viso sia errata, e riso sia la vera, que- Quando leggemmo il disiato riso Inf. V, 133. lo annunzió pel primo il signor pro- CANZONE III. E' m'incresce di me si malamente, Mi reca la pietà quanto 'l martiro: 1 Raccoglier l'aer del sezza' 2 sospiro Soavi e dolci ver me si levaro, La morte mia, ch' or tanto mi dispiace, Quei della bella donna alcuna volta : 3 Che per forza di lei M' era la mente già ben tutta tolta, Con le insegne d' Amor dieder la volta; 5 Sicchè la lor vittoriosa vista Non si rivide poi una fïata: Ond' è rimasa trista L'anima mia che n' attendea conforto; Ed ora quasi morto Vede lo core a cui era sposata, E partir le conviene innamorata. La sconsolata, chè la caccia Amore : L'ascolta con pietate il suo Fattore. 8 Con quella vita che rimane spenta Solo in quel punto ch'ella sen va via: D' Amor, che fuor d'esto mondo la caccia ; 9 Gli spiriti che piangon tuttavia, Perocché perdon la lor compagnia. Ove la pose Amor, ch' era sua guida ; Che mai, e vie più lieta par che rida: Che mi combatte così come suole, Avvegna che men duole, Perocchè 'l mio sentire è meno assai, 11 Ed è più presso al terminar de' guai. Lo giorno che costei nel mondo venne, Secondo che si trova Nel libro della mente che vien meno, La mia persona parvola sostenne Una passion nuova, 12 Tal ch'io rimasi di paura pieno ; Ch' a tutte mie virtù 13 fu posto un freno Lo spirito maggior tremò si forte, Che parve ben, che morte Per lui in questo mondo giunta fosse : 1* Quando m' apparve poi la gran beltate, S'accorse ben, che 'l suo male era nato; D'una ch' io vidi, la bella figura, Che già mi fa paura; E sarà donna 19 sopra tutte noi, 18 Tosto che sia 20 piacer degli occhi suoi. Io ho parlato a voi, gioveni donne, Che avete gli occhi di bellezze ornati, Vi sian gli detti miei dovunque sono: 21 La morte mia a quella bella cosa, Che men' ha colpa, 22 e non fu mai pietosa. La bellezza e sublimità di questa Canzone, dettata con purgata e nobile favella, e piena di passionate espressioni e di alti concetti, la palesano per lavoro di Dante Alighieri. Questa non parla già d'un amor filosofico, ma d' un amor naturale, ed apparisce dettata vivente Beatrice. Non tutti i poetici componimenti da Dante scritti mentre viveva la Portinari, furono da lui riportati nella Vita Nuova, ed egli stesso espressamente lo dice (vedi sopra a pag. 23 la nota 1): chè anzi varii di essi non esprimendo, siccome la presente Canzone, il nome dell' amata, servirono al Poeta per farne schermo alla verità, celando altrui l'oggetto dell' amor suo, e facendo credere di essere invaghito di tutt' altra donna, che di Beatrice. Col nome di Dante fu questa Canzone stampata nell' edizione Giuntina c. 27 retro, ed in tutte le successive; e col nome di esso vedesi nei Codici Laurenziani 42 e 44 Plut. XL, 136 Plut. XC, ed in varii de' Riccardiani. Quello peraltro, che finisce di provare che la Canzone appartiene sicuramente a Dante Alighieri, si è che il Poeta fa nelle stanze V e VI la storia del suo innamoramento di Beatrice con tutte quelle stesse particolarità, e quasi colle stesse parole, colle quali ei lo racconta nelle prime due pagine della Vita Nuova. Lo vedremo anco meglio dichiarandola. In questa Canzone, che non esprimendo, siccom'ho detto, il nome di Beatrice, servi a Dante per celare altrui l'oggetto dell' amor suo, si lagna il Poeta che la sua anima è rimasta afflitta e piangente, e in sulla mossa d'andarsene fuori di questa vita, perchè non avea visto più da qualche tempo que' begli occhi, i quali aperse Amor con le sue mani. Di ciò sentiva Dante un martiro, che recavagli acerbo dolore, e scriveva la presente Canzone per muovere la sua Donna a pietà. Come dunque potrà intendersi quello ch'ei qui dice, cioè, quanto recavagliene il martiro, del quale lagnavasi? Ciò che ho detto di sopra rende facile la risposta. La pietà che recava a Dante altrettanta doglia quanto il martiro, era quella che dimostravangli le donne, delle quali, affinchè sospettar non si potesse di Beatrice, fingeva d'essere innamorato; e questa pietà per riuscirgli affatto inopportuna, e per fargli palese come altre femmine erangli più benigne di colei, che formava la sua unica fiamma, recava ad esso non già sollievo ma doglia. 2 Sezza', sezzajo, ultimo. lo ritengo erronea l'opinione di coloro che affermano avere gli antichi alterato talvolta la misura dell'endecasillabo, dicendo: Del vostro Uccellatojo, che com'è vinto, Ecco Cin da Pistoja, Guitton d' Arezzo. Petrarca, Trionfi. Di lei, e quindi tanta gioia prendea. Boccaccio, Am. Vis. cap. 26. Se i primi padri dell'italiano Parnaso non riuscirono ad imprimer sempre ne' loro versi quel ritmo armonico e sonoro, che più seppero imprimervi alcuni grandi poeti moderni, non è per questo che violassero cosi grossolanamente le prime regole del metro, quelle regole, la giustezza delle quali è pur sentita materialmente dall'orecchio. Laonde io non esito punto ad affermare che essi non leggevano come si è creduto finora, ma così: Del vostro Uccellato', che com'è vinto. e 1 Provenzali furono soliti di usare frequentemente quest' apocope, gl'Italiani ne presero il modo da loro. I nostri antichi dicevano Del Thegghiajo, Via Maggiore, Rio Maggiore, Santa Trinitate ec., egualmentechè Del Thegghia', Via Maggio', Rio Maggio', Santa Trinita', e quindi tolto l'apostrofo, che nella pronunzia era talvolta un accento grave, si disse Del Thegghia, Via Maggio, Rimaggio, Santa Trinita. Cosi dicevano Gennajo, primajo, sezzajo, migliajo e Genna', prima', sezza', miglia'. Non più dunque si stampino que'loro versi così deformati, ma si riconduca la lezione alla sua originalità, stampando: Farinata e 'l Thegghia', che fur si degni. Par. XXVII, 142. che per virtù della grande bellezza di lei, io era smarrito e quasi fuori di me, si dileguarono ec. 6 La sconsolata, cioè l'anima. 7 Anzi, innanzi. 8 Con quella vita, cioè con quel rimanente di vila. 9 Abbraccia gli spiriti, figurat. si ricongiunge agli spiriti. 10 Sopra colei, cioè sopra l' ani ma. 11 Intendi: abbenchè dolga meno, pe rocchè la mia facoltà sensitiva è assai minore, assai infievolita. 12 Lo giorno che costei nel mondo venne, cioè, lo giorno che Beatrice apparve alli miei occhi (come dice sul principio della Vita Nuova) Secondo che si trova nel libro della mente che vien meno, cioè a dire, nella memoria ch'è labile (così nella Vita Nuova, in quella parte del libro della mia mente ec.) la mia persona parvola (egli aveva nove anni) sostenne, concepi, una passion nuova ec. is Virtù, potenze dell'anima. 14 E, se il libro non erra, cioè, se la memoria non erra, lo spirito maggiore, vale a dire lo spirito vitale, tremò si fortemente, che parve bene, che per lui fosse venuta in questo mondo la morte. Questo effetto fu prodotto nel giovinetto Dante dalla prima comparsa di Beatrice: il racconto coincide perfettamente con quanto ne dice nel suo libro della Vita Nuova, pag. 2: Lo spirito della vita, il quale dimora nella segretissima camera del cuore, cominciò a tremare si fortemente, che appariva nelli menomi polsi orribilmente. 15 A quei, cioè ad Amore. 16 Quella virtù che ha più nobilitate, cioè l'intelletto. 17 Nel piacere, nelle belle e vaghe forme della sua donna. 18 Intendi: Sicchè l'intelletto disse poi piangendo alle altre potenze dell'anima, vale a dire alla Memoria, alla Volontà: qui giungerà ec. 19 Sarà donna, sarà signora. |