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Infatti il cantor di Francesca non potea venir meno a se stesso, quando l'ardente affetto accendealo a dettare

« Le dolci rime d'amor ch'ei solea

Cercar ne' suoi pensieri, >>

o quando la perdita dell'oggetto amato faceagli sfogare in versi l'acerba doglia; nè il cantor d'Ugolino potea meno essere e pietoso e terribile allora ch' alla discorde ed ingrata patria lanciava pieno d'amore e di sdegno i suoi poetici accenti.

Fra i rimatori contemporanei dell' Alighieri distinguonsi, siccom'è noto, Guido Cavalcanti e Cino da Pistoia: ma questi pure non possono con esso lui contendere del primato. Dante medesimo, abbenchè tenesse Guido non minore a se nell'altezza dell'ingegno, mettendo in bocca di Cavalcante le note parole, Inf., X, 59:

Se per questo cieco

Carcere vai per altezza d' ingegno,

Mio figlio ov'è, e perchè non è teco?»>

pure fa nota la sua compiacenza dell' averlo, quanto all' arte del dire per rima, superato, in quella guisa che il Cavalcanti superato avea il Guinicelli, Purg., XI, 97:

« Così ha tolto l'uno all' altro Guido

La gloria della lingua, e forse è nato
Chi l'uno e l' altro caccierà del nido. >>

Ben notarono i maestri, che non per sola l'armonia la quale suona ne' versi, vengono gli animi dolcemente attratti e dilettati; ma ciò ottenersi più specialmente per la forza del sentimento e degli affetti. Notarono, come i concetti, i quali si tolgono dall'interno della Filosofia, portano seco molta difficoltà ed oscurità, specialmente se vengano coi vocaboli e modi loro propri significati, ed esser perciò contrari al diletto ch'è il fine della poesia, o sivvero il mezzo conducente al fine: e come il poeta deve por cura a schivare le idee che tengono in fatica l'intelletto, e rappresentar quelle, che, atte ad esser vestite di forme sensibili, esercitano l'immaginativa. All' opposto il Cavalcanti astraendosi colla mente dalle qualità naturali, ond' è circoscritto l'oggetto dell' amor suo, inalzasi alle bellezze universali e va per esse spaziando; ma per quella sublime contemplazione si rende impassi

bile ai timori, agli affanni, agli sdegni, ed il suo amore vestendo abito filosofico, spogliasi di quello della passione e diventa un amore fuori dell' umana natura. Cino servendosi delle materiali idee a preferenza delle spirituali, riesce più naturale, più tenero ed affettuoso: chè se minore fosse in lui stata la verbosità e la trascuratezza nello stile, dappoichè verace n'era l'affetto, la sua poesia non apparirebbe alcuna volta languida e disarmonica. Dante tiene alquanto dell' una maniera e dell' altra in ciò ch'esse hanno di migliore, vale a dire alla elevatezza del Cavalcanti ed alla affettuosità di Cino, unisce i pregi suoi particolari, la concisione, l'energia, l' evidenza.

Così Dante nelle sue erotiche poesie non apparisce tanto vago delle bellezze eterne ed immutabili, che non sia più vago ancora del piacere di contemplare l' amata Beatrice, e di cercare con ansietà di esserle caro. Ei nutriva per questa donna un affetto virtuoso bensì, ma non eroico a segno di reprimere i moti del naturale appetito, e rinunciare a tutti i proprii piaceri. Questo gentile, ma pur verace amore, volle Dante rappresentare in quelle sue poesie giovanili,: dico nelle poesie giovanili, poichè nelle altre, che son tutte morali e filosofiche, vuolsi aver riguardo al senso allegorico. Le analizzeremo alcun poco, prima quanto all' artifizio poetico, poi quanto al sentimento e agli affetti, ed allor faremo parole del di lui amore per Beatrice. Per trattare della natura d' Amore scrisse Guido la famosa Canzone Donna mi prega; per ch' io voglio dire. Nella prima stanza egli dice, come, essendo stato pregato da una donna, intende di parlare di quell' accidente, il quale intra gli altri è sì nobile che s'è acquistato il nome d'Amore. Desidera a questo suo ragionamento persone intelligenti, dappoichè gli uomini volgari non potrebbero intenderlo, proponendosi di dichiarare otto cose, cioè: dove amore riposa; chi lo fa creare; qual' è la sua virtù; quanta la sua potenza; il suo essere; i movimenti o perturbazioni che in altrui cagiona; il piacimento da cui egli tiene il suo nome; e se l'uomo per quanto lo senta lo possa mostrare. Esposto così l'argomento nella prima stanza, viene a svilupparlo metodicamente nelle altre quattro, di questa guisa incominciando:

<< In quella parte dove sta memora
Prende suo stato, sì formato -come

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Si che non puote largir somiglianza. »

In questo componimento sembra che il Cavalcanti volesse riunire tutto ciò che la dottrina d'Amore ha di più astratto; ma egli il fece con definizioni e divisioni cotanto sottili, e con linguaggio per tal modo scolastico, che piuttostochè una Canzone gli venne fatto un trattato metafisico. È pertanto agevol cosa il conoscere quanto una tal poesia, sebbene racchiuda di belle sentenze, e sia piena di molta dottrina, per voler troppo parlare all'intelletto, lasci freddo del tutto il core. Anche Dante fu pregato da amica persona a dire per rima che cosa fossesi Amore: ma con quanto maggior grazia egli nol fece? Ascoltiamolo:

« Amore e cor gentil sono una cosa

Siccome il Saggio' in suo dittato pone:

E così senza l'un l'altro esser osa,
Com' alma razional senza ragione.

Fagli natura, quando è amorosa,

Amor per sire, e'l cor per sua magione;
Dentro allo qual dormendo si riposa
Talvolta brieve e tal lunga stagione.

Beltate appare in saggia donna pui

Che piace agli occhi, sì che dentro al core
Nasce un desio della cosa piacente:

E tanto dura talora in costui

Che fa svegliar lo spirito d'amore;

E simil face in donna uomo valente. >>

'Intende Guido Guinicelli.

2 Pui per poi.

Il Landino a quel luogo del Canto X, dell' Inferno, ov'è fatta parola di Cavalcante, dice molto giudiziosamente, che il di lui figlio Guido, dialettico acutissimo e filosofo egregio, dettò versi volgari pieni di gravità e di dottrina. Ma perchè datosi tutto alla Filosofia non curò molto di studiare ne' poeti latini e d'investigare loro arte e ornamenti, mancò di quello stile animato e leggiadro che dee esser proprio del poeta. Guido, non v' ha dubbio, era assai dotto: pur nonostante nel poeta non vuolsi solo dottrina, ma grand' anima altresì, e grand' arte; ed in questo appunto si è che Guido rimase d'assai inferiore al suo amico Alighieri. Fra i suoi migliori Sonetti notasi il seguente, nel quale va descrivendo le pene e le angoscie cagionategli dal disdegno e dalla durezza della sua Donna:

1

<< A me stesso di me gran pietà viene

Per la dolente angoscia, ch' io mi veggio;
Per molta debolezza quand' io seggio,
L'anima sento ricoprir di pene.

Tanto mi struggo, perch' io sento bene,

Che la mia vita d'ogni angoscia ha'l peggio:
La nuova Donna, a cui mercede io chieggio,
Questa battaglia di dolor mantiene:
Perocchè quand' io guardo verso lei,
Drizzami gli occhi dello suo disdegno
Si fieramente, che distrugge il core:
Allor si parte ogni virtù da' miei;

Il cor si ferma per veduto segno

Dove si lancia crudeltà d'Amore. »

Un Sonetto sopra un eguale argomento ha pure l' Alighieri, nè fia discaro al lettore il vederlo riportato qui appresso, sì per farne un confronto coll' altro di Guido, sì per ammirare le molte bellezze, che in esso risplendono, tanto che ad essere raffigurate non fa d'uopo di analisi.

<< Nulla mi parrà mai più crudel cosa,

Che lei per cui servir la vita smago: 9

<< Vogliono i periti dell'arte poetica, che Guido tenesse delle Odi >> volgari il secondo luogo dopo Dante. » — FILIPPO VILLANI, Vita del Cavalcanti.

Cioè, consumo.

Chè il suo desire in congelato lago,
Ed in foco d' amore il mio si posa.
Di così dispietata e disdegnosa

La gran bellezza di veder m' appago,
E tanto son del mio tormento vago,
Ch'altro piacere agli occhi miei non osa.
Nè quella ch'a veder lo Sol si gira,
E il non mutato amor mutata serba,
Ebbe quant' io giammai fortuna acerba:
Onde, quando giammai questa superba

Non vinca; Amor, fin che la vita spira,
Alquanto per pietà con me sospira. >>

Nel notare la differenza che passa dall' uno all' altro di questi Sonetti, il critico lettore avrà veduto, che sebbene bello e dignitoso sia pur quello del Cavalcanti, il primo quartetto di esso è alquanto debole nè corrisponde nell' artifizio alle altre parti del componimento. Il terzo verso in ispecie pare hon essere stato lì posto che pel comodo della rima. Ma il Sonetto di Dante va dal principio al fine dignitosamente e senz' intoppo veruno; ed il metro e la rima anzichè tiranneggiare il poeta, sembrano essergli obbedienti cotanto da divenire nelle sue mani istromenti di nuova e sublime bellezza. Per testimonianza infatti del suo figlio Piero, sappiamo ch'ei solea darsi vanto di non esser giammai stato costretto dalla tirannia della rima a dir cose ch'egli non avesse in prima pensate, ma di averla anzi saputa piegare a' suoi voleri e a' suoi concetti, senza alterarne punto le leggi. A riuscire in ciò, volevasi, non ha dubbio, artifizio grandissimo, specialmente quando il metro portava seco molte difficoltà. Laonde quei poetici componimenti, che hanno rime intermedie, essendo i più scabri e i più difficili, ne porrò sott' occhio del lettore alcun tratto, affinchè possa vedere come Dante in quelli riuscisse, e quanto a giusto titolo si desse egli il vanto ora accennato. La Canzone alla Morte ne offre un esempio:

1

«< Morte, poich'io non trovo a cui mi doglia,

Nè cui pietà per me muova sospiri

Ove ch' io miri, o 'n qual parte ch' io sia;

Cioè, non s' addice, non s' affà.

2 Cioè, Clizia.

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