Sayfadaki görseller
PDF
ePub

tifica composta tra il 1262 e il 1266 o circa questo tempo (1a ediz. per cura di P. CHABAILLE, Paris, Imprim. Imperiale, 1863). È composto di tre parti principali, la prima delle quali tratta del cominciamento del mondo e delle vecchie istorie ec.; la seconda de' vizj e delle virtù; la terza della retorica. L'esame delle svariate sue fonti fatto con diligenza dal SUNDBY è compendiato con la solita abilità dal GASPARY (St. d. lett. it., I vol. trad. it., p. 156 e seg.). Che il Trésor dovesse essere stato molto pregiato dai contemporanei, attesta Dante stesso (Inf., XV, 119-20), il quale ha sicuramente fatto menzione di quello e non del Tesoretto, ma non perdonò al Latini, e lo dice chiaro nella introduzione al Convivio, d'avere scritto in francese, stimando il linguaggio d'oil non solo plus délitable ma anche plus communs del volgare italiano. Della popolarità conquistatasi anche fra noi dal Trésor fanno fede i rifacimenti italiani, in prosa e in verso. La traduzione italiana in prosa si attribuisce comunemente a Bono Giamboni, ma alcuni dubbj su questa attribuzione espresse A. BARTOLI (St. d. lett., III, 83 e seg.); e fu forse composta tra il 1266 e il 1268 (1a ediz., Treviso, 1474; l'ultima ediz., non però priva di mende, è quella di L. GAITER, Bologna, 1878-83, e da essa togliamo, ponendoli sotto il nome dell' autore, anzichè del qualsiasi traduttore, i capitoli 1 e 2 del 1. IX (vol. IV, p. 277). Sul testo è da vedere la memoria del MUSSAFIA, riferita anche nel cit. vol. del SUNDBY). Il Trésor fu anche ridotto in versi, toltene via le parti prettamente scientifiche, sicchè potè anch'esser cantato sulle piazze e pe' trivj: le versificazioni note sono due italiane, molto probabilmente derivanti da una francese anteriore, ma perduta (A. D'ANCONA, Il Tesoro di B. L. versificato, in Atti d. Accad. de' Lincei 1888). Sotto il nome di Brunetto vanno molte traduzioni in prosa italiana. Nella terza parte del Trésor, egli stesso si riferisce al primo libro del de Inventione di Cicerone, di cui tradusse in italiano 17 capitoli, aggiungendovi un commentario (1a ediz., Roma, 1546). Tradusse l'orazione di Cicerone pro Ligario, e forse qualche altra (Tre orazioni volg. da B. Latini, pubblicate da L. M. REZZI, Milano, 1832), e tradusse anche da Sallustio. Sotto il suo nome va qualche parte staccata della traduzione italiana del Trésor (GASPARY, op. cit., p. 159-160). Si attribuirono falsamente a Brunetto il Pataffio (v. A. BORGOGNONI, Il Pataffio, in MORANDI, Antol. d. crit. moderna, p. 360 e seg.), il Fiore de' filosofi e di molti savi, il Mare amoroso, che è uno de' più antichi esempj dello sciolto italiano, una Storietta antica (che è certo opera d'un fiero ghibellino); di incerta paternità è una canzone pubblicata col suo nome.

Senza voler recare onta alla sua memoria, ma riferendosi a quel che se ne dovette dire, Dante lo collocò nell' Inferno (v. riepilogata la questione da A. BARTOLI, St. d. lett. it., VI, parte 2, p. 55 e seg.). Alle parole memori di Dante si devono aggiungere quelle di molta lode che ne scrissero Giov. e Filippo Villani, de' quali il primo compendia ogni merito di Brunetto nell'appellativo di di

grossatore de' fiorentini in farli scorti in ben parlare, ed in sapere guidare e reggere la repubblica secondo la politica (Cron., VIII, 10). L'importanza dell'opera di lui consiste nella varietà e moltiplicità della dottrina che dimostra, e ne' mezzi di cui si serve allo scopo di renderla facile e comune; il che dimostra in lui, se non vera coscienza, come in Dante, almeno un certo presentimento degli alti ed utili ufficj a' quali eran chiamati i nuovi volgari romanzi.

[merged small][merged small][ocr errors][ocr errors]

Proemio al Tesoro.

Lo Tesoro comenza.
Al tempo che Fiorenza
Fiorio e fece frutto,
Si ch'ell' era del tutto
La donna di Toscana,

Ancora che lontana
Ne fosse una parte,
Rimossa in altra parte,
Quella de' Ghibellini,

Per guerra de' vicini;

Esso Comune saggio

Mi fece suo messaggio
All'alto re di Spagna

Ch'or è re della Magna,

E la corona attende,

[ocr errors]
[blocks in formation]

(Herman))

Se Dio non gliel contende;1

Chè già sotto la luna

Non si trova persona,

Che per gentil legnaggio,
Ne per alto barnaggio,'
Tanto degno ne fosse,
Com'esto re Nanfosse.
E io presi compagna,3
E andai in Ispagna,
E feci l'ambasciata,

Che mi fu comandata.
E poi, senza soggiorno,
Ripresi mio ritorno,
Tanto che nel paese

Di terra Navarrese,
Venendo per la calle

Del pian di Roncisvalle,
Incontrai un scolaio

Su' n'un muletto baio,
Che venía da Bologna;

1 Alfonso, più sotto Nanfosse, dal provenz. 'N Anfos (don Alfonso), eletto re de' Romani nel 1257, ma che non cinse mai la corona imperiale. 2 barnaggio, baronaggio, nobiltà.

3 Compagnia.

Scolare.

E, sanza dir menzogna,
Molt'era savio e prode.
Ma lascio star le lode,
Che sarebbono assai.
Io lo pur dimandai
Novelle di Toscana

In dolce lingua e piana,
Ed e' cortesemente

Mi disse immantenente
Ch'e' Guelfi di Fiorenza

Per mala provedenza,
E per forza di guerra,

Eran fuor della terra,
E il dannaggio era forte
Di prigione e di morte.
Ed io ponendo cura,

Tornai alla natura,1
Ch'audivi dir che tene

Ogn' uom, ch' al mondo vene,

Che nasce primamente
Al padre e al parente.
E poi al suo Comuno.

Ond' io non so nessuno
Ch'io volessi vedere

La mia cittade avere
Del tutto alla sua guisa,
Nè che fosse divisa; 2
Ma tutti per comune

Tirassero una fune 3
Di pace e di ben fare:

Chè già non può scampare
Terra rotta di parte.*

Certo lo cor mi parte
Di cotanto dolore,

Pensando grande onore
E la ricca potenza

Che suolea aver Fiorenza
Quasi nel mondo tutto;

Ond'io in tal corrotto
Pensando a capo chino

Perdei il gran cammino,

1 Privo di patria, mi volsi a meditare sulla natura umana.

2 Non avrebbe voluto la sua città nè in dominio di un solo nè partita per fazioni.

3 Tirare a una fune o a una corda è frase che si trova spesso ne'nostri antichi per significare l'operar concordemente, e materialmente simboleggia l'unione delle forze. Nel palazzo del Comune di Siena è di mano del Lorenzetti una pittura che rappresenta la cittadinanza avvinta tutta da una fune, che fa capo alla persona del Podestà.

Divisa dalle fazioni.

E tenni alla traversa
D'una selva diversa.1

Le trasformazioni della Natura.

Ma tornando alla mente,2
Mi volsi e posi mente
Intorno alla montagna;
E vidi turba magna
Di diversi animali,

Ch'i' non so ben dir quali,
Ma uomini e mogliere,

Bestie, serpenti e fiere,

E pesci a grandi schiere, rins
E di tutte maniere

Uccelli voladori,

Ed erbe e frutti e fiori;
E pietre e margherite, pels
Che son molto gradite, f

E altre cose tante,

Che null' uomo parlante
Le poría nominare,

Nè 'n parte divisare.
Ma tanto ne so dire,

Ch'i' le vidi ubbidire,
Finire e 'ncominciare,

Morire e 'ngenerare,
E prender lor natura,
Siccome una figura
Ch'io vidi, comandava:
Ed ella mi sembrava,
Come fosse incarnata,*
Talora affigurata.
Talor toccava il cielo,

Si ch' el parea suo velo,

E talor lo mutava,

E talor lo turbava.

Al suo comandamento
Movea il fermamento,

E talor si spandea5

Sì, che il mondo parea
Tutto nelle sue braccia.

Or le ride la faccia,
Un'ora cruccia e duole,

1 Strana, che rammenta la dantesca selvaggia, aspra e forte. 2 Riscotendomi dalla meditazione, che tutto mi teneva.

3 Distinguere, enumerare.

Come fosse persona in carne ed ossa.

5 Si allargava tanto, cresceva per modo.

Poi torna come suole.
Ond' io ponendo mente

A l'alto convenente1
Ed a la gran potenza,

Ch' aveva, e la licenza,
Uscii del reo pensero,

Ch'i' avea in primero,
E fe proponimento

Di fare un ardimento,3
Per gire in sua presenza
Con degna riverenza,

In guisa ch'io vedere

La potessi, e savere
Certanza di suo stato.
E poi ch' io l'ei pensato,
N'andai davanti a lei,

E drizzai gli occhi miei
A mirar suo visaggio;
E tanto vi diraggio,
Che troppo era gran festa
Lo capel della testa;
Si ch'io credea che 'l crino
Fosse d'un oro fino,
Partito sanza trezze:

E l'altre gran bellezze
Ch' al volto son congiunte
Sotto la bianca fronte,
Li belli occhi e le ciglia,
E le labbra vermiglia,
E lo naso affilato,

E lo dente argentato;
La gola biancicante,7
E l'altre biltà tante
Composte e assettate,

E 'n suo loco ordinate,
Lascio, chè non le dica:
Nè certo per fatica,
Nè per altra paura;

Ma lingua nè scrittura
Non saria sofficiente

A dir compiutamente

Le bellezze, che avea,

Nè quanto ella potea
In aria e 'n terra e 'n mare,

1 A questa cosa, a questo fatto di tanto alto valore. A quest' arbitrio di mutarsi incessantemente.

3 Di tentare un atto ardito.

4 Certezza.

5 Ebbi.

Meravigliosamente bello e piacevole.

7

Biancheggiante.

« ÖncekiDevam »