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Piatti, 1840, p. 126-29; WesselOFSKY, Il Paradiso degli Alberti, Bologna, Romagnoli, 1867, vol. I, parte 2a, p. 303-16; FLAMINI, L'imitaz. di Dante e dello Stil Novo nelle rime di C. R., nel periodico l'Alighieri, vol. I e II; e Le Rime di C. R. e la Raccolta Aragonese, nel Giorn. stor. della lett. it., vol. XV, p. 455 e segg.]

Beltà divina dell' amata.

Chi è costei, Amor, che quando appare
L'aer si rasserena e fassi chiara?

E qual donna è con lei, tenuta è cara
Per le virtù che prendon nel suo andare? 1
Negli occhi vaghi allor ti metti a stare,
Nel cui lume natura non fu avara,
Signor, sì che da te e lei s'impara
Di non poter parlar, ma sospirare.

Benchè, se fosse Omer, Virgilio e Dante
Ne' miei pensier, con lor versi sonori
Non porrian mai ritrar la sua beltate.
Perocchè Dio da' suoi eccelsi onori
La produsse quaggiù nel mondo errante
Per mostrar ciò che può sua deitate.

Affetti amorosi.

Dolenti spirti, ornate il vostro dire
E gitene a Madonna reverenti,
E le mostrate i gravosi tormenti,

Che sente dentro il core e 'l gran martire :
E conchiudete poi, che sofferire
Cotal battaglia non siete possenti,
E che vedete i vostri sentimenti,
Disperarsi, ed elegger di morire.

Forse vedrete il viso scolorare,

Che fa, quel che mai più fu visto in cielo,
Col lume di due stelle oscuro il sole.

Allor potrete alquanto confortare
Il cor che triema d'amoroso gielo
E di sua morte già più non li dole.

La vista dell' amata.

Tutta salute vede

Chi vede questa dea, che dal ciel viene,
Per cui libertà a me perder conviene.
Leggiadria, gentilezza ed onestate

1 Accompagnandosi con lei.

Seggono in lei, come 'n lor proprio sito,
Con perfetta beltà; e chi la mira
Empie si l'alma pur d'ogni bontate,
Che con vil cosa non può star unito,
Ma 'n dolcezza d'amor sempre sospira.
Dunque l'alma, che tira

Da lei ciò che quaggiù si può di bene,
Ringrazia la sua fe ch'a lei mantiene.

BONACCORSO DA MONTEMAGNO. Le rime di questo poeta ebbero singolar fortuna, e i cinquecentisti le preferirono a tutte le altre di verseggiatori petrarcheggianti vissuti nel secolo decimoquarto. G. B. CASOTTI, che le ristampò in Firenze nel 1718, le ascrisse, anzichè a un solo poeta, a due omonimi, entrambi pistoiesi, avo e nipote; ma tale opinione, da molti accettata, riposa su malsicure fondamenta. Certo è che codeste poesie, tutte o quasi tutte son opera d'un messer Bonaccorso di Giovanni da Montemagno, avvocato dimorante in Firenze, e dalla Repubblica fiorentina onorato d'incarichi ragguardevoli. Il quale mori nel 1429, e il suo canzonieretto dovè comporre negli ultimi decennj del trecento. [Oltre all' ediz. ora citata, è da ricordare la più recente del DELLO RUSSO, uscita in luce a Napoli, Ferrante, nel 1862; ambedue, peraltro, assai difettose. Dalle rime del Montemagno, con cui erano ancora in parte confuse, ha sceverate quelle del quattrocentista Niccolò Tinucci, F. FLAMINI, nella Lirica tosc. del Rinascimento, Pisa, Nistri, 1891, p. 745 e segg., e lo stesso ha pubblicati due sonetti inediti, attribuiti a Bonaccorso, nell' opuscolo Sonetti e ballate d'ant. petrarchisti tosc., Firenze, Carnesecchi, 1889, p. 9-10.]

Bellezze di Natura e sensi d'Amore.

Freschi fior, dolci violette, dove
Spirano euri d'amor, zefliri lieti ;
Verdi, alti, vaghi e gentil laureti,
Dove un bel nembo rugiadoso piove;

Cara, leggiadra selva, ond'Amor move
Mio cor negli alti suo' pensier segreti;
Rivi erranti, puliti, ombrosi e cheti,
Possenti a far di sete accender Giove:
Quanto mirabilmente il viver mio
Transformato s'è in voi! O nuova sorte
Data dal di delle mie prime fasce!

Qui vivo all'ombra, onde fuggir m'è morte,
Qui dolce aura d'amor, quant'io disio,

Sol mi nutrica, m'alimenta e pasce.

Beltà divina dell' amata.

Erano i mie' pensier ristretti al core
Dinanzi a Quel che nostre colpe vede,
Per chieder con disio dolce merzede
D'ogni antico mortal commesso errore,

Quando colei, che 'n compagnia d'Amore
Sola scolpita in mezzo al cor mi siede,
Apparve agli occhi miei, che per lor fede
Degna mi parve di celeste onore.

Qui risonava allora un umil pianto,
Qui la salute de' beati regni,
Qui rilucea mia mattutina stella.

A lei mi volsi; e se'l Maestro Santo
Si leggiadra la fece, or non si sdegni,
Ch'io rimirassi allor cosa sì bella.

!

GINO CAPPONI. Nacque circa la metà del sec. XIV di famiglia già cospicua nel reggimento della repubblica, ch'egli servi con amore e prudenza, nelle armi e ne' consigli. Nel 1396 fu priore, gonfaloniere di giustizia nel 1401 e nel '18; ebbe grandissima parte nella guerra e nell'acquisto di Pisa: mori nel 1421. Pregevole assai è la sua narrazione del tumulto de' Ciompi; alla vecchiezza appartengono alcuni Ricordi a Neri suo figlio. Il Commentario sull'acquisto di Pisa forse fu da Neri ampliato e disteso su appunti del padre. Del Tumulto dei Ciompi seguiamo la lezione datane da G. TORTOLI in un volumetto della collezione diamante, Firenze, Barbera, Bianchi e Comp., 1858, ove tien dietro alla Cronica del Compagni.

I Ciompi. - ..... La seguente mattina, che fu il giovedi a di 22 di luglio, la mattina di Santa Maria Maddalena, sonò a consiglio di Comune, ed i Signori vollono í Collegje gli Otto della guerra; e ragunato il consiglio e deliberate le petizioni, ecco i gonfaloni dell'Arti spiegati e tutti insieme; e il gonfalone di giustizia e il popolo minuto giunsono in sulla piazza facendo gran romore colle grida al cielo, per modo che non s'udiva nulla quando le petizioni si leggevano a' consiglieri. Lette le petizioni, subito furono vinte, ed il consiglio licenziato. Uno de' Signori, ciò fu Guerriante di Matteo Marignolli, come il consiglio fu licenziato, si parti da sedere d'allato a' compagni, e disse ad alcuno di loro: lo voglio andare giù alla porta a guardare che nessuno di questo

11 Colleg in Firenze si formavano dall' unione de' Signori coi Gonfalonieri di compagnia e altri magistrati.

popolo minuto non entri in palagio; ed anche per significare al detto popolo, come le petizioni sono vinte. Alcuni de compagni non lo vidono andare, nè non ne seppono niente di sua partita; e cosi se ne andò giù, come disse, e punto non badò, anzi s' uscì di palagio e andossene a casa sua, sanza dire o far dire cos' alcuna a' compagni. Quando il popolo e l'Arti vidono il detto Guerriante andarsene a casa, cominciarono a gridare ad alta voce: Scéndanne tutti e vadiansene, chè noi non vogliamo che siano più Signori. Le grida erano grandissime. Il proposto e l'Arti presono la porta del palagio, e non lasciarono uscire fuori il consiglio, ma stavansi tutti nella corte del palagio.

I Signori se ne andarono su nell'audienzia,3 e credono che Guerriante sia giù alla porta per guardare che persona del popolo non venisse in palagio, come disse ad alcuno di loro. Allora venne messer Tommaso di Marco Strozzi dentro nella audienzia, e disse come Guerriante se n'era ito a casa sua; per questo il popolo e l'Arti al tutto vogliono che voi altri Signori tutti ve ne andiate a casa. I Signori furono dolenti della partita del compagno loro, e molto più della volontà del popolo e dell'Arti, che messer Tommaso notificò loro. Di che i Signori guardando l'uno l'altro in viso, non sapeano che farsi; pure deliberarono di significarlo a' Collegj e agli Otto, e intendere la loro volontà. Ed essendo in detto luogo tutti a cerchio, Zanobi di Cambio Orlandi, ch'era proposto de' Signori, commise a Pierozzo di Piero Pieri che dicesse a Collegj quello che per messer Tommaso era stato loro detto; onde Pierozzo disse, come messer Tommaso per parte del popolo e dell'Arti avea detto loro che se ne andassono a casa, sicchè consigliassono. I Collegj piangevano; chi si torceva le mani e chi si batteva il viso, e tutti sbalorditi non sapeano pigliare partito. Gli Otto si mostravano tristi e dolenti, e i Signori erano fuori di loro, ed il rumore di fuori era grandissimo, dicendo ch'al tutto diliberavano che i Signori se ne andassono a casa, e che gli Otto rimanessono in palagio; altrimenti, che la città anderebbe a fiamma e a sacco, e che arderebbono le case loro e de' Collegj e di tutti i loro parenti; e che se di subito non ne uscissono, piglierebbono le loro mogli e i loro figliuoli, e in loro presenzia gli ucciderebbono. Tutte queste minacce usavano com'era loro insegnato dire.

In tanto che i Signori aspettavano il consiglio de' Collegj e degli Otto, messer Benedetto Alberti si venne alla Signoria, e disse loro come il popolo e l'Arti volevano che due di loro venissono a sedere su con loro per priori. I Signori risposono ch'erano contenti, e che venissono con buona ventura. Allora andarono messer Tommaso Strozzi e messer Benedetto

1 Non indugiò.

2 Com'a dire: il presidente.

3 Nella sala dell' udieuza.

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Alberti giù al popolo, a trattare che mandassono a sedere chi e' volessono su in compagnia degli altri Signori. Il popolo anche a questo non fu contento; non volle, perchè dicevano: Noi abbiamo fatto tante offese a questi Signori, che noi non ci potremo mai più fidare di loro. E pure gridavano ad alta boce, che in tutto volevano che se ne andassono a casa; altrimenti, ch' eglino arderebbono e loro e i loro consorti e parenti; e che rimanessono gli Otto in palagio, e non altri. I Signori aspettavano essere consigliati, e guardavano pure che qualche concordia si facesse, che rimanessono in palagio con amore e volontà del popolo e dell'Arti. Allora i Collegj consigliarono, e gli Otto, clie i Signori se ne andassono a casa, per manco male e della città e delle loro persone proprie. Di che avuto questo consiglio, Alamanno Acciaiuoli e Nicolò di Lapo del Nero Canacci dissono ch'eglino per loro non intendevano d' uscire; che chi voleva andarne, se ne andasse. Il Gonfaloniere, vile e codardo, piangeva i suoi figliuoli e la moglie; e simile gli altri Signori stavano, che parevano tutti morti a ghiadi. Mai più si vide un'altra Signoria, come questa, del tutto abbandonata, che non era nessuno che gli confortasse di niente, nè che si profferesse; anzi molti cittadini, di quelli ch' erano giù nella corte del palagio, vennono su a pregarli che se ne andassono a casa, dicendo loro: Deh per Dio andatevene, se non che voi sarete qua entro tutti, morti, imperocchè i fanti, che voi metteste in palagio, ch'erano per le case degli Otto, non sono a vostra petizione ne per vostra custodia, anzi vi sono contro. Tutta la famiglia di palagio s'era nascosta per le camere degli Otto, e come i detti Otto avevano ordinato; e nessuno se ne vedeva, nè comandatore nè mazziere nè famiglio nè fante. Tutti erano rinchiusi nelle camere degli Otto. Sicchè in tutto i Signori erano abbandonati; e già buona parte del popolo minuto era entrato dentro in palagio con Niccolò da Carlona, e bene armati. In questo, i Signori chi andava in qua e chi in là e chi 'nsù e chi 'ngiù, e non sapevano che si fare. I Gonfaloniere, come vile e dappoco, si parti da' compagni di nascosto sanza dir nulla, e andossene a messer Tommaso Strozzi e a lui si raccomandò. Messer Tommaso allora il prese e trasselo di palagio e menollo a casa sua. Manetto Davanzati e Alamanno Acciaiuoli, uscendo delle camere loro e venendo nell'audienza, non vi vidono nessuno de loro compagni, e domandando, fu loro detto come se n'erano iti a casa. Questi due allora bene si tennono morti; e veduto in fine che i compagni loro tutti se n'erano andati, s'avviarono ancora loro giù per le scale, e fecion dare le chiavi delle porte al proposto dell'Arti, che fu Calcagnino tavernaio, ed andaronsène tutti e due a casa loro; e cosi i Gonfalonieri e' Dodici ancor loro se ne andarono. E così si può dire essere perduto il felice, tranquillo e quieto stato della città di Firenze!

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