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Ivi mi lega, e puomi far contento.

Dal laccio d'or non sia mai chi mi scioglia Negletto ad arte, e'nnanellato, ed irto; Nè dall' ardente spirto

Della sua vista dolcemente acerba:

La qual di e notte più che lauro, o mirto
Tenea in me verde l'amorosa voglia;
Quando si veste e spoglia

Di fronde il bosco, e la campagna d'erba;
Ma poi che morte è stata si superba,
Che spezzò 'l nodo ond' io temea scampare;
Ne trovar puoi, quantunque gira il mondo,
Di che ordischi'l secondo;

Che giova, Amor, tuo' ingegni ritentare?
Passata è la stagion; perduto hai l'arme
Di ch'io tremava: omai che puoi tu farme?
L'arme tue furon gli occhi onde l'accese
Saette uscivan d'invisibil foco,

E ragion temean poco;

Che contra 'l ciel non val difesa umana:
Il pensar e'l tacer; il riso e 'l gioco;
L'abito onesto e'l ragionar cortese;
Le parole ch' intese

Avrian fatto gentil d' alma villana ;
L'angelica sembianza umile e piana
Ch'or quinci, or quindi udia tanto lodarsi;
E'l sedere, e lo star, che spesso altrui
Poser in dubbio a cui

Devesse il pregio di più laude darsi.
Con quest'arme vincevi ogni cor duro:
Or se' tu disarmato; i' son securo.

Gli animi ch' al tuo regno il cielo inchina
Leghi ora in uno, ed or in altro modo:
Ma me sol ad un nodo

Legar potei; che 'l ciel di più non volse.
Quell' uno è rotto; e 'n libertà non godo;
Ma piango e grido: Ahi nobil pellegrina,
Qual sentenza divina

Me legò innanzi, e te prima disciolse?
Dio che si tosto al mondo ti ritolse,
Ne mostrò tanta e si alta virtute

Solo

per infiammar nostro desio.

Certo omai non tem'io,

Amor, della tua man nove ferute.

Indarno tendi l'arco: a voto scocchi:

Sua virtù cadde al chiuder de' begli occhi. Morte m' ha sciolto, Amor, d'ogni tua legge : Quella che fu mia donna al cielo è gita Lasciando trista e libera mia vita.

SONETTO III.

L'Ardente nodo ov'io fui d'ora in ora

Contando anni ventuno interi preso
Morte disciolse: nè giammai tal peso
Provai: nè credo ch' uom di dolor mora.

Non volendomi Amor perder ancora,
Ebbe un altro lacciuol fra l'erba teso,
E di nov' esca un altro foco acceso,
Tal ch'a gran pena indi scampato fora.

E se non fosse esperienza molta

De' primi affanni, i' sarei preso ed arso
Tanto più, quanto son men verde legno.

Morte m'ha liberato un'altra volta,

E rotto 'l nodo, e'l foco ha spento e sparso,
Contra la qual non val forza, nè 'ngegno,

SONETTO IV.

La vita fugge e non s'arresta un'ora;

E la morte vien dietro a gran giornate;
E le cose presenti e le passate

Mi danno guerra, e le future ancora:

E'l rimembrar e l'aspettar m' accora

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Or quinci, or quindi sì, che 'n veritate,
Se non ch'i' ho di me stesso pietate,
I' sarei già di questi pensier fora.

Tornami avanti s'alcun dolce mai

Ebbe'l cor tristo; e poi dall' altra parte
Veggio al mio navigar turbati i venti.

Veggio fortuna in porto, e stanco omai
Il mio nocchier, e rotte arbore e sarte,
E i lumi bei che mirar soglio, spenti.

SONETTO V.

Che fai? che pensi? che pur dietro guardi

Nel tempo che tornar non puote omai,
Anima sconsolata? che pur vai
Giugnendo legne al foco ove tu ardi ?

Le soavi parole e i dolci sguardi
Ch'ad un ad un descritti e dipint' hai,
Son levati da terra; ed è ( ben sai)
Qui ricercargli intempestivo e tardi.

Deh non rinnovellar quel che n'ancide:
Non seguir più pensier vago fallace,
Ma saldo e certo ch'a buon fin ne guide.

Cerchiamo'l ciel, se qui nulla ne piace;
Che mal per noi quella beltà si vide,
Se viva e morta ne devea tor pace.

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