Sayfadaki görseller
PDF
ePub

Grecia Eschilo e Sofocle, tra noi all' Ariosto ed al Tasso l'Alfieri. Certamente nel progresso della civiltà, nate in principio le forme principali della poesia, queste continuano compagne, o in un popolo sorge avanti l'una piuttostochè l'altra; ma che dapprima la legge di svolgimento fosse questa e non altra, lo dice la ragione, lo conferma la storia.

16. A quanto succede realmente dentro di noi, corrispondono per idea e per immaginativa le principali specie della poesia e la loro successione. In prima, di fatto, se pratichiamo uomini nuovi o leggiamo storie, si muovono gli affetti nel nostro animo, e allora il giudizio sugl' altrui atti e sentimenti va misto e confuso co' sentimenti nostri; la cui consapevolezza trae a sè l'anima per modo, che n'è piena ogni nostra parola. Così è la poesia espositiva, massimamente la Lirica. Indi passata la forza de' primi affetti, dall'opere altrui che vediamo e leggiamo, ci fermiamo di più ad arguire ciò che gli altri uomini possono in sè stessi pensare o sentire; ma come un discorso che noi facciamo intorno ai pensieri loro e sentimenti. Così è la poesia narrativa, e massimamente l'Epica e il Romanzo. Infine, raccogliendoci anche di più, separiamo da' fatti percepiti o letti ciò che indacemmo dell' altrui animo, e ce lo mettiamo dinanzi alla immaginazione quasi coscienza di uomini entro la nostra coscienza, ond' essi paiono tenere con noi e fra loro i discorsi, che noi medesimi porgiamo alle immagini loro interne. Così fa la poesia dialogica. Sicchè, prima si fa udire a noi la coscienza

nostra in modo prevalente, indi ella ci serve d'interprete nell'esperienza de' fatti umani, e infine dell' altrui coscienza trae in sè stessa la visione personificata. Principia dunque la consapevolezza privata, poi segue la consapevolezza più e più del consorzio, finchè l'astragghiamo e la personifichiamo nel teatro della mente. Nè altro è la poesia, se non immagine di questa consapevolezza propria e socevole. Però, da giovani, allorchè sulla riva de' fiumi nativi o nel dolce silenzio della notte leggiamo libri poetici, essi han tanto efficace potenza nel cuore profondo, dacchè in loro ritroviamo un'immagine della coscienza che fa dire io, e della coscienza che fa dire noi, sollevata in ordine chiaro, formoso, sensibile d' intelletto e di fantasia.

CAPITOLO XLIV.

Dell' idioma.

SOMMARIO.

1. Argomento. 2. Lingua, in significato generale, è unità parlata della morale unità d' un popolo; -3. e che mai non manca di segni per cose antiche, 4. nè ha sinonimi perfetti. 5. Le Parlate. 6. I Dialetti. - 7. Le Lingue. - 8. Scelta fra le Parlate.-9. Scelta fra' Dialetti.-10. Distinzione d'una lingua da ogni altra lingua 11. Uso di lingua parlata, e uso di lingua scritta ; — 12. — identici nell'essenza, e in che diversi. 43. Come uso di buoni scrittori giova, — 14. e come giova uso di ben parlanti. - 15. Realismo e Idealismo nell' usare l'idioma. - 16. Conclusione.

1. Resta vediamo il buon' uso de' segni che appartengono alla poesia, cioè la lingua; indagine che risguarda bensì tutta l'arte del dire, non la poesia soltanto; ma poichè il buon' uso de' segni fa bello il dire o perfetto anche in iscienza od in eloquenza, non che in poesia, cade opportuno il trattarne ove si discorre della bellezza. Ora parlerò, dunque, dell'idioma o del linguaggio, ch'è materia esteriore dove si stampa lo stile; avvertendo, che singolarmente trarrò gli esempj od i fatti dall'idioma italico, ma che la dottrina è universale, o agl' idiomi tutti comune. Anche premetto,

che parlasi di lingua viva, non di morti linguaggj, per l'uso de' quali una regola soltanto c'è: impararli da' libri che restano e di maggiore autorità. Parlo di lingua viva, e però del come, uscendo dall'intima vita del pensiero, si formi la vita naturale d'un linguaggio, e indi s' adoperi questo vivamente con arte bella. Non lavare i panni con mani unte, dice un proverbio sapientemente; ossia, non trattare di bontà senza bontà, non educare senz' esser' educato, nè fare insomma nulla di ciò che non sii ben disposto a farlo bene; così di bel dire non tratti chi non sia puro e bel parlatore. Or valgami solo una qualche diligenza e uso materno.

2. Poichè pertanto la lingua, genericamente presa, è ordine di segni vocali del pensiero e, mediante il pensiero, delle cose, procede perciò dall'intima vita del pensiero stesso; e non già dal pensiero solitario, ma dal comune sentimento d'un popolo, giacchè le parole sono ad un popolo segni comuni. Necessariamente adunque ogni popolo ha una lingua in questa generale accezione, ossia ordine di voci corrispondente a ordine di pensieri; poichè tutto ciò che un popolo sente, concepisce, immagina, vuole, o che da' bisogni suoi e dalla socevolezza vien tratto a significare, gli fa trovar vocaboli e modi quant'abbisogna per significarlo. Naturalmente non indaghiamo qui la prima origine degli umani linguaggi; e supponiamo anzi per la formazione d'una lingua particolare la totalità delle sue cagioni, vo'dire la tendenza interiore dell'animo e della socevolezza da un lato, dall'altro la trasmissione antichissima d'un linguaggio che si trasmuta, e da un altro lato ancora le

[merged small][ocr errors][merged small]

attinenze tra schiatte e nazioni e popoli varj, e la efficacia de'climi e la conformazione degli organi; ma notiamo qui che in un popolo particolare quella particolare natura d'idioma viene informata dal pensiero e dalla necessità di comunicarlo gli uni agli altri. Talchè, come secondo le più strette attinenze civili si forma l'unità collettiva d'un popolo, unità cioè di bisogni materiali intellettuali e morali; così a quest' unità intima corrisponde l'unità esterna del suo linguaggio, quasi sensibile individuazione di morale unità. E com'a vedere in terra e sugli alberi e ne' canestri abbondanza di fragole o di ciriege, l'occhio per la loro fresca giocondità si rallegra; così la vita spontanea de' linguaggj è rallegratrice dell' intelletto, manifestando immediata il sentimento di chi parla senz'artificio.

3. Da questa individuazione della lingua, ch'è unità parlata della morale unità d'un popolo, tiriamo due conseguenze capitali. La prima è che nuove parole of frasi non occorrono mai a cose vecchie o notorie. Perchè questo? Perchè il popolo di cose vecchie, o note a lui, ebbe necessità di parlarne. E che? più o men ricchi, s'opporrà, non sono forse i linguaggj, sicchè nel più povero scarseggia ciò che nel più ricco abbonda? Ma l'essere men copioso di voci e di frasi non dipende dall'idioma in sè medesimo, bensì dal pensiero d'un popolo, che non sentiva il bisogno d'esprimere più cose, dacchè non le conosceva o non vi pensava; onde la povertà esteriore accusa l'interiore. Perchè mai, ad esem pio, l'idioma Latino men del Greco fioriva in parole metafisiche? Per l'uso minore di filosofia, quantunque

« ÖncekiDevam »