Sayfadaki görseller
PDF
ePub

» Fiore (a) ». E questo è il duomo di Firenze che fu già il più bello, ed è uno de' più belli della cristianità. « Poi >> l'anno 1296 essendo il comune e popolo di Firenze in >> assai buono e felice stato, con tutto che i grandi aves» sono cominciato a contraddire al popolo, il popolo per >> meglio fortificarsi in contado, e scemare la forza de' no>> bili e potenti del contado; e specialmente quella de' Paz>> zi Ubertini di Val d'Arno che erano Ghibellini, si ordi>> narono che nel detto Val d'Arno di sopra si facesso>> no due nobili terre e castella. L'uno, poselisi nome Ca» stello s. Giovanni, l'altro Castel franco; e francarono >> tutti li abitanti d'ogni fazione e spesa di comune per >> dieci anni etc.; per la qual cosa in picciolo tempo creb>> bono, e multiplicarono assai, e divennero buone e gros» se terre (b) ». Due anni dopo nel 1298 « si cominciò a >> fondare il palazzo de' Priori per lo comune e popolo di » Firenze.... E colà dove posono il detto palazzo, furono >> anticamente le case degli Uberti rubelli, e di Firenze » Ghibellini; e di loro casolari fecero piazza, e compera>> rono altre case di cittadini, e fondaronvi su il detto pa»lagio e la torre de' Priori etc. » E questo è quello di gran mole ch' or dicesi il palazzo vecchio di Firenze (c). Finalmente << nel 1299 di novembre, si cominciò a fonda>> re le nuove e terze mura della città nel Prato d'Ogni » santi, e furono a benedire e fondare la prima pietra il >> vescovo di Firenze, e di Fiesole e di Pistoia etc., e mu» raronsi allora dalla torre sopra alla gora insino alla por» ta del Prato. Ma per molte avverse novità che furono ap » presso, stette buon tempo che non vi si murò più in» nanzi (d) ». E queste sono le mura attuali di Firenze che ognun vede quanto ampie e non mai arrivate dalle

(a) Vill. P. 352. (b) Vill. p. 356. (c) Vill. p. 361. (d) Vill. p, 363.

case, non mai empiute di abitatori secondo lor ampiezza; e che appunto così dimostrano in quali spiriti, quali speranze, quali ambizioni di grandezza fossero i Fiorentini quando intrapresero sì ampia cerchia. E così di quella bella Firenze tanto ammirata ai nostri dì, i due templi maggiori, il suo antico palazzo, le sue mura, ed alcune delle sue castella all'intorno ebbero tutti origine in quegli ultimi sette anni del secolo XIII. E se i pubblici monumenti non sono indizio sempre di splendor nazionale, potendosi da un governo oppressore farsi a detrimento delle sostanze popolari; se ancora, l'accrescimento di una città può essere a detrimento delle terre all'intorno, e mostrar più attività nella popolazione che nel governo; quando poi insieme s'accrescono e i monumenti pubblici e le abitazioni private, e dentro e fuori della città, non parmi pos. sa rimaner dubbia la prosperità almeno materiale, del governo insieme e del popolo.

Ma nel detto tempo essendo la nostra città di Firen» ze nel maggiore stato e più felice, che mai fosse stata, >> dapoi ch' ella fue riedificata o prima, sì di grandezza e » potenza e sì di numero di genti, che più di XXX mila » cittadini da arme avea nella città, e più di LXX mila >> distrettuali avea in contado, con nobiltà di buona ca» valleria e franco popolo, con grandi ricchezze signo>> reggiando quasi tutta Toscana; il peccato della ingra>> titudine col sussidio dell' inimico della umana genera>> zione, della detta grassezza fece partorire superbia e >> corruzione, per la quale furono finite le feste e alle» grezze de' Fiorentini, che infino a que' tempi stavano >> in molte delizie e morbidezze, e tranquilli e sempre in >> conviti, chè ogni anno per Kalen di maggio quasi per » tutta la città si faceano le brigate, e le compagnie d'uo>> mini e di donne, di solazzi e balli (a)».

(a) Vill. p. 369.

144

CAPO X.

BIANCHI E I NERI. IL GIUBILEO, LA TERZA IDEA
DEL POEMA. IL PRIORATO.

[merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small]

Il parteggiare che seguì in Firenze, in quasi tutta Toscana e in alcune città all'intorno, non fu se non un suddividersi della parte guelfa; quel suddividersi che sempre succede di qualunque parte dopo qualche tempo di vittoria e baldanza, in puri e non puri, più e meno esagerati. E come pur succede sovente, i puri o più esagerati ebbero, aiutati da fuori, la vittoria; e i meno puri tacciati prima di parte contraria, poi condannatine e dispersi, si confusero in breve con questa. Pochi anni durarono siffatti accidenti di parte guelfa; e i nomi di Neri e Bianchi inco

minciati nel 1300, già dieci anni dopo più non s'udivano, perduti di nuovo in quelli primitivi di Guelfi e Ghibellini. Quindi è che tal episodio avrebbe poco interesse, e sarebbe appena notato nella storia d'Italia o nella Fiorentina stessa, se non vi si trovasse impigliato il nostro sommo autore; tanto che, dopo l'amore di lui, è l'evento più importante di sua vita, e quello a che più sovente allude nel divino poema. Sarebbe perciò degnissimo soggetto di storia speciale, e potrebbe trarsi da molti scrittori di quel tempo, Dino Compagni, Giovan Villani e Marchionne Stefani principalmente. Ne' quali per vero dire, non poche contraddizioni si trovano, ed alcune forse impossibili a torre. Ma questo è oramai un inconveniente di tutte le storie moderne, nelle quali abbondando i documenti, è difficile che s'accordino tutti; ondechè chi vuol servire alla bellezza della narrazione suol fare certezze delle incertezze, ma chi vuol seguir verità prima d'ogni cosa, forza è che dica le cose cerle come certe, e le dubbie come dubbie, e così nuoccia alla scorrevolezza della narrazione. Mi perdonino i leggitori di non saper essere se non degli ultimi; e massimamente tentando io, quasi primo, d'ordina re quei fatti (a). E mi perdonino poi, di recar qui più che mai gli squarci originali. Ei mi si dirà forse che non fo guari più che trascrivere; ma io non ho cuore di mettere parole mie in luogo di quelle di tali storici contemporanei; i quali sono insieme i più efficaci scrittori di nostra lingua. Del resto e il Serassi nella vita del Tasso e molti oltremontani in quella qualità di storie che chiamano memorie, mi hanno dato l'esempio.

Quali fossero i Donati e messer Corso lor capo, quali i maleficii di lui nella propria famiglia contro i consorti, quali forse le sue soverchierie a Dante suo affine, e quali

(a) Il Dionigi nella Preparazione alla nuova Ediz. di Dante ha pur fatta tal narrázione. Vedi Tom. 1. cap. IV-XV.

Vita di Dante.

13

certo le sue inimicizie contro Guido Cavaleanti, il primo amico di Dante, già avemmo occasione di dirlo. E già pur accennammo la sua inimicizia massima contra messer Vieri de'Cerchi; e la voce, falsa o no, che corse nei paesi più lontani d'Italia sull'origine di essa. Gli storici fiorentini poi non ne danno altra cagione, se non quella peste di che non vanno scevri gli stati grandi, ma che è continua e quasi nativa nei piccoli, e più maligna tra' vicini, la invidia. Questa poi del vicinato di Dante crebbe sì da farsi per cagione di lui, immortale. « Per le invidie si co» minciarono tra'cittadini le sette; e una principale e mag» giore si cominciò nel sesto dello scandalo, di porta san » Pietro tra quelli della casa de' Cerchi e la casa de' Do» nati. L'una parte si mosse per invidia, e l'altra per » salvatica ingratitudine. Della casa de'Cerchi era capo » messer Vieri de' Cerchi; ed elli e quelli di casa sua era»no di grande affare possenti, e di grandi parentadi, e >> ricchissimi mercatanti; chè la loro compagnia » (cioè casa di commercio) « era delle maggiori del mondo. Uomini >> erano morbidi; salvatichi, e ingrati; siccome genti ve>> nute in piccol tempo in grande stato e potere (a) ». Dơve nota quel nome di sesto dello scandalo dato a quello de' Cerchi e Donati e Dante. E nota principalmente quel soprannome dato ai Cerchi di selvatichi; il quale, sia che fosse come a dire campagnuoli, inurbani, mal inciviliti, sia che pur venisse loro dalle selve di Val di Sieve e del Pivier d'Acone ond' erano originari (b), fu dato loro così generalmente che da principio la parte loro fu pur chiamata la parte selvaggia, e così ancor la chiama Dante (c).

p.

(a) G. Vill. p, 369; e concorda col ritratto fattone da Dino Comp. 480.

(b) Parad. XVI, 65.

(c) Vedi il luogo dell' Inf. VI messo in fronte del presente capitolo, dove non è dubbia tal denominazione della parte de'Cerchi, e i due luoghi ivi pur posti del canto 1. non avvertiti fin' ora che io sappia, sotto tal rispetto; e che interpetrati storicamente così,

« ÖncekiDevam »