Del furor vostro e dell'immenso affetto? Chi degli occhi il baleno? Qual può voce mortal celeste cosa Agguagliar figurando? Lunge sia, lunge alma profana. Oh quante Lacrime al nobil sasso Italia serba! Come cadrà? come dal tempo rôsa Voi, di che il nostro mal si disacerba, Gl'itali pregi a celebrare intente. Ad onorar nostra dolente madre E mesco all'opra vostra il canto mio, Se di cosa terrena, Se di costei che tanto alto locasti Pianga tua stirpe a tutto il mondo oscura. Ponga ne' figli sonnacchiosi ed egri Tanto valor che un tratto alzino il viso. Vedi afflitta costei che si meschina Te salutava allora Che di novo salisti al paradiso! Oggi ridotta sì che, a quel che vedi, Qual tu forse mirando a te non credi. Vide la patria tua l'ultima sera. A viver non dannò fra tanto orrore; L'itala moglie a barbaro soldato; Tratte l'opre divine a miseranda Non gli aspri cenni ed i superbi regni ; Tra il suon delle catene e de' flagelli. Chi non si duol? che non soffrimmo? intatto Che lasciaron quei felli? Qual tempio, quale altare o qual misfatto? Acerbo fato? onde, a stranieri ed empi Nostra patria vedendo ancella e schiava, E da mordace lima Roder la sua virtù, di null'aita Lo spietato dolor che la stracciava Io non son per la tua cruda fortuna. Italia no, per li tiranni suoi. Padre, se non ti sdegni, Mutato sei da quel che fosti in terra. Squallide piagge, ahi! d'altra morte degni, Semivestiti, maceri e cruenti, Ed era letto agli egri corpi il gelo. Moriam per quella gente che t'uccide. E conscie fur le sibilanti selve. E i negletti cadaveri all'aperto E sarà il nome degli egregi e forti Con quel de' tardi e vili. Anime care, Avrete in questa o nell'età futura. Il vostro solo è tal che s'assomigli. La patria vostra, ma di chi vi spinse Sì ch'ella sempre amaramente piagna A tal de' suoi ch'affaticata e lenta Che ti rassembri in qual si voglia parte? Io mentre viva andrò sclamando intorno: Volgiti agli avi tuoi, guasto legnaggio; Mira queste ruine E le carte e le tele e i marmi e i templi ; Pensa qual terra premi, e se destarti Non può la luce di cotanti esempli, Non si conviene a sì corrotta usanza Meglio l'è rimaner vedova e sola. III. Ad Angelo Mai QUAND'EBBE TROVATO I LIBRI DI CICERONE Italo ardito, a che giammai non pôsi I nostri padri? ed a parlar li meni Muta si lunga etade? e perchè tanti Serbaro occulti i generosi e santi Certo senza de' numi alto consiglio E grave è il nostro disperato oblío, |