il Dante fiorentino si valse talora, ma assai raramente, nelle sue liriche rime, di qualche licenza, non ne abusò sì immodicamente, come ognora il Dante maianese, da inserirne cotante in un breve componimento quale si è la Canzone. Se fra le poesie del nostro Poeta v'è, come v'è di fatto, Canzone alcuna illegittima, questa la prima debb' essere. Col nome dell'Alighieri non trovasi infatti in veruno de' tanti Codici da me consultati; e se col nome di lui fu stampata nella trascurata veneta edizione del 1518, fu bentosto rifiutata dai Giunti, i quali la stamparono nella loro raccolta non già fra le poesie dell'Alighieri, ma fra quelle degli autori incerti a c. 120. CANZONE. Dacché ti piace, Amore, ch'io ritorni Dell' orgogliosa e bella, quanto sai A non gradir, ch' io sempre traggia guai; La nova pace, e la mia fiamma forte, E lo sdegno che mi cruciava a torto, Poscia, se tu m' uccidi, ed haine voglia, A servirti ; ma non era io ancor morso, Di che gli spiritelli ferno corso Allor fidansi ad essa; E poichè furon stretti nel suo manto, Molte fiate corsi avanti a lei. Ch'io mirai fiso gli occhi di costei: Che mi chiamasti col viso soave, Ond' io sperai allento al maggior carco: Mi compiagnevi, e in atto si pietoso, Ed aggradiami ciascun suo contegno, Posposi, per guardar nel chiaro segno : Per consumarmi ciò che ne fu manco, Ed ella si godea vedermi in pene, Quasi per campo diverso martiro, Che 'l pianto m' avea già si rotto e fiacco, Oltra l' umana sorte, Ch'io mi credea ultimo ogni sospiro. Tanto poi mi costrinse a sofferire, Che di cotesta guerra Ben converria ch'io ne perissi ancora ; La vita, ch' io sostenni teco stando; Rimarrò morto, o che tu m'abbandoni, Per Dio ti prego, almen che a lei perdoni. Questa Canzone, che troverassi assai debole, e molto al di sotto di quei poetici componimenti, che veramente a Dante appartengono, gli fu malamente attribuita dalla veneta edizione del 1518, ma venne giustamente rifiutata dai Giunti, i quali nella loro raccolta del 1527 la ristamparono a c. 117 sotto nome d'incerto autore. Essa appartiene a Cino da Pistoia; e ciò si prova per quegli stessi argomenti che ho prodotti alla Canzone Perchè nel tempo rio, riportata qui sopra a pag. 245. CANZONE. La bella stella, che il tempo misura, E come quella fa di sua figura A giorno a giorno il mondo illuminato ; Alli gentili, ed a quei c'han valore, E questa è che colora Quel ciel d'un lume, ch' agli buoni è duce E porto pinto nella mente il viso, O bella donna, luce ch' io vedrei, Dice tra se piangendo il cor dolente. D' intelletto a parlar cosi altamente E viemmi di vederla un desidero, Che mi reca il pensier di sua beltate, Che la mia voglia sprona Pur ad amarla, e più-non m' abbandona ; Ma fallami chiamar senza riposo. Lasso morir non oso, E mia vita dolente in pianto meno: Ciascun, cui tiene il mio Signore a freno, E fo come colui che non riposa, E la cui vita a più a più si stuta Da lei mi vien d'ogni cosa il martire : Tanto più di ragion mi dee dolere; Cotal m' è or, quale mi fu a vedere, Dietro al desio che a Madonna mi tira E'l grande lacrimar che mi distrugge, E non saprei io dir qual io divegno: E la figura sua, ch' io dentro porto, Lasso! ch' io non vorria Giammai trovar chi mi desse conforto, Finch' io sarò dal suo bel viso scorto. Tu non sei bella, ma tu sei pietosa, Canzon mia nova, e cotal te n'andrai Là dove tu sarai Per avventura da Madonna udita : Di più vederla anzi la mia finita, Perch' io non credo aver si lunga vita. |