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sta, come sanno anche i novizii in Teologia, consiste nell'intervento dello Spirito Santo, il quale muove la volontà dell'autore agiografo a scrivere, e ne illumina l'intelletto, suggerendogli, se non la espressione, almeno tutte le idee del suo libro, in guisa che possa dirsi che Iddio ne è veramente l'autore: Spiritu Sancto inspirante conscripti, Deum habent auctorem. Da ciò risulta che per potere un libro dirsi Sacra Scrittura, non basta un pio movimento, mediante il quale Dio eccita taluni autori a scrivere; nè l'assistenza divina che rende un autore infallibile, assistenza di cui gode il Concilio Ecumenico ed il Romano Pontefice nel redigere le definizioni che riguardano la fede ed i costumi; nè la rivelazione propriamente detta, ossia la manifestazione di una verità che prima era ignota. Questa potrebbe esser fatta ad un uomo, senza che perciò questi s'intendesse ispirato a scriverla. Laonde, scrivendola, potrebbe sì dirsi Iddio autore di ciò che si contiene nel libro, ma non già del libro istesso. Ed al contrario può darsi l'ispirazione a scrivere, senza alcuna rivelazione, come quando gli autori sacri raccontano quello che hanno veduto co' loro occhi e toccato colle loro mani: quod vidimus oculis nostris, et manus nostrae contrectaverunt (1).

La seconda spiegazione è contenuta nel quarto paragrafo, in cui il Concilio Vaticano interpretando il Decreto del Concilio Tridentino sulle sacre Scritture, dichiara che nelle materie di fede e di costumi che interessano la dottrina cristiana, non solo non è per

1. I. Io. c. I. 1.

messo di interpretare la Scrittura contro il senso che le attribuisce la Chiesa, ma ancora che questo senso dev'essere tenuto per vero: in rebus fidei et morum, ad aedificationem doctrinae christianae pertinentium, is pro vero sensu sacrae Scripturae habendus sit, quem tenuit ac tenet S. Mater Ecclesia, cujus est judicare de vero sensu et interpretatione S. Scriptu rarum. La proibizione dunque fatta dal Concilio di Trento non ha per unica ragione il rispetto dovuto alla s. Chiesa, ma ancora il rispetto dovuto alla verità, la quale si trova sempre nella interpretazione che ne fa la Chiesa, la quale essendo la depositaria della divina rivelazione ha essa sola ricevuto da Gesù Cristo l'autorità di giudicare del vero senso e della interpretazione delle S. Scritture. E qui fa d'uopo notare che il Concilio Vaticano menzionando il senso della Chiesa ed il consenso dei Padri in una maniera disgiuntiva colla particella aut, non ha inteso affatto con ciò lasciar libero ciascuno di seguire o l'interpretazione della Chiesa, o quella dei Padri disgiuntivamente ed esclusivamente, senza tener conto della prima. I Puseisti, o sia i seguaci del celebre Dott. Pusey in Inghilterra appunto così intendono il Decreto Tridentino redatto negli stessi termini del Decreto Vaticano; ma molto male si appongono. Conciosiachè i Padri Tridentini non ebbero giammai la mente di porre in opposizione la Chiesa ed i Padri: ma solo di indicare nei Padri un fonte secondario di supplemento a quello della Chiesa, qualora quest'ultimo su qualche punto delle S. Scritture non si fosse ancora manifestato. I Padri

e la Chiesa non si possono affatto dividere: perocchè i Padri non hanno autorità se non in quanto rappresentano la Chiesa; ed essi infatti sono la Chiesa stessa guardata nei suoi primi maestri, che, fondato e propagato il cristianesimo nelle diverse nazioni della terra, ne svolsero da principio la dottrina, e furono quindi i primi testimoni della tradizione ricevuta dagli Apostoli. Mentre di rincontro la Chiesa paragonata ai Padri è lo stesso magistero cristiano visibilmente organato e autorevolmente parlante nei suoi Pastori. Nè si dica essere inutile nel fatto la nostra osservazione sul senso della particella disgiuntiva aut adoperata dai Padri Vaticani; stantecchè nel fatto non può mai darsi vera opposizione tra il senso dalla Chiesa attribuito alle Scritture ed il consenso dei Padri sullo stesso proposito: giacchè ammettiamo bene che i Padri non possono ripugnare al senso della Chiesa; ma sappiamo eziandio esser facile il caso, che un interprete ribelle al sentimento della Chiesa può toglier pretesto da qualche sentenza un po' ambigua dei Padri, e frantesala, farne base e puntello delle sue torte opinioni.

Bisogna da ultimo sapere e notare che la infallibilità della Chiesa nel giudicare del vero senso e della interpretazione delle S. Scritture è limitata alle sole cose che hanno rapporto alla fede ed ai costumi, che si riferiscono, come si esprime il Concilio, alla dottrina cristiana, ad aedificationem doctrinae christianae pertinentium; ma che nelle questioni che riguardano la geologia, la lingui, stica, la geografia o la storia non è vietato di allontanarsi ragionevolmente dall' opinione anche unanime

dei Padri e dei Dottori. In queste materie la S. Scrittura è assolutamente immune da errore; ma può avvenire che coloro i quali la interpretano, prendano abbaglio, talchè di essi possa dirsi: aut interpres erravit, aut tu non intelligis, come diceva s. Agostino.

A questo Capitolo, come abbiam detto, si riferiscono i quattro canoni che sono al N.° II De revelatione. I primi due sono relativi al primo paragrafo; e di essi il primo colpisce di anatema chiunque sostenesse che l'umana ragione non possa con le sue forze naturali arrivare per mezzo delle creature alla conoscenza certa di un solo vero Dio creatore. Si q. d. Deum unum et verum, Creatorem et Dominum nostrum, per ea, quae facta sunt, naturali rationis humanae lumine certo cognosci non posse, a. s. Con questo Canone vengono condannati due specie di uomini in tutto opposti fra loro; così i Tradizionalisti assoluti o Fideisti, de' quali abbiamo discorso anteriormente, come gli Atei che negano alla ragione umana la forza di sollevarsi dalle cose sensibili, e di raggiungere con certezza gli oggetti superiori all'osservazione ed all'esperienza, qual'è Dio. Nel numero dei secondi vanno compresi gli Scettici ed i Positivisti, i quali dicono oggetto di scienza e di certezza ciò soltanto che è positivo, e per positivo intendono il solo sensibile. Quindi apertamente affermano che Dio non è oggetto di scienza. Ora sbandito Iddio dalla scienza come inasseguibile dalla ragione, non è più possibile alcun ragionamento di dommi e di rivelazione; e la religione, se pure si fa rimanere, diventa tutto un affare di fantasia e di sentimento individuale, senza

nessuna base certa, senza nessuna idea determinata e costante. I Positivisti per non ammettere la rivelazione, negano la possibilità di conoscere Dio ed i suoi attributi, su cui quella riposa. Al contrario i Tradizionalisti assoluti, onde esaltare la rivelazione ed i sussidii soprannaturali che ci vengono da Dio, negano la competenza delle forze naturali, e senza volerlo, diventano i più potenti ausiliarii dell' ateismo: tanto è vero che gli estremi si toccano! Infatti, se la ragione non potesse senza il soccorso della rivelazione provare nemmeno l'esistenza di Dio, non si comprende come sarebbe possibile il convincere un incredulo, un ateo, un pagano, i quali non conoscono l'autorità della rivelazione.

Il secondo Canone: Si quis dixerit, fieri non posse, aut non expedire, ut per revelationem divinam homo de Deo, cultuque ei exhibendo edoceatur, an. s., condanna l'errore opposto che nega la possibilità e la convenienza della rivelazione sia naturale sia soprannaturale; errore sostenuto dai deisti e dagli altri razionalisti dei giorni nostri, dei quali si trova la confutazione in tutti i trattati de vera religione, e su cui tra i Cattolici non cade alcuna controversia,

Il terzo Canone: Si quis dixerit, hominem ad cognitionem et perfectionem, quae naturalem superet, divinitus evehi non posse, sed ex seipso ad omnis tandem veri et boni possessionem jugi profectu pertingere posse et debere, anat. sit., corrisponde al paragrafo secondo, e condanna gli errori dei razionalisti, dei quali alcuni sotto il nome di naturalisti sostengono che l'uomo non può per alcun mezzo arrivare ad una conoscenza e

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