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Fatta di terra un'altra donna diedero Gli eterni a l'uomo in costui pena e carico. Null'altro intende, fuorchè mangia e corcarsi; E'l verno, o quando piove e'l tempo è rigido, Accosto al focolar tira la seggiola.

Dal mare un'altra donna ricavarono,
Talor gioconda, graziosa e facile,

Tal che gli strani, a praticarla, esaltanla
Per la donna miglior che mai vedessero;
Talor, come la cagna intorno a i cuccioli,
Infuria e schizza, agli ospiti, a i domestici,
A gli amici, a i nemici aspra, salvatica,
E, non ch'altro, a mirarla spaventevole:
Qual per appunto il mar, che piano e limpido
Spesso giace la state, e in cor ne godono
I naviganti; spesso ferve ed ulula
Fremendo. È l'oceán cosa mutabile
E di costei la naturale imagine.

Una donna dal ciuco e da la cenere
Suscitaro i celesti, e la costringono
Forza, sproni e minacce a far suo debito.
Ben s'affatica e suda, ma per gli angoli
E sopra il focolar la mane e'l vespero
Va rosecchiando, e la segreta venere
Con qualsivoglia accomunar non dubita.
Un gener disameno e rincrescevole,
Di bellezza, d'amor, di grazia povero,
Da la faína uscì. Giace nel talamo
Svogliatamente e del marito ha stomaco:
Ma rubare i vicini e de le vittime
Spesso gode ingoiar pria che s'immolino.
D'una cavalla zazzeruta e morbida
Nacque tenera donna che de l'opere
Servili è schiva e l'affannare abomina.
Morir terrebbe innanzi ch'a la macina

Por mano, abburattar, trovare i bruscoli,
Sbrattar la casa: non s'ardisce assistere
Al forno, per timor de la fuligine;
Pur, com'è forza, del marito impacciasi.
Quattro e sei fiate il giorno si chiarifica
Da le brutture, si profuma e pettina
Sempre vezzosamente e lungo e nitido
S'infiora il crine. Altrui vago spettacolo
Sarà certo costei, ma gran discapito

A chi la tien, se re non fosse o principe,
Di que' ch'hanno il talento a queste ciuffole.
Quella che da la scimmia i numi espressero
È la peste maggior de l'uman vivere.

Bruttissima, scriata, senza natiche

Nè collo, ma confitto il capo e gli omeri;
Andando per la Terra, è gioco e favola
De' cittadini. Oh quattro volte misero
Quel che si reca in braccio questo fulmine!
Quanti mai fûr costumi e quante trappole,
Come la monna suol, di tutto è pratica;
E non le cal che rida chi vuol ridere.
Giovar non sa, ma questo solo ingegnasi,
E tutte l'ore intentamente medita
Qualche infinito danno ordire e tessere.

Ma la donna ch'a l'ape è somiglievole
Beato è chi l'ottien, che d'ogni biasimo
Sola è disciolta, e seco ride e prospera
La mortal vita. In carità reciproca,
Poi che bella e gentil prole crearono,
Ambo i consorti dolcemente invecchiano.
Splende fra tutte; e la circonda e séguita
Non so qual garbo, nè con l'altre è solita
Goder di novellari osceni e fetidi.

Questa, che de le donne è prima ed ottima, I numi alcuna volta ci largiscono.

Ma tra noi l'altre tutte anche s'albergano
Per divin fato; chè la donna è'l massimo
Di tutt'i mali che da Giove uscirono;
E quei n'ha peggio ch'altramente giudica.
Perchè s'hai donna in casa, non ti credere
Nè sereno giammai nè lieto ed ilare

Tutto un giorno condur. Buon patto io reputo
Se puoi la fame da' tuoi lari escludere,
Ospite rea che gl'immortali abborrono.
Se mai t'è data occasïon di giubilo,

O che dal ciel ti venga o pur dagli uomini,
Tanto adopra colei che da contendere
Trova materia. Nè gli strani accogliere
Puoi volentier se alberghi questa vipera.
Più ch'ha titol di casta e più t'insucida:
Chè ben la guardi: ma si beffa e gongola
Del tuo caso il vicin; chè spesso incontraci
L'altrui dannar, la propria donna estollere,
Nè ci avveggiam che tutti una medesima
Sorte n'aggreva, e che la donna è'l massimo
Di tutti i mali che da Giove uscirono;
Da Giove, il qual come infrangibil vincolo
Nel cinse al piè, tal che per donne a l'Erebo
Molti ferendo e battagliando scesero.

IDILLII DI MOSCO

IDILLIO PRIMO.

AMORE FUGGITIVO.

Venere un dì, cercando Amor perduto, Alto gridar s'udía: Per sorte alcuno Veduto avrebbe Amor de' trivii errante? Il fuggitivo è mio; chi me l'addita Sicuro premio avrà, di Cipri un bacio: Che se trovato alcun mel tragga innanzi, Non un mio bacio sol, più speri ancora. A molti segni il mio figliuol tra venti Distinguer puoi: bianco non è, ma il fuoco Somiglia nel color, furbe ed accese Ha le pupille; è di maligna mente, Dolce nel favellar; lingua bugiarda, Mellita voce egli ha; ma se si adira È di selvaggio cor; garzon fallace, Nemico a verità, brutal ne' giuochi; Crespe ha le chiome e di tiranno il volto; Brevi ha le mani, e pur da lungi scaglia Fino a Stige lo stral, fino a Plutone. Nudo è di corpo, ma di mente ascosa; D'ali vestito, come augel saltella,

Or di quello, or di questa in cuor si asside. Picciolo ha l'arco, ma sull'arco il dardo; Picciolo il dardo, ma che giunge al cielo. Grave di acerbi strali al fianco appesa

Ha una faretra d'oro, e me pur anco
Spesso ferì con quelle frecce: in lui
Tutto tutto è crudel, ma più di tutto
Quella che reca in man piccola face
Onde talor l'istesso sole infiamma.

Or se per caso il prendi, avvinto il traggi ; Non averne pietà, se pianger mostra; Guarda che non t'inganni, e stretto il reca. Se ride ancor, se vuol baciarti, il vieta; Maligno è il bacio,

Che se pur dice:
Tutte donar ti vo'

e venenoso il labbro. Orsù, prendi, quest'armi tu le ricusa;

Fallace è il dono, e fuoco son quell'armi.

IDILLIO SECONDO

EUROPA.

Già Venere ad Europa, della notte
Nella terza vigilia, allor che omai
Era presso il mattino, un dolce sogno
Mandò; quando il sopor su le palpebre
Più söave del mel siede, e le membra
Lieve rilassa, ritenendo intanto
In molle laccio avviluppati i lumi;
Quando lo stuol dei veri sogni intorno
Ai tetti errando va. Nelle sue stanze
Vergine ancor dormia la bella Europa,
Di Fenice la figlia. In sogno vide
Per sè far lite due regioni opposte.
Ambe di donne avean l'aspetto; e l'una

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