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SONETTO XXXVII.

Se vedi gli occhi miei di pianger vaghi,
Per novella pietà 1 che il cor mi strugge,
Per lei ti priego, che da te non fugge,
Signor, che tu di tal piacer gli svaghi:
Con la tua drittą man cioè che paghi 3
Chi la giustizia uccide, e poi rifugge
Al gran tiranno, del cui tosco sugge,

Ch' egli ha già sparto, e vuol che 'l mondo allaghi.
E messo ha di paura tanto gelo

Nel cuor de' tuoi fedei,* che ciascun tace :

Ma tu, fuoco d' Amor, lume del cielo,

Questa virtù, che nuda e fredda giace,
Levala su vestita del tuo velo;

Ché senza lei non è qui in terra pace.

Il Sonetto presente, che col nome di Cino vedesi in due edizioni, non però in quella antica del Pilli, e che col nome di Dante sta nella raccolta Giuntina a c. 21 ed in tutte le ştampe posteriori, non che nel Cod. Laurenziano 44 Plut. XL, ci si palesa, senza bisogno di tante autorità, per opera di Dante, allo stile del quale più infatti si conforma, che a quello di Cino, quando pongasi mente all'argomento in esso trattato.

« Egli è certo (dice il Dionisi, Anedd. II, pag. 81), che il Re di >> Francia coll' esca del guadagno tirava i papi a fare la sua volontà, e che questi al bisogno avevano in lui un rifugio, un alleato, » che le arti lor secondava, le quali però non sempre eran giuste.

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Quindi si spiega facilmente il Sonetto Se vedi ec., ch'è un de' più belli delle Rime Dantesche, e che par composto alle prime ingiu>> stizie da Bonifazio commesse contro de' Bianchi fiorentini, uno de' quali era Dante. Il Signore invocato è l' Amor Divino. La donna che da tal Signore non si scompagna mai, la Sapienza. Chi ucci» deva la Giustizia (a giudicio di Dante) era il Papa. Il gran tiran»no, il Re di Francia. Il tossico sparso da lui, l'Avarizia. Il velo, >> onde il buon Poeta voleva vestita la Giustizia, dal Divino Amor ravvivata, senza la quale non è qui in terra pace, è la Carità ; >> secondo il precetto di S. Paolo: omnia in caritate fiant.

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Pietà, angoscia, pena. Intendi: Per colei, cioè, per quella Sapienza moderatrice, che giammai da te si allontana, io ti prego, o Signore, o divino Amore, che tu svaghi, cioè, che tu renda sazi, gli occhi miei del piacere di piangere. Invecechè di tal piacer gli svaghi, altri testi leggono di tal piacere i svaghi; è lo stesso, perchè i vale gli. Cosi Inf., XVIII, 18: Infino al pozzo che i tronca e raccogli, ed altrove.

3 Con la tua dritta man cioè che paghi ec. Intendi: Che, cioè, tu percuola col tuo forte e vindice braccio chi ec.Mano diritta nello stesso significato usolla anche altrove (Traduzione del Salmo 111):

...... hai sopra di me fermata

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La tua man dritta, o singular Signore.

« Giacchè (chiosa il Dionisi) svagherannosi gli occhi miei del mi>> sero piacere di piangere, se tu, o

Signore, paghi, cioè, se percuoti >> colla man dritta, che al nostro dire è la più forte (tintura d'Orazio, sublimi flagello tange Cloen) » chi la Giustizia uccide ec., per» chè allora il pianto si volgerà in allegrezza. Tocca dunque, o san>> to Amore, coll' efficacissima for» za delle tue fiamme (leggiadra >> vendetta) Pontefice, che disa» morato uccide la Giustizia (così >> portavala infelicità di que' tempi), >> e poi rifugge ec. »>

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Fedei per fedeli, come bei, capei ec., per belli, capelli ec.

SONETTO XXXVIII.

1

Per quella via che la bellezza corre,
Quando a destare Amor va nella mente,
Passa una donna baldanzosamente,
Come colei che mi si crede torre.

Quand' ella è giunta al piè di quella torre
Che s'apre quando l'animo acconsente, 2
Ode una voce dir subitamente :

4

3

Levati, bella donna, e non ti porre ;
Ché quella donna, che di sopra siede,
Quando di signoria chiese la verga,
Com' ella volse, Amor tosto le diede:
E quando quella accomiatar si vede,
Di quella parte dove Amore alberga,
Tutta dipinta di vergogna riede.

Nell' edizione Giuntina c. 18 retro, e nel Cod. Laurenziano 44 Plut. XL vedesi, col nome di Dante Alighieri, il Sonetto presente, il quale fu pur riportato dal Crescimbeni nel vol. II, parte I, pag. 271 della Storia della volgar Poesia. Il Dionisi ed il Witte altresì lo

DANTE.

1.

11

ritennero per legittimo; anzi il secondo ne certifica averlo col nome di Dante rinvenuto in più Codici, e particolarmente in uno dell'Ambrosiana, segnato 0. 63 supra, col soccorso del quale potè rettificare l'erronea lezione del sesto verso, la quale invece di che s'apre diceva che tace.

Il subietto di questo Sonetto è assai oscuro. Sembra che vi si parli di due donne dell' una ne' due quaternarii e nel secondo ternario; dell' altra nel ternario primo. L'una vorrebbe porsi nella mente del Poeta, ma quando vi è giunta dappresso, ode una voce che le dice levati bella donna e non ti porre; perciocchè nella mente del Poeta siede già un' altra donna, la quale ne fu fatta da Amore assoluta signora. Queste due donne non potrebber essere le due Scienze, l'una l' umana, e l'altra la divina?

Che la bellezza corre. Il verbo correre non solo intransitivo, ma pure attivo, e dicesi correr la via, correr la città, la provincia ec., per percorrerla.

La torre che s'apre quando l'animo acconsente è la potenza

volitiva, vale a dire la volontà. 3 Subitamente, improvvisamente, ad un tratto.

Volse per volle, terminazione dell'antiquato vogliere, volere. Così Inferno, II, 118:

E venni a te cosi, com' ella volse.

SONETTO XXXIX.

1

Da quella luce 1 che il suo corso gira
Sempre al volere delle empiree sarte, 2
E stando regge tra Saturno e Marte3
Secondo che l'astrologo ne spira;

Quella che in me col suo piacer ne aspira, *
D'essa ritragge signorevol arte;

6

E quei che dal ciel quarto non si parte
Le dà l'effetto della mia desira.
Ancor quel bel pianeta di Mercuro 7
Di sua virtute sua loquela tinge,
E'l primo ciel di sè già non l'è duro. 9
Colei che 'l terzo ciel di se costringe, 10

8

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9

4

In questo Sonetto sviluppa Dante il concetto, siccome accenno nella Ball. VIII, st. 3, che i cieli, o le sfere de' sette pianeti, piovano tutti sopra la sua donna, cioè sopra la Filosofia, i suoi mirabili influssi. Di qui il Petrarca prese forse l'idea del suo Sonetto Quest' anima gentil che si diparte. Dissi già che pei sette cieli vuol Dante intendere le Scienze del Trivio e del Quadrivio: ora dirò che per la Luna intende la Grammatica, per Mercurio la Dialettica, per Venere la Rettorica (e queste sono le scienze del Trivio), per il Sole l' Aritmetica, per Marte la Musica, per Giove la Geometria, per Saturno l'Astrologia (e queste son quelle del Quadrivio). All'ottava sfera, ossia cielo delle stelle fisse, fa corrispondere la Fisica, e alla sfera nona ed ultima, detta primo Mobile, la Morale. Finalmente all' Empireo, cielo quieto, risponde secondo questo sistema allegorico, la Teologia (Convito, tratt. II, cap. 14).

Fu ascritto a Dante dall' edizione Giuntina c. 19, dal Cod. Laurenziano 44 Plut. XL, e tenuto per legittimo anche dal Dionisi (Anedd. II, pag. 98).

1

Da quella luce, cioè, da quella stella, da quel pianeta.

00 Al volere delle empiree sarte, vale a dire, secondo il volere del supremo moderator dell'Empireo, cioè di Dio.

3 E stando regge tra Saturno e Marte, e regola, guida il suo corso rimanendo in mezzo a Saturno e Marte. Questo pianeta è Giove, che forma la sesta sfera.

Che in me col suo piacer ne aspira, che colla sua celeste bellezza spira in me ed innalza il mio pensiero.

5 D'essa ritragge signorevol arte, da essa sfera sesta ritrae, deriva, l'arte di signoreggiare le menti che di lei s'innamorano.

E quei che dal ciel quarto non si parte, cioè, il Sole, le dà l'effetto della mia desira, del mio desiderio, perciocchè gli occhi di lei operano sopra di me come i raggi del Sole sui corpi terrestri. Desire, desio, e pa. recchi altri vocaboli, di mascolini si facevano dagli antichi talvolta femminini. Dante da Maiano: Seo troveria di mia desia pietate.

Mercuro per Mercurio, e nella Commedia disse varo, contraro, avver

saro ec.

8 Di sua virtute sua loquela tinge, della sua virtù, cioè, della Dialettica adorna la loquela di lei.

9 E'l primo ciel, cioè, quello della Luna, vale a dire la Grammatica, di se già non l'è duro, non le è già punto avaro di se.

10 Colei, cioè, Venere, che il terzo ciel di se costringe, che regola e guida nella sua orbita il terzo cielo.

11 Il cor le fa d'ogni eloquenza puro, le rende il core, cioè, il linguaggio del core, ossia della facoltà sensitiva, affinato in ogni specie d'eloquenza: perchè Venere raffigura la Rettorica.

12 Così di tutti i sette si dipinge, vale a dire: così ella s'adorna delle virtù di tutte e sette le sfere celesti; avendo egli nella Ballata VIII già detto della sua donna:

Ciascuna stella negli occhi le piove
Della sua luce e della sua virtute.

BALLATA IX.

Voi che sapete ragionar d' Amore,
Udite la Ballata mia pietosa, 1
Che parla d' una donna disdegnosa,

La qual m'ha tolto il cor per suo valore.
Tanto disdegna 2 qualunque la mira,
Che fa chinare gli occhi per paura;
Ché d'intorno da' suoi sempre si gira
D' ogni crudelitate una pintura;
Ma dentro portan la dolce figura,
Che all' anima gentil fa dir: mercede;
Si virtuosa, che quando si vede,

3

Trae li sospiri altrui fuora del core.
Par ch'ella dica io non sarò umile

4

Verso d' alcun, che negli occhi mi guardi ;
Ch' io ci porto entro quel Signor gentile,
Che m'ha fatto sentir degli suoi dardi :
E certo io credo che così gli guardi, 5
Per vederli per se quando le piace :
A quella guisa donna retta face
Quando si mira per volere onore.
Io non spero che mai per sua pietate 7
Degnasse di guardare un poco altrui :
Così è fera donna in sua beltate

6

Questa, che sente Amor negli occhi sui.
Ma quanto vuol nasconda e guardi lui,8
Ch'io non veggia talor tanta salute;
Perocchè i miei desiri avran virtute
Contra il disdegno che mi dà Amore. 9

Nel Convito, tr. III, cap. 9, dice Dante queste parole: Prima ch' alla composizione (della Canzone Amor che nella mente) venissi, parendo a me questa donna (la Filosofia) fatta a me fiera e superba alquanto, feci una Ballata, nella quale chiamai questa donna orgogliosa e dispietata, che pare essere contro a quello

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