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LA VITA NUOVA DI DANTE ALIGHIERI.

d'alcuna.1 E poi piaccia a Colui, ch'è sire della cortesia, che la mia anima se ne possa gire a vedere la gloria della sua donna, cioè di quella benedetta Beatrice, che gloriosamente mira nella faccia di Colui, qui est per omnia sæcula benedictus.

1 Per queste parole si fa manifesto che fin dalla sua gioventù aveva Dante concepito l'idea del suo Poema, nel quale voleva dir di Beatrice quello che mai non fu detto d' alcuna, perciocchè avrebbe

di lei formato l'altissimo simbolo della divina sapienza. Anche nella canzone Donne, ch'avele, st. II, disse di sè stesso che avrebbe detto nell'Inferno a' malnati: Io vidi la speranza de' beati.

FINE DELLA VITA NUOVA.

DANTIS ALIGHERII

DE VULGARI ELOQUIO

SIVE IDIOMATE

LIBRI DUO.

DEL VOLGARE ELOQUIO,

LIBRI DUE

DI

DANTE ALIGHIERI.

DISSERTAZIONE

SUL VOLGARE ELOQUIO.

Due nostri antichi scrittori, Giovanni Villani1 e Giovanni Boccaccio, 2 l' uno contemporaneo di Dante Alighieri, l' altro di poco ad esso posteriore, affermarono essere stata da lui scritta un' opera intitolata De vulgari eloquio: e Dante istesso avea detto nel suo Convito; 3 che, se gli bastasse la vita, avrebbe un giorno dettata un' opera di volgare eloquenza. Di quest' opera due soli libri, comecchè di quattro dovesse comporsi, sono a noi pervenuti, sia che alla morte dell' Alighieri andassero gli altri perduti, sia che l'opera non fosse portata al suo compimento per l'affrettata fine dello scrittore. Di questa seconda opinione, che a me par la più vera, sono ambedue gli scrittori summentovati. Quest' opera vide primamente la luce in Vicenza nel 1529, non però nel suo originale latino, ma sibbene in un' italiana traduzione d'ano

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1 « Altresi fece Dante uno libretto, che s'intitola De vulgari eloquio, Dove promette fare quattro libri; ma non se ne trova se non due, forse » per l'affrettato suo fine, ove con forte e adorno latino e belle ragioni >> ripruova tutti i volgari d'Italia. » GIO. VILLANI, lib. IX, cap. 136.

2 « Appresso, già vicino alla sua morte, compose Dante uno libretto » in prosa latina, il quale egli intitolò De vulgari eloquentia; e come per »lo detto libretto apparisca, lui avere in animo di distinguerlo e di ter-. minarlo in quattro libri, o che più non ne facesse dalla morte soprap» preso, o che perduti sieno gli altri, più non appariscono che i due pri» mi. » BOCCACCIO, Vita di Dante.

3 « Di questo si parlerà altrove più compiutamente in uno libro che >> io intendo di fare, Dio concedente, di volgare eloquenzia. » Convito, Tratt. 1, cap. 5.

V. De vulgari eloquio, lib. II, cap. 4 e 8.

nimo, che alcuni dapprima supposero falsamente esser Dante medesimo, e che quindi fu riscontrato essere il Trissino. L'originale latino fu poi nel 1577 dato alla luce in Parigi da Jacopo Corbinelli, a cui Pietro del Bene, gentiluomo fiorentino, rimise l'unica copia MS. che fosse allor conosciuta, e che da lui era stata in Padova ritrovata.

Le scritture dettate in lingua volgare non rimontavano al tempo di Dante a molto antica data, perciocchè (secondo che dice pure egli stesso) non se ne avea d'anteriori al 1150. Ma qual era allora, e qual poteva essere quel volgare, se non un miscuglio informe di varii dialetti? Ond' egli, valendosi degli elementi che presentavagli la lingua parlata, scegliendone le voci migliori, e dando loro e forma e regole, concepì l'idea di fondare un idioma, che in bellezza, in dolcezza e in efficacia pareggiasse la lingua del Lazio, e fosse accomodato a tutte le parti d' Italia, come organo generale della manifestazion de' pensieri degl' Italiani. Ed ei fu il primo che un' idea siffatta concepisse; idea che nella sua attuazione tornavagli opportuna per volere egli dettare in questo perfezionato volgare il suo grandioso e direi enciclopedico Poema. L'argomento dunque d' un'opera intorno il volgare linguaggio se era interessante al tempo dell' Alighieri, non è meno al presente, dopo tante questioni mosse intorno la lingua nostra, e non ancor terminate.

Incomincia l'autore la sua trattazione dall' origine dell'umana loquela, e dice che per volgare idioma intende quello, il quale senza altra regola, imitando la balia, s'apprende. Havvi ancora (ei prosegue) un altro parlare, il quale i Romani chiamano grammatica; e questo hanno pure i Greci ed altri, ma non tutti, perciò che pochi all' abito di esso pervengono; conciossiachè non si possono, se non per ispazio di tempo ed assiduità di studio, prendere le regole e la dottrina di lui. Quindi dopo avere accennato, che solo l'uomo ha il commercio del parlare, e che questo commercio all' uomo solo fu necessario; dopo aver cercato a qual uomo fu primamente dato il parlare, qual fu la sua prima parola e di qual lingua; e dopo altre ricerche, ch' appariscono essere del gusto scolastico di quel tempo, e che oggi possono a noi ben poco interessare, viene alla divisione del parlare in più lingue. E qui, incominciando dalla confusione per la torre di Babel avvenuta, e brevemente tenendo dietro alla diffusione de' varii idiomi pel mondo, si ferma a quelli d' Europa, e più particolarmente a quelli dell' Europa meridionale, che in tre sommariamente distingue per le tre loro affermazioni. Questi tre idiomi, che son quelli dell' oc, dell' oil e del sì, derivano secondo Dante (ed egli mal non s' appose) da una radice co

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