Sayfadaki görseller
PDF
ePub

» che il figlio di Bosone sovrasterà » agli altri dotti nella cognizione del» la lingua greca, tanto conducente » a profittar nelle scienze. E certa» mente se il Poeta ne fosse stato igna»ro, cotale elogio sarebbe stato un » obbrobrio per lui, confessandosi di » non posseder quella lingua, senza » la quale ei non poteva pareggiare » non che sovrastare agli altri uo» mini dotti » (De Romanis, Note alla Vita di Dante del Tiraboschi.)

« A me sembrano imposture, e » non vecchie. La cantilena di Mes» ser Bosone d'Ugubbio sopra la » esposizione e divisione della Com» media di Dante, in casa del quale Messer Bosone, esso Dante della sua » maravigliosa opera ne fe' e compi » buona parte (ivi e nell'Ediz. Padov. » vol. V, pag. 269), è antica per av>> ventura ed autentica; ma chi la

[ocr errors]

>> intende? Queste, con altre parec»chie delizie degli eruditi, comin>> ciarono a celebrarsi, non sono an>> cora cent'anni, da un valentuomo >> ad onore de' Bosoni, de' quali ei >>compiacevasi d'essere discenden» te. » (Foscolo, Discorso sul testo del Poema di Dante, § 137.) Quindi il Foscolo si fa a provare, che se Dante potè andar debitore a Bosone di qualche mese d'asilo, non fece peraltro presso di esso così lunga dimora da potere in Gubbio aver composta la maggior parte del suo Poema, come Francesco Maria Raffaelli pretese, e da avere erudito nelle lingue greca e francese il figlio d' esso Bosone, come volle il Dionisi.

Oltre a ciò, l'intitolazione dice Danti a Bosone, dal che conseguirebbe che l'Alighieri non sapesse scriver correttamente il proprio nome!

SONETTO.

Quando la notte abbraccia con fosc' ale
La terra, e 'l di dà volta e si nasconde;
In cielo, in mare, in boschi e fra le fronde
Si posa, e sotto tetto, ogni animale:
Perché il sonno i pensier mette in non cale,
Che per le membra si distende e infonde,
Fin che l'aurora con sue trecce bionde
Rinnova le fatiche diurnale.

Io misero mi trovo fuor di schiera,

Ché 'l sospirar, nemico alla quïete,

Mi tiene aperti gli occhi e desto il core;

E come uccello avviluppato in rete,
Quanto più cerco di fuggir maniera,

Più mi trovo intricato e pien d'errore.

Col nome di Dante Alighieri vedesi questo Sonetto stampato in fine della Bella Mano di Giusto de' Conti nell' edizione di Zatta, Ve

nezia 1784, pubblicata per cura d'Andrea Rubbi, e faciente parte della voluminosa collezione di Poesie, intitolata Parnaso italiano. Ma l'editore non disse punto donde avesselo tratto, nè quali fossero le autorità e le ragioni, per cui muoveasi a mandarlo in luce siccome componimento del divino Poeta. Un editore peraltro, meno trascurato e meno corrivo del Rubbi, il quale fra tanto oro del Parnaso italiano ha framischiato tanta mondiglia, sarebbesi facilmente accorto che il presente Sonetto non solo non sente punto della maniera e dello stile di Dante Alighieri, ma neppur del tempo in che questi visse, apparendo patentemente posteriore a lui di lungo tratto, sì per ragion della lingua, che per quella del fraseggiare. Io dunque ritengo che sia affatto da rigettarsi, come pur fu rigettato da tutti gli editori, i quali, posteriormente alla pubblicazione del Rubbi sopraindicata, impresero a mandare in luce il Canzoniere di Dante Alighieri. l'Appendice alla Bella Mano (dice anco il Witte nell' opuscolo più

« Nel

>> volte citato) Andrea Rubbi aggiunse, senza indicarne l'autorità, un Sonetto, ch' io reputo senza fallo illegittimo.

[ocr errors]

SONETTO.

Bicci Novel, figliuol di non so cui,
Se non ne domandassi Mona Tessa,
Giù per la gola tanta roba ha messa
Che a forza or gli convien torre l' altrui.
E già la gente si guarda da lui

Chi ha borsa a lato là dove s' appressa,
Dicendo questi c' ha la faccia fessa
È piuvico ladron negli atti sui.

E tal giace per lui nel letto tristo

Per tema non sia preso all' imbolare,

Che gli appartien quanto Giuseppe a Cristo.

Di Bicci e de' fratei posso contare,

Che per lo sangue lor del mal acquisto

Sanno a lor donne buon cognati fare.

È veramente meritevole di riprensione il grave abbaglio del Fiacchi (uomo peraltro stimabilissimo), il quale, trovato avendo nel Co

dice Alessandri, già da me citato altre volte, il presente Sonetto, pretese darcelo siccome inedito e siccome di Dante Alighieri, mentre era edito e del Burchiello, Londra (Lucca) 1757, pag. 220; e tanto maggiormente, quanto più si ponga attenzione a ciò che nel suo Avvertimento discorse, così conchiudendo: «Per evitare siffatti inciampi » ho fatto gli esami e le ricerche, che per me s'è potuto maggio

[ocr errors]

ri, ...... e non avendo di me stesso una bastevol fidanza, mi son >> fatto ardito di ricorrere al dottissimo e celebratissimo sig. cav. la» copo Morelli bibliotecario della Marciana, il quale ha voluto colla » sua consueta singolar cortesia incoraggiarmi e comunicarmi i suoi » lumi. » Ed il Morelli infatti gli comunicò la notizia che in un Testo a penna da essolui posseduto, questo Sonetto stava pure col nome di Dante Alighieri; e col nome di Dante io stesso l'ho altresì rinvenuto in un Codice Riccardiano, coll'aiuto del quale ho potuto compiere l' undecimo verso che nelle stampe andava mozzo. Di qui s'apprende quanta autorità possano fare i precedenti editori, e quanta fede debba riporsi ne' Codici.

SONETTO.

Chi udisse tossir la mal fatala
Moglie di Bicci, vocato Forese,
Potrebbe dir che la fosse vernata
Ove si fa 'l cristallo in quel paese.
Di mezzo Agosto la trovi infreddata :
Or pensa che dee far d'ogni altro mese;
E non le val perché dorma calzata
Mercè del copertoio cortonese.

La tosse, il freddo e l'altra mala voglia
Non le addivien per umor ch' abbia vecchi,
Ma per difetto ch'ella sente al nido.
Piange la madre, che ha più d'una doglia,
Dicendo lassa a me! per fichi secchi
Messa l'avria in casa il conte Guido.

Questo Sonetto, che sente molto della maniera e de' gerghi del Burchiello, fu col precedente e coi quattro susseguenti, pubblicato dal

Fiacchi che avealo tratto dal già citato Codice Alessandri. Ma esso è d'una data meno antica di quella supposta dall' Editore, nè temo punto d'ingannarmi asserendo che non è di Dante, ma bensì d'alcuno di quei servili ed insipidi Rimatori del secolo XV, i quali disonorarono il Parnaso italiano col poetare alla burchiellesca. Il Witte è d'opinione che appartenga ad uno de' discendenti del divino Poeta, e lo deduce dal Sonetto Ben so che fosti figliuol d' Alighieri, che il Fiacchi pubblicò siccome responsivo all' altro Bicci Novel, figliuol di non so cui, riportato poc' anzi; ed io non saprei dire improbabile l'opinione del Professore alemanno. 1

Ai due Sonetti Bicci Novel ec., Chi udisse tossir ec., il Fiacchi ne riporta in risposta altri due Ben so che fosli figliuol d'Alighieri, L' altra notte mi venne una gran tosse, d'un certo Forese ch'egli dice de' Donati. Ma che questo Forese non sia il noto poeta contemporaneo dell'Alighieri, e da lui rammentato nel Purg., XXX, 47, è certo per quello che ho notato di sopra, cioè che questi componimenti appartengono al secolo XV, mentre Forese de Donati visse nel secolo XIII; e rilevasi pure dalla frase del primo quaternario del Sonetto presente

[ocr errors][merged small]

Moglie di Bicci, vocato Forese;

dalla quale apparisce esser Forese un soprannome, e non già il nome della persona di cui si fa menzione nel Sonetto. Il primo poi de' due citati Sonetti responsivi, cioè quello che incomincia Ben so che fosti ec., sebbene dal Fiacchi creduto inedito, era pur esso stampato fra le rime del Burchiello, pag. 220. E questo istesso Sonetto, siccome sta nel Cod. 49, Plut. XL della Laurenziana, si palesa ad evidenza appartenente ad un tal Bicci Novello, da cui fu diretto ad un nipote di Dante Alighieri, chiamato pur esso Dante, donde nacque tutto questo equivoco.

SONETTO.

Deh ragioniamo un poco insieme, Amore,
E trammi d'ira, che mi fa penare;
E se vuoi l'un dell' altro dilettare,
Diciam di nostra donna, o mio signore.
Certo 'l viaggio ne parrà minore,
Prendendo un cosi dolce tranquillare,
E già mi par gioioso il ritornare,
Udendo dire e dir del suo valore.
Or incomincia, Amor, che si conviene,
E muoviti a far ciò; ch' ella è cagione

Che ti dichine a farmi compagnia.

O vuol mercede, o vuol tua cortesia

Che la mia mente, o il mio pensier dipone,

Tal è il desio ch'aspetta d' ascoltare.

Anco questo fu tratto dal Codice Alessandri e pubblicato dal Fiacchi. Ma come potrà credersi di Dante un Sonetto, nell' ultimo verso del quale è grossolanamente sbagliata la rima? Come potrà reputarsi dell'autore del sacro poema una poesia così insulsa, e dalla quale non può talvolta, come nel secondo ternario, ritrarsi alcun senso? E quanta fede potremmo riporre in un Codice, il quale, siccome abbiamo veduto più sopra, attribuisce al sommo Alighieri un Sonetto che appartiene al pedestre Burchiello, ed un altro ch'è della medesima risma? Il Fiacchi stesso, nel dare alla luce questo ed altri poetici componimenti, avvertì che non deesi porre cieca fede ne' Codici, perciocchè questi vanno bene spesso errati nell' indicare i nomi de' respettivi autori: e tali ragioni addusse, e tanti esempi ne riportò, che eziandio il più corrivo avrebbe dovuto rifiutare siccome di Dante questo e parecchi altri di quelli ch' ei produsse eppure egli nol fece, perchè trascurò di seguire que' canoni di critica che muovevano da' suoi medesimi ragionamenti.

:

SONETTO.

Sonetto, se Meuccio t'è mostrato,
Cosi tosto il saluta, come 'l vedi,
E va correndo, e gittagliti a' piedi,
Sicché tu paia bene accostumato.
E quando sei con lui un poco stato,
Anco il risalutrai; non ti ricredi;
E poscia l'imbasciata tua procedi,
Ma fa che il tragga prima da un lato;
E di' Meuccio, quei che t'ama assai
Delle sue gioie più care ti manda,
Per accostarsi al tuo coraggio buono.
Ma fa che prenda per lo primo dono
Questi tuoi frati; ed a lor si comanda
Che stien con lui, e qua non tornin mai.

« ÖncekiDevam »