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SONETTO XXVI.

Soleasi nel mio cor star bella e viva,

Com'alta donna in loco umile e basso:
Or son fatt' io per l'ultimo suo passo
Non pur mortal, ma morto; ed ella è diva.

L'alma d'ogni suo ben spogliata e priva,
Amor della sua luce ignudo e casso
Devrian della pietà romper un sasso:
Ma non è chi lor duol riconti, o scriva:

Che piangon dentro ov'ogni orecchia è sorda,
Se non la mia; cui tanta doglia ingombra,
Ch'altro che sospirar nulla m' avanza.

Veramente siam noi polvere ed ombra:
Veramente la voglia è cieca e'ngorda:
Veramente fallace è la speranza.

SONETTO XXVII.

Soleano i miei pensier soavemente

Di lor obbietto ragionar insieme :
Pietà s'appressa, e del tardar si pente:
Forse or parla di noi, o spera, o teme:

Poi che l'ultimo giorno e l' ore estreme Spogliar di lei questa vita presente; Nostro stato dal ciel vede, ode, e sente; Altra di lei non è rimaso speme.

O miracol gentile! o felice alma!

O beltà senza esempio altera e rara,
Che tosto è ritornata ond' ella uscio!

Ivi ha del suo ben far corona e palma
Quella ch' al mondo si famosa e chiara
Fè la sua gran virtute e'l furor mio,

SONETTO XXVIII.

I'mi-soglio accusare; ed or mi scuso;

Anzi mi pregio e tengo assai più caro;
Dell' onesta prigion, del dolce amaro
Colpo ch'i' portai già molt anni chiuso.

Invide Parche, si repente il fuso

Troncaste ch' attorcea soave e chiaro
Stame al mio laccio, e quell' aurato e raro
Strale onde morte piacque oltra nostr' uso!

Che non fu d'allegrezza a' suoi dì mai,
Di libertà, di vita alma si vaga,
Che non cangiasse'l suo natural modo,

Togliendo anzi per lei sempre trar guai,
Che cantar per qualunque, e di tal piaga
Morir contenta, e viver in tal nodo.

SONETTO XXIX.

Due

ue gran nemiche insieme erano aggiunte, Bellezza ed onestà con pace tanta; Che maibellion l'anima santa Non senti poi ch' a star seco fur giunte:

Ed or per morte son sparse e disgiunte : L'una è nel ciel che se ne gloria e vanta: L'altra sotterra ch'i begli occhi ammanta, Ond' uscir già tante amorose punte.

L'atto soave e'l parlar saggio umíle,

Che movea d'alto loco, e'l dolce sguardo
Che piagava'l mio core, ancor l'accenna;

Sono spariti e s'al seguir son tardo

Forse avverrà che 'l bel nome gentile
Consacrerò con questa stanca penna.

SONETTO XXX.

Qu

uand' io mi volgo indietro a mirar gli anni 'Ch' hanno fuggendo i miei pensieri sparsi; E spento 'l foco ov'agghiacciando i' arsi; E finito 'l riposo pien d'affanni;

Rotta la fe degli amorosi inganni;

E sol due parti d'ogni mio ben farsi,
L'una nel cielo, e l'altra in terra starsi;
E perduto 'l guadagno de' miei danni;

I' mi riscuoto; e trovomi si nudo,

Ch'i' porto invidia ad ogni estrema sorte;
Tal cordoglio e paura ho di me stesso.

mia stella, o fortuna, o fato, o morte,
O per me sempre dolce giorno e crudo,
Come m'avete in basso stato messo!

Part. II.

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