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male, ma imitar si possono sempre le virtù, e questa principalmente ch'è poi madre di tutte l'altre. Niuno forse mai più non darà alla patria un tesoro di gloria e pensieri come Dante; ma aggiugniamo ognuno l'obolo nostro.

Quanto poi alla gloria, special premio riserbato a' grandi, veggiamo ciò che ne pensò egli, e ciò quindi che glie ne toccò.

CAPO XVII.

VICENDE DELLA GLORIA DI DANTE.

(ANNI 1321-1838)

100 Non è il mondan rumor altro che un fiato
Di vento, ch' or vien quinci ed or vien quindi
E muta nome perchè muta lato.

103 Che fama avrai tu più se vecchia scindi
Da te la carne, che se fossi morto
Innanzi che lasciassi il pappo e il dindi,
106 Pria che passin mill' anni? ch'è più corto
Spazio all' eterno, ch' un muover di ciglía
Al cerchio che più tardi in cielo è torto.
PURG. XI.

Chiunque paragoni il passo dell' Inferno XXIV. 47 dove è esaltata la gloria terrena, con questo del Purgatorio dove ella è ridotta al suo vero valore, potrà aggiugnere il nostro Dante alla serie di quei grandi, che s'innamorarono della gloria e si confortarono della speranza di essa nel principiare le loro fatiche, ma che ne sentirono la vanità, giunti che furono alla loro grandezza. Restano questi sì ancora talvolta superbi nel compararsi, ma umili sempre nel considerare sè stessi; e tal fu la superbia di

Dante, troppo appostagli da molti. Modesto il diremmo anzi, e là dove ei si paragona e si mette sotto a Ovidio, e qui dove non sembra sperare mille anni alla gloria sua, che noi dopo cinquecento veggiamo rinverdire. Ad ogni modo, docili noi all' ultima sentenza di Dante, la storia che imprendiamo della gloria di lui non sarà se non quelJa dell' utile prodotto, dell'attività promossa da lui. Questo solo è lascito reale de' grandi.

Non farà quindi meraviglia, che noi passiamo i funerali celebratigli da Guido di Polenta; il sermone pronunziato tornando alla casa di lui (a); le poesie ed iscrizioni scrittegli in morte, che credo sieno la prima di quelle raccolte tanto prodigate poi (b); il sepolcro di Ravenna, ideato ma non potuto eseguire da Guido da Polenta, innalzato poi nel 1483 da Bernardo padre del cardinal Bembo e priore là per la repubblica di Venezia e restaurato nel 1692 e 1780 dai cardinali Corsi e Valenti Gonzaga legati del papa in quella città (c); i monumenti erettigli in vari luoghi, e quel di Roma fattovi da Canova nel 1813 (d), e quel di Firenze decretato la prima volta nel 1396, ed effettuato nel 1829 (e); finalmente le medaglie battutegli (f). Tutta questa è la parte materiale della gloria di (a) Boccacc. Vita di Dante p.

41.

(b) Boccacc. Vita di Dante p. 42. Ed. Min. V. p. 121, e Veltro p. 187. E posciachè tante altre ne sono, sarebbe curioso forse rifare questa Raccolta di poesie in morte di Dante.-Potrebb'essere II Appendice alla presente o qualunque altra Vita; e farsi prima un codice diplomatico di lui.

(c) Pelli p 144.- De Romanis Ed. Min. V. 121, e Francesco Beltrani: Forestiere istruito delle cose notabilissime della città di Ravenna-Rav. 1783.

(d) De Romanis Ed. Min. V. 125.

(e) Missirini Commentario II. dà la storia di tutti i monumenti eretti in Toscana.-Altri forse ne sarebbero da aggiugnere nel resto d'Italia; ed uno recentissimo in Parigi eretto nel palazzo Portales, e scolpito da M.lle Fauveau. Sarebbe III Appendice desiderabile una Epigrafia di Dante.

(f) Pelli p. 150-Missirini Com. II. Vita di Dante.

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p. 16.

40

Dante; della quale pure vediamo così il crescere fino ai nostri dì.

E lasciamo, quantunque più proprie di Dante stesso, le opere d'arte ispirate da lui a Giotto, all' Orcagna, a Masaccio, al suo simile, e quasi fratello Michelangelo Buonarotti che fece ad ogni canto della Commedia certi disegni, perduti poi pur troppo in un naufragio; e quelli che furono fatti in Italia e fuori, da Federico Zuccari da Flaxman, o da Pinelli e molti altri (a). Niun poeta o scrittore umano, tranne forse Omero fra gli antichi, fece tanto dipingere e scolpire, e così produr tanti tesori anche materiali come Dante; sia detto per coloro che non istimano se non la produzione della materia, e chiamano non produttori gl' ingegni.

E lascio finalmente anche la storia della famiglia di Dante; la quale si trovava in Ravenna alla morte di lui, ma in occasione probabilmente della cacciata di Guido seguita poco dopo, tornò in Verona presso Can Grande, ivi si stabilì e propagò, tornando di rado alcuni a Firenze, e non cessando in linea diretta mascolina se non a mezzo il secolo XVI in Ginevra, che portò il nome e il sangue dell'Alighieri nella famiglia de' conti Sarego fino al presente (b). E questa certo è bella nobiltà. Ma noi lasciando tutto ciò, ed insieme le stesse opere minori di Dante, ci affrettiamo al fondamento della nobiltà da lui lasciata, al monumento massimo da lui stesso a sè fatto, al fonte di tante belle ispirazioni altrui, la divina Commedia. Ma non

(a) Tutti questi (e probabilmente Michelangelo più degli altri) trattarono i soggetti Danteschi per isfoggio di nudi e così con pothe figure. Ma se un disegnatore d'ingegno simile al Martin, s'innamorasse mai di Dante, ne potrebbe sorgere quasi un commento grafico della divina Commedia, ed una tutta nuova opera d'arte. Intanto i disegni delle principali opere d'arte ispirate da D. potrebbero formare una IV Appendice od Iconografia di Dante. (b) Pelli p. 37, ed albero genealogico p. 28.

faremo più che un sommario della storia di essa; una distesa sarebbe poco meno che storia letteraria d'Italia.

Vedemmo poco prima della morte di Dante non mandati per anco a Can Grande, e così non pubblicati gli ultimi tredici canti del Paradiso. Di questi poi narra il Boccaccio che Dante si morì senza nemmen lasciarne memoria. « E cercato da quelli che rimasono, figliuoli e discepoli, » più volte e in più mesi ogni sua scrittura, se alla sua » opera avesse fatta alcuna fine, nè trovandosi per alcun » modo i canti residui; essendo generalmente ogni suo >> amico corruccioso, che Iddio non l'aveva almeno al » mondo tanto prestato, che egli 'l piccolo rimanente del>> la sua opera avesse potuto compire; dal più cercare, nè » trovandoli, s'erano disperati rimasi. Eransi Jacopo e » Piero figliuoli di Dante, de' quali ciascuno era dicitore » in rima (a), per persuasione d'alcuni loro amici, mes» si a volere quanto per loro si potesse, supplire la pa»terna opera, acciocchè imperfetta non rimanesse; quan» do a Jacopo, il quale in ciò era più fervente che l'altro, » apparve una mirabil visione, la quale non solamente > dalla stolta presunzione il tolse ma gli mostrò dove » fossero li tredici canti, li quali alla divina Commedia >> mancavano, da loro non saputi ritrovare (b) ». Segue poi a narrare quella visione avuta da Jacopo all'ottavo mese dopo la morte di Dante, e riferita da un valentuomo Ravegnano discepolo di lui nomato Piero Giardino. Certo con tale aggiunta il Boccaccio toglie autorità a tutto il fatto. Ma parmi che lasciando ciò che altronde si arguisce di falsità, si debba serbare fede al restante. L'interruzione d'amicizia tra Dante e lo Sealigero, ci fa parer molto naturale la sospensione dell'invio degli ultimi canti, e così la non pubblicazione di essi, confermata dal

(a) Benedetto sia tu gran Boccacio, che distingui in Italia i dicitori in rima da' poeti.

(b) Boccaccio Vit. p. 89.

l'egloga o lettera a Giovanni di Virgilio. L'esilio e le altre sventure di Dante fanno in lui naturale qualunque sospetto, e così poi l'aver esso nascosto quel resto del prezioso manoscritto; e la brevità dell'ultima malattia, i pensieri profondamente e sinceramente cristiani di Dante, che dovettero preoccuparlo in quella, e così chi sa quali ritorni di carità, che talor moderano vendetta od anche giustizia in chi scrive, tutto può spiegare l' aver esso taciuto di quel ripostiglio; il quale potè poi esser trovato per una di quelle reminiscenze confuse diurne o notturne, che sembrano talora ispirazioni soprannaturali. Ad ogni modo, e quanto più o meno si voglia accettare dal Boccaccio, mi pare che risultino certi questi due fatti, che il poema era alla morte di Dante pubblicato tutto, salvo quegli ultimi tredici canti; e che questi furono pubblicati coll' invio a Can Grande pochi mesi o un anno forse dopo la morte di Dante, da'figliuoli. Imperciocchè questi due dovettero essere fatti pubblici; nè Jacopo; o Pier Giardini, o il Boccaccio, avrebbero ardito inventarli se non veri.

E dal Boccaccio pure abbiam memoria d'un altro fatto importante rispetto ad un' altra opera di Dante, la Monarchia: «Questo libro più anni dopo la morte dell'auto» re fu dannato da messer Beltramo cardinale del Pog>> getto, e legato del papa nelle parti di Lombardia, se» dente papa Giovanni XXII. E la cagione ne fu, percioc» chè Ludovico duca di Baviera dagli elettori di Lama» gna eletto re de' Romani, e venendo per la sua corona»zione a Roma, contro al piacer di detto papa Giovan>> ni, essendo in Roma fece contro agli ordini ecclesiasti »ci, uno frate minore chiamato frate Pietro della Cor

nara papa, e molti cardinali e vescovi; e quivi a que» sto papa si fece coronare. E nata poi in molti casi della >> sua autorità quistione, egli e i suoi seguaci trovato » questo libro a difensione di quella » (il libro era dedi

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