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propria o dell' oratoria. Dice pertanto: qualunque cosa, della cui natura o arte si disputi, deve risguardarsi nella sua forma o specie suprema; e se, cercando di arrivare a' primi luoghi, ciò non possiamo per difetto di natura o d'istituzione, rimangasi ne' secondi e ne'terzi, come vi fu luogo non solamente ad Omero, ad Archiloco, a Sofocle, a Pindaro, si a'minori; nè l'ampiezza di Platone sgomentò Aristotele a filosofare, nè la mirabile scienza e copia d'Aristotele ristrinse gli altrui studj; nè la bellezza del Gialiso a Rodi e di Venere Coa, o le statue di Fidia impedirono a' minori la lode; nè Demostene tolse pregio ad altri oratori. Sicchè dice il grand' uomo: tale oratore io figurerò, quale non fu forse mai, perchè nulla in alcun genere può essere si bello, che più bello non sia ciò che abbracciamo col pensiero e con la mente. Sostanza di queste parole si è, che niuno divenir può eccellente in arte alcuna, se non levisi all'idea di perfezione in quell' arte stessa, e ne' soggetti ch'esso elegge, e ne' modi del trattarli, e fortemente non si proponga d'accostarvisi quanto più saprà; e allora soltanto, anche rimanendo ne' secondi e terzi gradi, avrà lode, perchè a'secondi ed a' terzi non giungerebbe mai, se per poca elevatezza di pensiero e d'amore non avesse guardato più alto, cioè a' supremi.

3. Ma questa idea d'un argomento qualunque non è mai un concetto semplice, bensi composto di molti concetti che, uniti da un'intima relazione, formano un'idea: talchè bisogna distinguerla bene, disporla in mente con chiarezza, svolgerla quant' occorra, es

sendo ella cosi un ordine di giudizj e di ragionamenti; onde proviene che l'opera si faccia con giudizio, cioè con savio discernimento. Non dico già che l'artista, of poeta, o disegnatore, o musico, faccia ragionamenti scientifici; no, bensì affermo ch' egli giudica qual cosa e quanto conviene al soggetto suo ed all'opera, e affermo che ogni deformità è un giudizio falso, uno sragionare, un assurdo. I Latini chiamarono propriamente absurdus ciò che stona od offende gli orecchi (alienum ab auribus), e pe' Greci fu atopos, (nulli loco conveniens), ossia il fuor di luogo; e poi la stonatura, l'assurdo de' suoni e la sconvenienza di luogo vennero trasportati a significato metafisico, a quello cioè che ripugni alla ragione, come stonamento e cosa fuor di luogo chiamiamo noi sempre l'assurdità. Vedesi dunque, che in disegno e in musica ciò che suo luogo non tenga o sua convenienza di leggi acustiche, può chiamarsi assurdo e dislocato anche mentalmente; anzi, dissonante, mal posto è fisicamente, perchè prima s'errò nel giudizio. Quanto all'arte del dire poi, ed in prosa ed in versi, ciò non chiede commenti. Una proporzione falsa nel disegno dunque, cattiva lega di suoni nella musica e, generalmente, mala corrispondenza di segni a significato, son sempre falsi giudizj, o un affermare che sia ragionevole l'assurdo, conveniente lo sconveniente, perfetto l'imperfetto. Gli episodj d'un poema diciamo falsi, se non pertinenti alla materia, come non di rado nell' Epopee orientali; falso un motivo di musica, se di pensiero ripugnante al resto, come in opera di tristi casi un'arietta saltellante; falso un peristilio alla

pagana di tempio cristiano, come il Palladio usó talora; falso e ripugnante dipingere cavallo non vivace, su cui sieda un guerriero.

4. L'ordine de' giudizj e de' ragionamenti adunque, contenuto in ogni opera d'arte, sicch'ella dicesi fatta con giudizio e giudizioso l'artista (come usano dire il Borghini nel Riposo ed il Vasari nelle Vite de'Pittori, Scultori ed Architetti), è una dialettica rappresentativa, cioè a fine di rappresentare un'idea con immagine bella; e quindi procede con armonia di simili e di contrarj, o di corrispondenza e di contrapposto, a quel modo che un discorso scientifico; bensi non a fine di ragionamento, ma per produrre ordine bello di riscontri e di contrasti nella rappresentazione poetica e musicale, nella pittorica e scultoria, o nell'architettura. Indi arguiamo che come nel ragionamento vero, così l'assurdità o l'errore non può aver luogo nell'opera bella; e che soltanto, come dal ragionamento l'errore vien' esaminato per confutarlo, così dall' opera d'arte l'errore può rappresentarsi per mostrarlo sottoposto alla verità. E non già perchè una dottrina erronea, com'errore logico, nelle rappresentazioni dell'arte debba facilmente trovar posto (dacchè l'arte bella non risguardi le speculazioni); ma succede che ve lo trovi com'errore morale, o relativo a cose morali, per esempio l'erronea opinione degli Epicurei condannati all'inferno dall' Alighieri, o la ferina empietà di Polifemo cantata mirabilmente da Omero. Inoltre, talvolta un errore, non in quanto errore, ma in quanto ne traluce una verità e prende immagini formose,

come la Mitologia de' Greci, ha solamente perciò raggio di bellezza.

5. La bellezza ideale pertanto, che illumina l'artista, è la più alta idea del proprio soggetto, distinta e unita ne' suoi rispetti varj, che ne costituiscon l'ordine; il qual' ordine intellettivo conduce la fantasia e la mano a fare d'immagini e di segni una scelta con giudizio, per osservazione de' particolari che la natura ci mostra, e per imitazione delle sue leggi, onde ci eleviamo all'invenzione. Ma la scelta de' particolari (noi lo sappiamo) non potrebbe farsi, se viceversa la idea non fosse universale; perchè questa universalità può variamente determinarsi, nè quindi costringe a copiare il vero in ogni particolare suo, ma rende possibile la verosimiglianza; e quindi le novità inventate somigliano la realtà e ad un tempo ne dissomigliano, come ne' drammi o ne' racconti le finte avventure. Poeta, musico, architetto, pittore, scultore avendo in idea, non il tale uomo, sì la natura umana, non que' tali pensieri d'un uomo, ma un pensiero universale di religione, di patria, di famiglia, d'amore, d'amicizia, può con la scelta de' particolari e con la fantasia variare indefinitamente. Quello che Aristotele disse per la poesia, può adunque dirsi d'ogni arte bella, cioè che mentre i particolari formano oggetto di storia, oggetto dell'arte bella è anzi l'universale.

6. Segue da ciò una legge d' altissima importanza, ed è questa: che nelle immagini e ne' segni ogni arte del Bello, musica, disegno, poesia, dovrà manifestare

sempre l'universalità d' un' idea. Ne' poemi epici dell'India è il divino Visnu liberatore, nell' Iliade i danni a' Greci dalla discordia e a' Troiani dall' ospitalità e dal connubio violati, e via discorrendo; in un tempio è la religione, in un melodramma è il soggetto del dramma, nel san Giorgio di Donatello è l'ardimento pio e simili. Sicchè il ritratto, quantunque insigne per la maestria dell' opera, suol reputarsi a ragione il minimo grado dell' arte; ma dobbiamo avvertire bensì, che i gran maestri, come Raffaello e Leonardo da Vinci, imprimono nel ritratto non già fuggevoli ed accidentali espressioni, ma un' aria di volto significativa delle disposizioni più abituali e segnalate, come la Gioconda e Leon X; e allora ciò si riduce ad un'idea generale, potendosi dire appunto: ecco la Gioconda, o ecco un Papa magnifico. Questa cagione fa sì che ritratti fotografici raramente riescono a significare un uomo nell' espressione sua più naturale o costante; ma dipendono da molti accidenti d'animo e però di fisonomia e di movenza.

7. Che cosa dunque contano certe particolarità nell' arte, le quali non ritraggono qualche universalità di concetto? Non fann'arte bella, non contano nulla. Ho sentito laboriosissimi sonatori di pianoforte parlarci di balli con lo strumento e d'inviti al ballo e di risposte all'invito, così come s'usa in que'cerimoniali, e imitare suono di passi, e di venti, o di carrozze: or che ce n'importa? e che cosa ne resta in mente? Nella Galleria di Napoli ammiriamo statue antiche d'un giovinetto che si riposa dal corso, e d'uno che si leva

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