A quella vigna un valido riparo, Ficcò la zappa in rilevato luogo; E le sue vesti, che li presso aveva, Era per indossar, quando ad un tratto, Uscito fuor dalla profonda fossa, Vennegli intorno un instancabil fuoco E lampeggiando se gli avvolse al campo. E sempre addietro si traeva e infine Con i veloci piè si avvolse in fuga, Chè di Vulcan temea l'orrendo sdegno. Ognor dinanzi a sè di scudo in guisa Movea la zappa e si guardava intorno Perchè nol sorprendesse il fiero incendio. Parvemi allor che coraggioso Ificle Corresse a dargli aiuto: ahimè! chè giunto Ancor non era, e sdrucciolando al suolo Di botto stramazzò nè più rizzossi,
Ma immobil si giacea, qual debol vecchio Cui suo malgrado a stramazzar costringe La grave inferma etade. Ei fitto al suolo Giace, finchè qualcun di là passando A rilevarlo non gli porga il braccio, Mosso a timor dalla canuta barba, Che vendetta su lui dal ciel trarrebbe. Tal si volgeva in terra Ificle, il forte Scotitor dello scudo, ed io frattanto Piangea, chè i figli miei vedea smarriti, Finchè, partito il sonno, i lumi aprii Allor che l'alba luccicava in cielo. Tutta la notte questi sogni, o cara, La mente mi turbâr. Deh vadan essi Da noi lontano ad Euristeo sul capo; E sia profeta il mio desir, nè vano Per avverso destin lo renda il cielo.
Quando il ceruleo mar soavemente Increspa il vento, al pigro core io cedo: La musa non mi alletta, e al mar tranquillo, Più che alla musa, amo sedere accanto. Ma quando spuma il mar canuto, e l'onda Gorgoglia e s'alza strepitosa e cade,
Il suo riguardo e gli arbori, e dal mare Lungi men fuggo: allor sicura e salda Parmi la terra, allor in selva oscura Seder m'è grato, mentre canta un pino Al soffiar di gran vento. Or quanto è trista Del pescator la vita, a cui la barca
casa, e campo il mare infido, e il pesce È preda incerta! Oh quanto dolcemente
D'un platano chiomato io dormo all'ombra! Quanto m'è grato il mormorar del rivo Che mai nel campo il villanel disturba!
Pane amava Eco vicina,
Eco Fauno saltellante,
Fauno Lida, e il proprio amante Era in odio a ognun di lor.
Quanto Pan per Eco ardea, Tanto l'altra ognuno amava, Tanto ognun l'amante odiava, Pari all'odio era l'amor. Apprendete, alme ritrose!
Se chi v'ama non amate, Fia che, quando amor cerchiate, V'odii e fuggavi ogni cor.
Poichè già, dietro vistosi Di Pisa il suolo ameno, L'Alfeo scorrendo turgido Entrò del mar in seno, E fiori e sacra polvere In don recando e fronde, Trova Aretusa e mescola Con Aretusa l'onde. Poi, d'alte grotte concave Cheto bagnando il piede, Passa; nè il grande Oceano Del suo passar si avvede. Così, perito artefice
Fa degli amanti il nume Che, per amor, impavido Nuoti nel mar un fiume.
O caro amabil Espero, O luce aurea di Venere, Sacra di notte imagine, Seconda il mio desir. Tu della luna argentea
Sol cedi al chiaro splendere: Ascolta, astro carissimo, Ascolta i miei sospir. Oscurità sovrastane,
Chè già la luna pallida, La luna ch'oggi nacquesi, Vicina è a tramontar. Sul mio cammin propizia Spargi tua luce tacita: Col mio pastore amabile Io vado a conversar. Al passegger pacifico
Che viaggia in notte placida Non tendo occulte insidie,
Non a rubare io vo.
Amo, ed amor trasportami; Vo pel mio ben sollecito, Lo cerco, io vo' ch'egli amimi, E pago allor sarò.
Amore un dì, la fiaccola Deposta e i dardi suoi, Un zaino tolse e un pungolo, Al giogo avvinse i buoi. Menò pel campo il vomere, E il gran copioso e folto Sparse sul solco fertile, Poi disse al ciel rivolto: O Giove, or tu propizio Seconda il mio lavoro, O per arar qui tornoti, Qual per Europa in toro.
« ÖncekiDevam » |