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NOTA AGGIUTA AL CAPO IV.

CAPO X. Sposizione della terza strofa dove parla l'anima innamorata di Beatrice.

CAPO XI. Sposizione della terza parte della canzone. Quarta strofa dove parla lo spirito occupato nel secondo amore. Belle esposizioni delle parole pietà e cortesia.

CAPO XII Sposizione litterale della tornata.

CAPO XIII. Sposizione allegorica. E prima, che per la seconda sua donna debba intendersi la filosofia.

CAPO XIV. Che per lo cielo s' intende scienza; e per li sette cieli de' pianeti, le sette scienze del trivio e del quadrívio, gramatica, dialettica, rettorica, aritmetica, musica, geometria e astrologia; e per l'ottavo cielo, la fisica e la metafisica; e per il nono la scienza morale, e per il decimo quinto la teologia; e dimostra la relazione de' sette primi cieli colle sette prime scienze. CAPO XV. Relazione de' tre cieli colle tre scienze ultime.

CAPO XVI. Che Boezio e Tullio co'raggi della stella loro, cioè rettorica, lo spinsero all' amore, cioè studio della donna che dice e afferma essere la filosofia.

NOTA

AGGIUNTA AL CAPO VII. pag. 223

CANTI PRIMO E SECONDO DELL' INFERNO

CON UN COMMENTO CRITICO.

CANTO PRIMO

1

Nel mezzo del cammin di nostra vita
Mi ritrovai per una selva oscura,

1. L'epoca del poema è all'aprile dell'anno del giubileo 1300. Dante nato in maggio 1265 aveva 35 anni. Ed egli teneva questa per la metà della vita degli uomini perfettamente naturati (Convito trat. IV, 23), probabilmente secondo quel testo Dies annorum nostrorum............ septuaginta (Salm. LXXXIX, 10); e quello Ego dixi: in dimidio dierum meorum vadam ad portas inferi (Isaias XXXVIII).

2. La SELVA fu ab antico interpretata per selva de' vizi; e così dee tenersi, come si vede da tutta l'introduzione, da tutto il poema, e dalla lettera a Can Grande; e così ancor nel Convito Selva erronea di questa vita. Ma si compari questo verso 2 col Purg. XIV-64. dove Firenze è chiamata espressamente TRISTA SELVA e coll' Inf. XV-74 dove egli chiama PIANTA sè stesso abitatore di

4

7

Che la diritta via era smarrita.
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
Questa selva selvaggia ed aspra e forte,
Che nel pensier rinnova la paura!
Tanto è amara, che poco è più morte;

Ma per trattar del ben, ch'ivi trovai, Dirò dell' altre cose ch' io v' ho scorte. 10 ' non so ben ridir com' io v'entrai;

Tant' era pien di sonno in su quel punto,
Che la verace via abbandonai.

essa, e colla Volgare Eloquenza I, 18 dove quasi SELVA ei figura l'Italia, e col Purg. XXXII-58 dove pure è detto SELVA il regno di Francia, e si conchiuderà che nella lingua allegorica del poema SELVA diconsi i regni, le città, le nazioni in somma.-Poi si vegga al verso 5 qui seguente la SELVA presente detta SELVAGGIA ed al 93 LOCO SELVAGGIO nome della parte Bianca che reggeva allora Firenze, e in che egli D. era stato allora impigliato ma che egli disprezzava e abbominava quando poi scrisse, e non resterà dubbio che SELVA in particolare è Firenze. Qui dunque l'allegoria è polisensa secondo la mente di Dante; e se noi vogliamo raccogliere in una espressione i due sensi, diremo che è selva dei vizi fiorentini. Finalmente, se restasse la menoma dubbiezza, ella sarebbe tolta da D. stesso. Nel Purg. XXIII, Forese il compagno di D. nella vita viziosa di Firenze fa di tal vita la famosa descrizione dei versi 91.111; e subito D. rendendo conto di se dice DI QUELLA VITA MI VOLSE Virgilio, L'ALTR' JER, la sera del plenilunio. Ond' è chiaro che la SELVA di che il medesimo Virgilio l' avea tratto quel medesimo altr' jer, è una stessa cosa con quella vita viziosa fiorentina menata insieme dai due gio. vani dopo la morte di Beatrice fino alla morte di Forese nel 1293, e continuata poi da D. fino al 1300 quando ne fu tratto da Virgilio. E non solo il seguito s'adatta a tale spiegazione, ma non s'adatta tutto se non a tale.

3. La DIRITTA VIA, è la via virtuosa, quella già seguita da D. vivente Beatrice, SMARRITA pol nel decennio tra il 1292, e il 300 tra i vizi, i negozi, e le parti fiorentine.

4-7. Espressione del rincrescimento con che D. scrivente dopo la conversione, ricorda il tempo della propria vita viziosa e parteggiante.

10-12. Poetica descrizione del dolore, dello smarrimento in che rimase dopo la morte di Beatrice. Ricordinsi le descrizioni fattene in prosa e co'particolari al fine della Vita Nova e nel Con

13 Ma po' ch' io fui al piè d'un colle giunto, Là ove terminava quella valle,

Che m' avea di paura il cor compunto, 16 Guardai in alto, e vidi le sue spalle Vestite già de' raggi del pianeta,

Che mena dritto altrui per ogni calle. 19 Allor fu la paura un poco queta,

Che nel lago del cor m' era durata
La notte, ch' i' passai con tanta piéta.
22 E come quei, che con lena affannata
Uscito fuor del pelago alla riva,

Si volge all'acqua perigliosa, e guata, 25 Così l'animo mio che ancor fuggiva,

vito. E comparisi con quello che Beatrice dice di şua morte, e del perdersi allora di D.

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e tutto il rimanente di que' celestiali rimproveri. Ancora: Nella vita umana sono diversi cammini, delli quali uno è veracissimo, e un altro fallacissimo, e certi men fallaci e certi men veraci ec. (Convito VI).

13 21. Il COLLE ove terminava la VALLE de'vizi fiorentini percorsa da D., colle rischiarato dal soLE nascente, è la filosofia, la scienza umana e divina, in che D. cercò consolazioni dopo la notte del suo dolore, la notte ch' ei passò con TANTA PIETA. Vedi nel Convito la storia in prosa di tali tentativi, le consolazioni ch' ei trovò nella lettura di Cicerone e di Boezio, poi nelle scuole de' Religiosi: ma che non gli durarono, non lo tennero di abbandonarsi ai vizi patrii.—Il SOLE poi è nel paradiso X-XIV. l'astro della filosofia religiosa o teologica.-Le allegorie Dantesche hanno almeno il merito di corrispondersi e spiegarsi meravigliosamente l'une l'altre.

25. In questo verso è una mirabile espressione di quell'impressione che dura dopo una gran disgrazia, una gran paura, e talo

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Si volse 'ndietro a rimirar lo passo,
Che non lasciò giammai persona viva.
28 Poi ch' ebbi riposato 'l corpo lasso,
Ripresi via per la piaggia diserta,

Si che'l piè fermo sempre era 'l più basso.
31 Ed ecco quasi al cominciar dell'erta,
Una lonza leggiera e presta molto,

Che di pel maculato era coperta.

ra un gran moto, quando ancor pare di soffrire, o temere, o muo

vere.

26-27. LO PASSO CHE NON LASCIO' GIAMMAI PERSONA VIVA è INDIETRO è anteriore al tentativo di studi rappresentati dalla salita al monte e dalla NOJA ch' ebbe dei vizi fiorentini rappresentati più giù dalle tre fiere, e tanto più della discesa in Inferno. Dunque il Passo debbe cercarsi ne' fatti della vita di D. anteriori al 1292, in che fu il primo tentativo di studi, ed ai proprii vizi dal 1293 al 1300. H PASSO è il suo dolore, la notte della PIETA, LA PAURA DURATA NEL LAGO DEL CUORE.-E così vorrebbe dire che un tal dolore non lascia più veramente, pienamente, spiritualmente viva la persona che il soffre. Vedi più giù al v. 96. 28-31. Conferma di quanto precede.

32-33. D. prese forse le tre fiere seguenti da Geremia, Percus-
sit eos Leo de Silva; Lupus ad vesperam vastavit Pardus vigilans
super civitates eorum-La LONZA, leopardo o pantera di pel ma-
culato Bianco e Nero è la libidine fiorentina; quella contra cui
egli tuona nel Purg. XXIII, 94-108 e nel Par. XV; quella a che
egli pure più o meno s'abbandonò subito dopo le vane consola-
zioni della filosofia, come si può indovinare già dalla Vita Nova
stessa e poi dal Convito, e da alcune sue poesie, e principalmente
dal nembo di rimproveri di Beatrice al fine del Purgatorio.
torna la lonza nominata una seconda volta nel poema Inf. XVI,
106-108.

Io aveva una corda intorno cinta
E con essa pensai alcuna volta
Prender la lonza alla pelle dipinta.

- E

Dove se non inganna la comune congettura (vedi Vita di D. lib. I, cap. VII, p. 177) la corda è quella de'cordiglieri, fra' quali entrando PENSO' D. vincere la nuova libidine in lui sorta a quel tempo. La lonza è la prima delle fiere che impedisca qui a D. il cammino, come la lussuria fu il primo vizio in che egli cadde

nella vita reale.

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