, e fe' chiamare l'abate, e domandò come costui gli venne alle mani. Disse l'abate: Santissimo Padre, io l'ho tenuto per mio converso, già è buon tempo; e quanto a me, io credeva ch'e'non sapesse pur leggere; e non trovai mai uomo di tanta umiltà quanto lui, e sempre affannarsi a far delle legna e spazzare la casa, e rifare le letta, e servire gl'infermi, e governare il cavallo; e quanto a me pareva un semplice uomo. Il Papa udendo la vita santa ch'e' teneva, e veggendo le virtù sue, e sapiendo chi egli era stato, lo volse far cardinale, con fargli grandissimo onore, dicendogli: Se tu non eri, la Chiesa di Dio era in grandissimo errore; e però io voglio che tu ti rimanga in corte. Rispose messer Alano: Santissimo Padre, io intendo di vivere e morire in questa vita contemplativa, e non tornare più al mondo; anzi intendo di tornarmi col mio abate alla badía sua, e di seguire la vita ch'io ho cominciata, ed essere sempre al servigio di Dio. L'abate si gl'inginocchio ai piedi, pregandolo che gli perdonasse, conciofossecosa che non lo aveva conosciuto, e massimamente dell'orecchiata che gli aveva data. Messer Alano disse: Non accade perdono a questo, però che 'l padre dee gastigare il figliuolo; e presero commiato dal Papa e da Cardinali, e tornaronsi alla badia l'abate con messer Alano. E l'abate gli portò sempre singolarissima riverenza; e quivi visse in santa e buona vita, e compilò e fece parecchi bei libri sopra la fede nostra. E mentre ch'e' visse in questo mondo, tenne si fatta vita, che alla sua fine egli ebbe il merito e la gloria di vita eterna. (Dalla Giornata VI, nov. I.)

FRA NICCOLÒ DA POGGIBONSI. Questo frate minore del quale si sa soltanto il luogo ove nacque, fece il suo viaggio in Terra Santa fra il 1346 e il 1349. Scriveva di per di le cose memorande del suo viaggio su un paio di tavolette ingessate che allato portava (I, 47, II, 129); e poi su queste compilò il suo Libro d'oltramare, che fu a' giorni nostri pubblicato dal signor A. BACCHI DELLA LEGA, Bologna, Romagnoli, 1881.

Nel golfo di Venezia. Addi sei d'aprile anni Domini MCCCXLVI, ci facemmo il segno della santa croce, e intrammo in una nave con due albori e con due gabbie; 1 e poi la mat

1 Gabbia o gaggia è una piattaforma di legno collocata sopra alle costiere e alle traversiere degli alberi maggiori delle navi.

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tina, al nome di Dio, facemmo vela: e così andammo parecchi di. Poi avemmo vento contrario, sì che noi andammo per mare archeggiando or di qua or di là; e poi il terzo di avemmo il vento per noi, e andammo per buono viaggio col vento forte in poppa; e poi alquanti di avemmo fortuna, onde pigliammo porto in Ischiavonia a una città che si chiama Puola. E stando cosi più di, el venerdì santo per tempo facemmo vela per partirci. Essendo poco infra mare, e eccoti venire un vento contrario, e menavaci a rompere a terra; e noi, calando la vela, el vento era si forte che la portava nell' acqua. Vedendo il padrone e' mercatanti questo, incominciarono tutti a gridare: Santa Maria, ajutaci! E noi tuttavia argomentandoci ; e altri si piangevano, chè si vedeano andare a terra a rompere; e io, vedendo questo, il cuore mio tutto venne meno. E stando in questa paura, e io mi viddi presso a terra a due balestrate: subito io mi trassi il mantello, e alza' mi le maniche e l'abito stretto d'intorno, e accosta'mi in proda, e guardava il primo che si gittasse in mare per campare, per gittarmi ancora io; però ch'io sperava di campare. E andando così a terra per rompere, el vento alleno, e' marinai con molta tribulazione ebbono la vela dentro tutta molle; e subito parve che fosse un cenno, e ebbono gittate l'ancore in mare: ma non si tosto, che la nave non si apressasse allo scoglio. Avvenne che l'uno timone della nave si guastò, e per racconciarlo stemmo quivi dieci dì; e in questi dieci di stemmo nella sopra detta città. Questa città di Puola si fu nobile terra, chè uno imperadore di Roma si abitava molto in questa città, e però ci fece fare un castello, ch'è ancora tutto in piede, che propriamente è fatto come il Colosseo di Roma; e viddici nobilissime e antiche sepulture, cioè arche grandissime d' un pezzo. Tornati noi in mare, facemmo vela, e con poco vento andammo assai rivolgendoci per mare; però che 'l vento non era per noi; e così andando, vedemmo una cocca da lungi : molto accostammoci insieme con loro, e domandando eglino noi se avámo trovato sicuro il viaggio, e noi, simigliantemente domandammo loro del nostro, e eglino ci respuosono che nel maggiore mare erano due galee armate, ch' andavano scorrendo e rubando ogni nave che trovavano; sì che noi pigliammo via verso Grecia, ad una città che si chiama Modone; e ivi stemmo tanto, che noi sapemmo novelle, come questi scorridori erano partiti.

Tenemmo il secondo di su per uno canale fra una montagna che si chiama Diamante: e cosi andando, intrammo in pelago di mare el primo di di maggio. La sera il mare molto

1 Piegando a guisa d'arco di qua e di là.

3 Non ci era favorevole.

2 Burrasca.

Specie di nave con un solo albero e la vela quadra. 5 Avevamo.

si turbava di sotto, tanto che noi vedemmo quantità di pesci, che si gittavano molto in alto sopra l'acqua, e dalfini grandissimi a torno forte andavano; e la notte il mare fece grandissima e pericolosa fortuna, tanto che in questa notte si perirono nove navilj nel golfo del mare di Vinegia: tanto fu grande la fortuna! E niuna persona nella nave poteva stare non che ritta, ma a giacere non poteva stare la persona, che la fortuna nol gittasse dall' altra parte della nave; onde che tutta la gente era sotto coverta, e solo i marinai erano di sopra, tutta via argomentandosi per non perire. Ma in quello romore di chiedere misericordia, e in quelle grida e pianti e picchiarci, dicendo: Or dove siamo noi venuti a morire! spesse volte lo scrivano della nave discendeva di sotto per guardare se la nave fosse niente magagnata, e diceva: O frati, o voi altra buona gente, pregate Iddio che ci scampi di questa morte così crudele! Brevemente, e' non c' ebbe niuna persona, nè marinaio nè altri, che non facesse singulari voti a Dio e a' Santi, a cui avevano devozione, E così, tribulando, traemmo fuori molte reliquie di santi e olio di Santa Maria, e dicendo con lagrime le letanie di Santa Maria; e tuttavia spesse volte la nave era per volgersi sotto sopra, e le botti ch'erano dall' una parte, per la fortuna, si gittavano dall' altra parte; e l'altre masserizie, a cui cadevano in capo e a cui in sulle spalle; e così non potemmo avere tranquillità in tutta la notte e 'l di; e tutti gli stovigli si rompevano, chè dopo la fortuna non n'avámo da fare nostri mistieri; e tutti ci rendemmo in colpa, perdonando l'uno all' altro; e confessandoci, niuno poteva bene favellare per le molte lagrime: e ancora, per le grandi grida, eravamo tutti fiochi. Come piacque al Signore, che non volle che questa gente perisse per questo modo, l'altro di avemmo tranquillità, e poi la mattina guardava l'uno l'altro quasi come fossimo smemorati, chè tutti parevamo che uscissimo dal munimento, si eravamo smorti e gialli; e tutto questo fu per la paura. E l'altro dì, quando parlavamo di questa fortuna, io viddi piangere più persone per allegrezza. E questa fortuna ci menò a rieto cento cinquanta miglia solamente in una notte e in uno dì, e in questo modo ci rimisse nel golfo di Vinegia. E poi, come il Signore prova altrui nelle tribulazioni, cosi prova nelle consolazioni, poi avemmo un' altra fortuna ma questa fu buona, chè ci portava per nostro viaggio, e fu un di naturale, che ci portò trecento miglia, gorga gorga; 3 e così uscimmo del golfo di Vinegia, ch'è lungo sette cento miglia, e intrammo nel pelago maggiore, e passammo per Candia, e tenemmo per lo mare di Setalía, e per

1 Non ce ne rimasero da far ciò che occorreva con essi.

2 Un giorno intero.

3 Forma marinaresca, della quale però non sappiamo assegnare il senso; forse sempre nel fil dell'acqua.

SCRITTORI VARI.

fortuna uno uomo infermò e morì in mare; e noi pigliammo il corpo e fasciammolo in uno lenzuolo, e così i marinai il gittarono in mare, però che terra non si vedeva; e, se l'avessimo tenuto, poteva essere pericolo di noi. E una femmina ivi appresso mori ancora, e noi la portammo a una isola piccola, e quivi la sotterrammo, molto poco addentro sotterra, però che non avȧmo ferri da potere fare la fossa addentro. (Cap. III e IV del Libro d'Oltremare.)

LIONARDO FRESCOBALDI. Fu figlio di Niccolò, e, come dice G. CAVALCANTI (Istorie fiorent., Firenze, all'insegna di Dante 1839, II, 478), nella gioventù seguitò l'armigera milizia, e personalmente si ritrovò in più battaglie di campo: egli stesso dice che furon sette. Nel 1384 fu ambasciatore del Comune di Firenze al conte da Barbiano in Arezzo, e là con altri maturò il disegno di un viaggio in Terra Santa, incitatovi anche dal vescovo di Volterra, che gli comandò di visitare le terre possedute dagli infedeli in modo da riferire alla tornata in quali siti si potesse campeggiare e quali terre fussino atte a vincere per battaglia. Viaggiò con Santi del Ricco, Antonio Mei, Simone Sigoli e un prete casentinese, partendo da Venezia ai 4 settembre 1384. Al ritorno, nel 1385 fu potestà a Città di Castello, e nel '90 prese possesso per la signoria, della terra di Montepulciano: nel '98, ambasciatore a Bonifacio IX. Il suo viaggio ha singolare importanza perch' ei non era un mero devoto, ma un osservatore fino e arguto. La 1a ediz. del suo viaggio è quella data da G. MANZI, Roma, Mordacchini, 1818: noi ci serviamo della stampa procurata da C. GARGIOLLI, Viaggi in Terra Santa di L. F. e d'altri del sec. XIV, Firenze, Barbėra, 1862.

II Cairo. Il Cairo e Babilonia 1 si è una grandissima città di lunghezza di miglia dieciotto o più, e di larghezza è larga otto miglia. Il fiume del Nilo va al lato alla terra ed évvi buono porto. Eravi quando vi fummo noi tanti navilj, che accozzando quanti ne vidi mai tra nel porto di Genova e di Vinegia e d'Ancona, non contando i legni di due coverte, non sarebbono il terzo di quegli ch' erano quivi, comechè tutti fusseno di portata di quattro cento botti in giù. Alla piazza del soldano presso al castello dove egli abita, sta gran quantità di lapidarj, i quali hanno molte pietre preziose, come smeraldi, rubbini, balastri, turchesse e perle, e di ogni altra ragione. E quivi ne comperò Andrea di messer Francesco Rinuccini per la sua donna alcune perle grosse, le quali le recammo con altre cose, che Andrea detto ci disse le recassimo, quando morì in Damasco. Di lungi al Cairo XIV miglia, valicato il Nilo dalla parte di Babilonia, si tro

1 Babilonia chiamavasi il Cairo vecchio.

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