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vigoria di tutta la letteratura; e restaurò certo il culto di Dante. Era anima veramente Dantesca. Amori, ire, superbie, vicende di moderazioni ed esagerazioni, e mutazioni di parti, tutto è simile nei due. Quindi l'imitazione non cercata, ma involontaria, sciolta ed intrinseca. In Monti poi fu più ingegno che animo Dantesco; e le mutazioni di lui furono più d'arrendevolezza che d'ira. Quindi l'imitazione più esterna; nella forma sola, e nelle immagini, Alfieri poi ebbe seguaci lontani, ignoti e forse disprezzati da lui, tutta la generazione allor sorgente. Monti amorevolissimo ebbe una scuola da lui avviata e quasi diretta. E così per l' impulso appassionato dell' uno, per la direzione studiata dell' altro, riunironsi l'una e l'altra scuola in quella che fece e fa il secolo presente, più devoto, più studioso di Dante che non sia stato mai niuno de' precedenti. Se non che le vicende poi, le parti, i sovvertimenti veduti e sofferti dalla nostra generazione, la educarono, meglio che non Monti ed Alfieri stessi, ad intendere e pregiare i pensieri e lo stile del gran fuoruscito.

Al principio del secolo presente diceva Alfieri non esser forse trenta persone in Italia (tante parmi aver udito da chi udiva il detto) che avessero veramente letta la Commedia. Ed ora, quantunque corso poco più che il terzo, già abbiamo più edizioni, più commenti, più lavori che in niuno de' precedenti. Le edizioni sono già più di 70. (a) Il commento nuovo del Biagioli, quello della edizione della Minerva sola ma non ottima edizione variorum, quelli di Foscolo, di Arrivabene, di Rossetti, del Tomma

(a) Un abbozzo di bibliografia Dantesca del sec. XIX da me fatto ad uso del presente lavoro comprende già più di 100 edizioni di Dante od opere su Dante. Io sarei felice di por tal abbozzo a disposizione di chi volesse imprendere l'util fatica d'una bibliografia Dantesca compiuta, o solamente del sec. XIX, che sarebbe VI e massima Appendice della Vita-E sia detto lo stesso per altri abbozzi d'altre appendici accennate con desiderio nel presente capitolo.

seo son noti a tutti. Il Perticari, genero e scolaro di Monti disertò sulle opinioni di lingua e sull' amor patrio di Dante. Il conte Marchetti, lo Scolari, il Missirini, e l' autor del Veltro illustrarono parecchi punti particolari della storia di Dante; ma l'ultimo uomo a cui tanto è difficile frenar l'erudizione, quanto altrui l'immaginazione, illustrò quasi tutta la seconda parte della vita. Nè dirò nemmen per cenni delle innumerevoli polemiche de' giornali, o delle imitazioni buone o cattive di tanti; chè le nomenclature non istanno bene se non ne' cataloghi. Ma sien nominate la Francesca di Silvio Pellico, e la Pia di Sestini ; due opere figlie di Dante, e delle più care della nostra lingua. Fuori d'Italia poi il Ginguenè nella sua storia della letteratura italiana, l'Artaud colla sua traduzione francese, il Boyd con una inglese, parecchi Tedeschi con parecchie in lor forte lingua, il Fauriel con una vita brev e eppur compiuta, il Witte coll' edizione delle epistole ed altri lavori, e poi le cattedre in Parigi e in Berlino o rinnovate da quella del Boccaccio, o risonanti almeno del nome e dell' importanza di Dante, tutto mostra il culto di lui più che mai diffuso oltremonti ed oltremare. E così doveva essere appresso a quelle nazioni, che non temono di rinnovare le loro letterature ai fonti d'ogni moderna civiltà, il cristianesimo e l'Italia.

E tuttavia dopo tanti lavori di cinque secoli, molti ne rimangono a fare su Dante.Manca, che pare strano, un'edizione veramente compiuta delle opere di lui; manca un catalogo di codici antichi, uno de' commenti, uno compiuto delle edizioni; ma mancano principalmente due commenti della divina Commedia che soddisfacciano veramente l'uno ai principianti, l'altro agli studiosi. Nè a far questo io vorrei, come taluno, invitar gli eruditi quasi a un congresso italiano o europeo; e nemmeno proporre una edizione variorum di un volume per canto, cento in tutto; che son sogni di cieche e mal intese adorazioni, ido

latrie da barbari che non san nemmeno metter l' idolo su un altare, e il sepelliscono sotto i macigni. Un buon commento di Dante sarebbe cosa grande è vero; ma non sovrumana, non tale che non abbiano a bastarvi uno o due uomini studiosi di filologia e di storia, eruditi senza smania di mostrar sempre erudizione, fuggitori di dispute, compendiatori più che dissertatori di lavori altrui, e desiderosi in tutto di servire meno alle proprie gloriuzze, che non alla gloria vera del loro autore, e per esso della patria. Certo se nol facciam noi, sarà fatto un dì o l'altro da uno di que'meravigliosi e conscienziosi Tedeschi che a poco a poco usurpano a sè tutte le erudizioni nostre. E sia pure, quando almeno si accettassero da noi con gratitudine e profitto, invece di rigettarli con pigro disprezzo, i benefizi altrui.Protestiamo almeno alcuni, contra ciò che Dante chiamerebbe selvaggio costume.

Ma intanto della cresciuta gloria di Dante congratuliamoci, come di felice augurio colla nostra età, colla nostra patria. Ella ha molti altri grandi scrittori, anzi i più grandi in ogni arte o scienza moderna; il più gran lirico d'amore, il più gran novellatore, il più grand' epico grave, il più grande giocoso, il più gran pittore, il più grande scultore, il primo de'grandi fisici moderni, e il maggiore degli ultimi; Petrarca, Boccaccio Tasso, Ariosto, Raffaello, Michelangelo Galileo e Volta. Vogliam noi glorie, vanti, supremazie? Non ci è mestieri ire in cerca d' ignoti o negati. Tutti questi ce ne daranno. Ma vogliamo noi aiuti? e non a ingegno di che non abbiam difetto, ma a virtù se già così sia che ne sentiam bisogno? Torniamo pure, abbandoniamoci all'onda che ci fa tornare al più virtuoso fra' nostri scrittori, a colui che è forse solo virilmente virtuoso fra' nostri classici scrittori. In lui l'amore non è languore ma tempra; in lui l'ingegno meridionale non si disperde su oggetti vili, ma spazia tra' più alti naturali e soprannaturali; in lui ogni virtù è esaltata, e i vizi patrii od anche proprii sono vituperati, e gli stessi erro

ri suoi particolari sono talora occasioni di verità più universali; la patria città, la patria provincia e la patria italiana sono amate da lui senza stretto detrimento l' una dell' altra, e massime senza quelle lusinghe, quelle carezze, quegli assonnamenti più vergognosi che non l'ingiurie, più dannosi che non le ferite; e i destini nostri allor passati, presenti o futuri sono da lui giudicati con quella cristiana rassegnazione alla provvidenza divina, che accettando con pentimento il passato, fa sorgere con nuova forza ed alacrità per l'avvenire. Noi cominciammo con dire essere stato Dante il più italiano fra gli Italiani; ma ora, conosciuti i fatti ed anche gli errori di lui, conchiudiamo pure essere lui stato il migliore fra gl'Italiani. S'io m'inganno sarà error volgare di biografʊ; ma come o perchè s' ingannerebbe ella tutta la nostra generazione?

Ed ora, tu'l vedi, io ti lascio a rincrescimento ed a stento, o leggitore, chiunque tu sia che non m' abbia lasciato tu in questo breve lavoro. Il quale così fusse stato a te piacevole in parte, come fu a me, che ben sento non poter mai più trovarne uno tale! così sopra tutto ti fosse per me agevolato lo studio di Dante! chè io mi consolerei al pensiero di non avere, una volta almeno, perduta l'opera mia. Tra gli allettamenti e dell' ozio e dell'attività, sempre, a malgrado qualunque progresso, saran gli uomini sviati fuori delle virtù precise e severe, fuori di quella rettitudine a cui cantare vedemmo votarsi Dante. Ma lo sviarsene tra la tranquillità dello studio, il far teorie delle male o delle molli pratiche, l'ammanir le scuse agli oziosi o viziosi è meno scusabile di gran lunga, massime in Italia; e sarà di dì in dì più vituperato, anche in Italia. Allora si giudicheranno gli scrittori, numerosi altrove, rari e disgiunti da noi, del secolo XIX, meno forse dall' ingegno che non dall'intenzione.Allora possa io rimaner del tutto senza nome, od esser aggiunto oscuro pure ed ultimo, dopo coloro che saran detti, essere stati almeno uomini di buona volontà,

NOTA

AGGIUNTA AL CAPO IV. pag. 274

ARGOMENTO DEL TRATTATO SECONDO DEL CONVITO.

CAPO I. Dei quattro sensi, litterale, allegorico, morale ed anagogico. Doversi trattar prima del litterale. E così farà egli, e appresso dell' allegorico, toccando talvolta incidentemente degli altri due.

CAPO II. Dei due amori suoi a Beatrice che vive in cielo con gli angioli, ed alla gentildonna alla cui immagine disposò il suo beneplacito dopo due rivoluzioni di Venere; e della lotta che ne nacque in lui. Poi delle divisioni che farà di questa e dell'altre cenzoni.

CAPO III. Dei nove cieli.

CAPO IV. Del cielo decimo immobile, o empireo de' cattolici ; e del moto degli altri; del terzo cielo, e dell' epiciclo della stella Venere.

CAPO V. Dei motori de' cieli o intelligenze che il volgo chiama angeli, e Platone idee, e i Gentili dei e dee; e che debbono essere moltissimi.

CAPO VI. Degli angeli rivelatici dal vangelo. Delle tre gerarchie divise in loro nove ordini, angeli, arcangeli e troni; dominazioni, virtuti e principati; potestati, cherubini e serafini. Come contemplino la SS. Trinità. Dei troni che reggono il terzo cielo, e delle credenze che n' ebbero i Gentili.

CAPO VII. Sposizione litterale della prima parte della canzone e prima strofa. Mira l'anima a Beatrice, e lo spirito all' altro

amore.

CAPO VIII. Comincia la sposizione litterale della seconda parte che comprende le strofe seconda e terza ; e accenna il combattimento in sè dei due amori.

CAPO IX. Vuol trattar del combattimento e non parlar più di Beatrice; ma fa per lei un' ammirabile digressione e professione di fede sull' immortalità dell'anima.

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