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ni delle partorienti a Maria. Nè sono questi i soli del poema ove torni menzione di lei; trentotto se ne contano non son tutti (a). San Bernardo poi fa, come ognun sa, specialmente divoto di Maria Vergine, ed estenditore del soave culto di lei nel secolo precedente. Quindi egli è, che si fa qui non più guida (imperciocchè Dante non sale oramai più su ), ma dimostratore delle glorie di Maria Vergine circondata in forma di rosa, dai santi, e dagli angeli più sublimi; egli san Bernardo, che fa per Dante questa ultima orazione;

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Vergine madre, figlia del tuo figlio,
Umile ed alta più che creatura,
Termine fisso d'eterno consiglio!
Tu se' colei che l'umana natura
Nobilitasti sì che 'l suo Fattore
Non disdegnò di farsi sua fattura (b).
Nel ventre tuo si raccese l'amore,
Per lo cui caldo nell'eterna pace
Così è germinato questo fiore (c).
Qui se' a noi meridiana face

Di caritade, e giuso intra mortali
Se'di speranze fontana vivace.
Donna se' tanto grande, e tanto vali,

Che qual vuol grazia e a te non ricorre

Sua disianza vuol volar senz'ali.

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La tua benignità non pur soccorre

A chi dimanda, ma molte fiate

Liberamente al dimandar precorre.

(a) Così son dati nell' indice della Minerva. Purg. III 39. V. 101. VIII 37. X 41, 50. XVIII 50. XV 88. XVIII 100. XX. 19, 97. XXII. 142. XXXIII 6. - Parad. III 122. IV 30. XI 71. XIII 84, XIV 36. XV 133. XVI 35. XXIII 88, 111, 126, 137. XXV. 128. XXXI 100, 116, 127. XXXII 4, 29, 85, 95, 104, 107, 113, 119. 134 XXXIII 1, 34. Ai quali si vogliono aggiugnere, secondo l'interpretazione del Tommaseo, i due dell' Inf. II, 97, 124. (b) O forse tua fattura? ma dicesi non vi sia perciò autorità di codici.

(c) La rosa dell' anime beate.

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In te misericordia, in te pietate,

In te magnificenza, in te s' aduna
Quantunque in creatura è di bontate.
Or questi che dall' infima lacuna

Dell'universo, infin qui ha vedute
Le viti spiritali ad una ad una,
Supplica a te per grazia di virtute

Tanto che possa con gli occhi levarsi
Più alto verso l'ultima salute.
Ed io che mai per mio veder non arsi

Più ch'io fo per lo suo, tutti i miei preghi
Ti porgo, e prego che non sieno scarsi,
Perchè tu ogni nube gli disleghi

Di sua mortalità co' prieghi tuoi
Si che 'l sommo piacer gli si dispieghi.
Ancor ti prego, Regina, che puoi

Ciò che tu vuoli che conservi sani
Dopo tanto veder gli affetti suoi.
Vinca tua guardia i movimenti umani,

Vedi Beatrice con quanti beati

Per li miei prieghi ti chiudon le mani.
PARAD. XXXIII.

E così con le mani giunte e tra l'anime più beate a pregar Maria Vergine per lui, lascia Dante finalmente la sua Beatrice; così certo erasi ella presentata a lui nella visione originaria del poema.Precipita allora questo al fine in pochi versi, inadeguati, il confessa egli, al soggetto infinito della contemplazione di Dio. Maria Vergine abbassa

Gli occhi da Dio diletti e venerati

al supplice san Bernardo, in segno di accoglier la preghie ra, poi li drizza all'eterno Lume; san Bernardo accenna sorridendo a Dante che guardi; ed egli già guardava, « e >> consuma poi la veduta » del Dio trino ed uno, finchè

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All'alta fantasia qui mancò possa.

PARAD. XXXIII.

Cosi finisce il poema sacro; così col suo perfetto corríspondere alle credenze, alla coscienza, all'interna e innata poesia de' popoli cristiani, soddisfece non solo ai piaceri, ma ai bisogni di essi ; e non solo avanzò, ma d' un tratto quasi compiè il rinnovamento della poesia e delle lettere, tanta parte di quello della civiltà. E col poema finì in breve la vita di Dante; la vita dell'innamorato, ap. pena compiuto il suo voto d'amore; la vita del gran poeta, compiuta l'opera che 'l fa immortale; la vita del cristiano nella contemplazione ultima delle gioie del Paradiso e d'Iddio. Lieto e ben augurato passaggio per vero dire, che è quasi impossibile attribuire al caso; e sembra anzi a natural effetto d'un'anima soddisfatta d'aver adempiuto quanto ella aveva a fare quaggiù, ovvero soprannaturale e quasi miracoloso benefizio della Provvidenza rimuneratrice, che abbia degnato richiamare a sè quella forte e combattuta anima al momento della vittoria, pentita degli errori, colma di opere, e apparecchiata al premio.

CAPO XVI.

RAVENNA, ULTIMO RIFUGIO, ULTIMI LAVORI, ULTIMA AMBASCERIA, MORTE, SEPOLTURA.

(ANNO 1320-14 Settembre 1321)

Ora ti prego, o dolce Signor mio,
Che tu ti degni di manifestarmi
L'estremo fin del breve viver. mio.
Deh non voler a terra rivocarmi

Nel mezzo de' miei giorni; ma più tosto
Aspetta il tempo, e l'ora di salvarmi.

Or fa, Signore, che della mia tomba
Io esca fuora, non oscuro e greve,
Ma puro come semplice colomba;
Acciò ch'io essendo allora chiaro e lieve
Possa venire ad abitar quel loco,
Che li tuoi figli e servitor riceve,
Dov'è diletto e sempiterno gioco.

Salmi di Dante-salm. V—v. 24, 25. 29.

Lasciammo Dante in Udine alla corte Guelfa del patriarca Pagano della Torre nell'anno 1319. Addì 20 gennaio 1320; il troviamo poi quasi di passaggio in Verona; se abbiasi a credere al titolo d' un libretto stampato in Venezia nel 1508, e citato già da' bibliografi, ma che lascio lor dire, od anzi lor domando, se sia superstite? (a). Quel titolo è così: «Quaestio florulenta; ac perutilis super » reperta, quae olim Mantuae auspicata, Veronae vero di» sputata, et decisa, ac manu propria scripta a Dante flo » rentino poeta clarissimo quae diligenter et accurate corre

(a) Cinelli biblioteca volante-Apostolo Zeno lettere vol. II, p. 204, Pelli p. 141.

» cla fuit per Rev. Magistrum Joannem Benedictum Mon» cellum de Castilione Aretino regentem Patavinum ordi» nis Eremitarum divi Augustini, sacraeque theologiae do» ctorem excellentissimum (a) ». Certo si vorrebbe vedere il libro stesso per congetturare plausibilmente se sia da aggiungere questa all'opere di Dante; e se ci sien dati quindi per la vita di lui, ed un soggiorno a Mantova, ed un terzo o quarto a Verona al principio del 1320, che ci mostrerebbe non venute a compiuta rottura le dissensioni di Dante collo Scaligero.

Ad ogni modo o poco prima o poco dopo dovette incominciare il soggiorno di Dante in Ravenna. Del quale parlano: sì tutti i biografi (b) ma senza dire quando principiasse il Boccaccio sembra porlo subito dopo la morte d'Arrigo III: ma ella è contraddizione evidente a tutte le altre memorie certe perchè le possiam dar fede. Continua poi il Boccaccio al solito suo con più parole che fatti ; « Era » in quel tempo signor di Ravenna famosissima e antica » città di Romagna un nobile cavaliere il cui nome era » Guido Novello da Polenta; il quale ne' liberali studi am>> maestrato, sommamente i valorosi uomini onorava, e » massime quelli che per iscienza gli altri avanzavano. >> Alle cui orecchie venuto Dante fuori d'ogni speranza es»sere in Romagna, avendo egli lungo tempo avanti per >> fama conosciuto il suo valore, in tanta disperazionę si >> dispose di riceverlo e d'onorarlo; nè aspettò da lui di » ciò esser richiesto ». Ma avendo esso invitato, accettò Dante e andò a Ravenna, « dove onorevolmente dal signor >> di quella ricevuto, e con piacevoli conforti risuscitata » la caduta speranza, copiosamente le cose opportune do»> nandoli, in quella seco per più anni il tenne, anzi sino >> all'ultimo della vita sua »>> · E più giù: « Abitò adun

(a) Tiraboschi Ed. Minerv. V. p. 82.

(b) Villani pp. 507, 308. Leon. Aret. Ediz. Min. T. V, p. 58.

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