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SONETTO XVI

Si breve è 'l tempo, e'l pensier sì veloce

Che mi rendon madonna così morta;
Ch' al gran dolor la medicina è corta:
Pur mentr' io veggio lei nulla mi noce.

Amor, che m'ha legato e tiemmi in croce; Trema quando la vede in su la porta Dell' alma, ove m' ancide ancor si scorta, Si dolce in vista, e si soave in voce.

Come donna in suo albergo altera vene
Scacciando dell' oscuro e grave core
Con la fronte serena i pensier tristi.

L'alma, che tanta luce non sostene,
Sospira, e dice: O benedette l'ore
Del di che questa via con gli occhi apristi!

SONETTO XVII.

Nè mai pietosa madre al caro figlio,

Nè donna accesa al suo sposo diletto
Diè con tanti sospir, con tal sospetto
In dubbio stato si fedel consiglio;

Come a me quella che'l mio grave esiglio
Mirando dal suo eterno alto ricetto,
Spesso a me torna con l'usato affetto,
E di doppia pietate ornata il ciglio,

Or di madre, or d'amante: or teme, or arde
D' onesto foco; e nel parlar mi mostra
Quel che 'n questo viaggio fugga, o segua,

Contando i casi della vita nostra ;

Pregando ch'al levar l'alma non tarde :
E sol quant' ella parla ho pace, o tregua.

SONETTO XVIII.

Se quell' aura soave de' sospiri

Ch'i' odo di colei che qui fu mia

Donna, or è in cielo, ed ancor par qui sia, E viva, e senta, e vada, ed ami, e spiri,

Ritrar potessi; o che caldi desiri

Movrei parlando! si gelosa e pia

Torna ov' io son, temendo non fra via
Mi stanchi, o'ndietro, o da man manca giri;

Ir dritto alto m'insegna: ed io che 'ntendo
Le sue caste lusinghe, e i giusti preghi
Col dolce mormorar pietoso e basso,

Secondo lei conven mi regga e pieghi
Per la dolcezza che del suo dir prendo :
Ch'avria vertù di far piangere un sasso

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a S

SONETTO XIX.

Sennuccio mio, benchè doglioso e solo

M'abbi lasciato, i' pur mi riconforto :
Perchè del corpo ov'eri preso e morto,
Alteramente se' levato a volo.

Or vedi insieme l'uno e l'altro polo,
Le stelle vaghe e lor viaggio torto:
E vedi'l veder nostro quanto è corto;
Onde col tuo gioir tempro 'l mio duolo.

Ma ben ti prego che 'n la terza spera
Guitton saluti, e messer Cino, e Dante,
Franceschin nostro, e tutta quella schiera.

Alla mia donna puoi ben dire in quante
Lagrime i' vivo; e son fatto una fera,
Membrando 'l suo bel viso e l'opre sante.

SONETTO XX.

I'ho pien di sospir quest' aer tutto,

D'aspri colli mirando il dolce piano
Ove nacque colei ch' avendo in mano
Mio cor in sul fiorire e'n sul far frutto,

È gita al cielo, ed hammi a tal condutto
Col subito partir, che di lontano

Gli occhi miei stanchi, lei cercando invano,
Presso di se non lascian loco asciutto.

Non è sterpo, nè sasso in questi monti;
Non ramo, o fronda verde in queste piagge;
Non fior in queste valli, o foglia d' erba;

Stilla d'acqua non vien di queste fonti;

Nè fiere han questi boschi si selvagge; Che non sappian quant'è mia pena acerba.

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