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il precedente, tre proposizioni in cui sono enunciati i principali errori relativi alla creazione, i quali vengono colpiti di anatema. Il primo errore è quello che suppone il mondo eterno, esistente da se stesso, e non fatto: Si quis non confiteatur, mundum, resque omnes quae in eo continentur, et spirituales et materiales, secundum totam suam substantiam a Deo ex nihilo esse productas; ed è l'errore dell'antica scuola detta degli Accademici, e di molti moderni. Esso fu anche in parte adottato dagli Epicurei, i quali vedevano nel mondo il risultato dell'incontro fortuito degli atomi; e dai materialisti dei nostri giorni, i quali attribuiscono tutte le cose alle forze immanenti ed eterne della natura. Finalmente questa prima proposizione condanna in modo speciale coloro i quali negano che le cose sieno state originate per via di creazione, ossia prodotte dal niente; e dichiara che qualunque altro modo di produzione, a cui ricorrono gl'increduli per ispiegare l'origine e l'esistenza dell'universo, come l'emanazione, l'evoluzione, lo sviluppo di forze latenti, la trasformazione etc., sono sempre in contradizione colla fede cattolica; e perciò non debbono affatto abbracciarsi, come si rigettano eziandio da chi fa buon uso anche della sola ragione naturale. È poi da osservare che le parole secundum totam suam substantiam, sono qui messe per due ragioni; da una parte per condannare coloro che ammettendo il vocabolo di creazione, escludono la cosa che esso esprime; giacchè vi sono stati taluni filosofi i quali hanno dato il nome di creazione alla evoluzione delle forze naturali, ed il nome di creature alle forme novelle che essi dicono nascere

da questa evoluzione (1); e così hanno propagato il loro errore sotto il manto della novità: dall' altra parte per indicare che le sostanze sole sono create, cioè prodotte dal niente; mentre le forme o accidenti sono tirati dalla sostanza. Per questa ragione l'uomo che è incapace di creare qualunque minima cosa, ogni giorno produce in se stesso e negli altri esseri una moltitudine di nuove forme.

La seconda proposizione di questo canone condanna l'errore di coloro, i quali dicono che Dio era assolutamente necessitato all' atto creatore, aut Deum dixerit non voluntate ab omni necessitate libera, sed tam necessario creasse, quam necessario amat seipsum. I filosofi moderni, i quali sostengono quest' errore, sono a ciò indotti dalla falsa idea che essi si fanno di Dio, e dalla difficoltà reale che s'incontra nel conciliare un atto libero colla natura di un essere semplice, necessario ed immutabile. Essa conduce alle più disastrose conseguenze, poichè se Dio è ora necessitato a creare, questa necessità è eterna come lui, e quindi anche il mondo è eterno; egli non ha potuto creare diversamente da quello che ha fatto; dunque noi non siamo di nulla debitori a Dio, poichè siamo necessari come lui etc. etc., conseguenze orribili, da cui rifugge la stessa ragione.

La terza proposizione, aut mundum ad Dei gloriam conditum esse negaverit, contiene implicitamente la condanna dell'errore degli Hermesiani, i quali ammettono la gloria di Dio come fine ultimo, ma negano

1. Il Cousin nelle sue Leztoni di filosofia insegna che « créer c'est tirer de soi même », e conchiude che questo ha fatto Iddio nel creare!

esser fine primario, che dicono esser l'uomo. (1) Iddio ha manifestato la sua gloria nel creare il mondo, nel senso che riproducendo le immagini finite delle sue perfezioni ha glorificato se stesso, ed ha procurato il bene delle sue creature, la cui perfezione consiste appunto nel rassomigliarlo ciascuna a suo modo, e secondo il fine speciale assegnatole nella creazione.

Qui termina l'esposizione della dottrina cattolica riguardo a Dio creatore, e la condanna degli errori che le sono contrarii. Alcuno potrebbe accusare il Concilio di avere in questo Capitolo e nei relativi Canoni invaso il campo della filosofia, ed attentato ai diritti della scienza, per aver condannato errori puramente filosofici, e che non hanno diretta relazione colla Teologia rivelata.— Ma una tale accusa sarebbe senza fondamento; imperciocchè le verità relative all'esistenza ed attributi di Dio, alla natura dell' anima, all' origine delle cose comunque formino l'oggetto della filosofia, appartengono essenzialmente alla religione. Imperciocchè ognuno deve sapere che la filosofia e la Teologia non differiscono nel soggetto di cui trattano, ma nella maniera con cui ne trattano. L'una e l'altra trattano di quelle ragioni delle cose e di quegli enti che sono superiori al senso. L'una e l'altra si dedicano alla investigazione dell' Essere assoluto, della Prima Causa, di Dio, del modo onde le cose sono state originate da Lui, e del destino che le aspetta. La filosofia procede nelle sue ricerche collo sviluppo e coll' esercizio della pura ragione; la Teologia con i dati della rive

1. Questo errore di Hermes è derivato da Kant, come può vedersi presso Klée, Storia dei dogmi etc.

lazione. Dal che conseguita, 1° che le medesime verità sono insieme oggetto di scienza e di fede; il che non ripugna affatto, perocchè noi possiamo benissimo prestare assenso ad una verità pel doppio motivo della sua conosciuta ragionevolezza, e dell'autorità di persone competenti che l'abbiano affermata. Conseguita 2o che alcune verità, quantunque non entrino fra quelle che si contengono nel deposito della rivelazione, pure sono abbracciate dalla Teologia, o come presupposti, o come conseguenze necessarie dei dommi, per modo che negate esse, dovrebbero anche i dommi negarsi. Per la qual cosa la Teologia porta con se annessa la filosofia, così prima che dopo di se: la filosofia che precede la Teologia espositrice dei dommi viene appellata: Scienza preambola alla fede; la filosofia poi che siegue l'esposizione dei dommi affermandone le deduzioni teoriche e pratiche, ed armonizzandole coi dettati della scienza umana viene appellata: Analogia della ragione e della fede. Il domma della SS. Trinità non si può neppure nominare senza il domma dell' esistenza di Dio; quello della vita futura non si può intendere se non si ammetta l'anima spirituale, cioè indipendente dalla materia, e dotata di libertà; l'adorazione, che dobbiamo prestare a Dio, non si potrebbe stabilire senza credere che noi siamo stati creati da Dio, e che siamo da lui dipendenti non solo perchè ci ha creati, ma anche perchè ci conserva. La Chiesa dunque non è uscita dal dominio della verità religiosa, non ha invaso il campo della filosofia, e non ha attentato ai diritti della scienza. D'altronde la Chiesa coll'insegnare il vero e

condannare il falso non può mai cagionare alcun pregiudizio alla scienza umana, la quale deve anch' essa propugnare la verità, e non ha alcun diritto a sostenere l'errore,

CAPITOLO II.

DE REVELATIONE.

Segue il Capitolo II intitolato De revelatione, che consta di quattro paragrafi, ai quali si riferiscono anche quattro canoni sotto lo stesso titolo. Nel primo paragrafo, il S. Concilio dopo di avere affermato quali conoscenze può la ragione naturale acquistare da se stessa, insegna che piacque a Dio di fare al genere umano la rivelazione soprannaturale. Nel secondo, sotto doppio rapporto, espone la grande utilità, e la necessità di questo gratuito beneficio. Nel terzo dichiara che questa rivelazione si contiene nella Tradizione e nella S. Scrittura divinamente inspirata. Nel quarto paragrafo finalmente stabilisce le regole che si devono seguire nella interpretazione delle S. Scritture.

Diciamo qualche cosa su ciascuno di questi punti. Il Concilio nel primo paragrafo prima di ogni altra cosa riconosce ed ammette il fatto, che cioè la ragione dei figliuoli di Adamo ha in se la potenza di dedurre dalla conoscenza delle cose create l'esistenza di Dio, il quale è il principio ed il fine di tutte le cose. S. Mater Ecclesia tenet ac docet, Deum rerum omnium principium et finem, naturali humanae rationis lumine e rebus

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