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te: al cap. VI del libro I, amiamo tanto Fiorenza, che per averla amata, patiamo ingiusto esilio; ed al cap. XVII del libro medesi- . mo, quant' egli poi (il volgare illustre) faccia i suoi familiari gloriosi, noi stessi l'abbiamo conosciuto, i quali per la dolcezza di questa gloria ponemo dopo le spalle il nostro esilio. E poichè in questa operetta va notando le differenze degl'italici dialetti e le varietà dei loro suoni, rendesi molto probabile ch'ei la scrivesse non già ne' primi tempi dell'esilio, ma dopochè in forza di esso aveva egli dovuto peregrinar per l'Italia.

Il libro primo sembra essere stato scritto dal 1305 al 1306. Infatti nel capitolo XVIII dice gl' Italiani mancare di curia (secondo che unica si piglia come quella del re d'Alemagna), perchè mancan di principe. Ma così non avrebbe egli detto nel 1309, quando Arrigo VII di Lussemburgo, stato già eletto re de' Romani, era in sulle mosse per venire in Italia. Nel cap. XII parla poi di Giovanni I di Monferrato, d'Azzo VIII da Este e di Carlo II di Napoli, siccome di personaggi viventi; ed essi morirono nel 1306, 1308, 1309. Bene dunque si deduce che Dante non può avere scritto il primo libro che innanzi quelle date, e così dal 1305 al 1306. Ed a più forte argomento si deduce che non può averlo scritto dopo il 1309. E quanto a quel passo del Convito, che sembrerebbe contradire a questa deduzione, di questo si parlerà altrove più compiutamente in uno libro ch' io intendo di fare, Dio concedente, di volgare eloquenza, se ben si considera, non riesce contradittorio; perciocchè l' autore d' un'opera destinata a contener quattro libri, non avrebbe potuto in diversa maniera parlarne, quand' egli non aveva pure terminati due, e non aveane pubblicato alcuno.

Rispetto all'anno in che fu scritto il libro secondo, quantunque dalle parole colle quali incomincia, promettendo un'altra volta la diligenza del nostro ingegno, e ritornando al calamo della utile opera, sopra ogni cosa confessiamo ec., sembri potersi dedurre che Dante non vi pose mano se non qualche tempo dopo aver compito il primo; pure questo tempo da lui fra l'uno e l'altro libro frapposto, non fu molto lungo. Imperocchè se Azzo VIII da Este, il quale morì nel 31 gennaio 1308, si trova nominato siccome vivente nel libro I, lo si trova pur nel II, la lodevole discrezione del Mar

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DISSERTAZIONE SUL VOLGARE ELOQUIO.

chese da Este, e la sua preparata a tutti magnificenza, fa esso essere diletto (cap. VI). Dunque il libro secondo non può essere stato scritto più tardi del 1307. Ora, se Dante scrisse il Trattato del Vulgar Eloquio dal 1305 al 1307, scrivealo dunque mentre dettava la prima Cantica del suo poema, poichè questa non potè esser compiuta e pubblicata innanzi del 1309.

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LIBER PRIMUS.

CAPUT I.

Quid sit vulgaris locutio, et quo differat a gramatica.

Cum neminem ante nos de Vulgaris Eloquentiæ doctrina, quicquam inveniamus tractasse, atque talem scilicet Eloquentiam penitus omnibus necessariam videamus, cum ad eam non tantum viri, sed etiam mulieres, et parvuli nitantur, in quantum Natura permittit: volentes discretionem aliqualiter lucidare illorum, qui tanquam.cæci ambulant per plateas, plerumque anteriora posteriora putantes: Verbo aspirante de cælis, locutioni vulgarium gentium prodesse tentabimus: non solum aquam nostri ingenii ad tantum poculum haurientes, sed accipiendo, vel compilando ab aliis, potiora miscentes, ut exinde potionare possimus dulcissimum hydromellum. Sed quia unamquamque doctrinam oportet non probare, sed suum aperire subjectum, ut sciatur quid sit, super quod illa versatur, dicimus celeriter attendentes, quod Vulgarem locutionem appellamus eam, qua infantes adsuefiunt ab adsistentibus, cum primitus distinguere voces incipiunt: vel quod brevius dici potest, Vulgarem locutionem asserimus, quam sine omni regula, nutricem imitantes, accipimus. Est et inde alia locutio secundaria nobis, quam Romani Gramaticam1 vocaverunt. Hanc quidem secundariam Græci habent, et alii, sed non omnes; ad habitum vero hujus pauci perveniunt, quia non

'Quest'altro linguaggio che i nostri antichi chiamavan grammatica, era la lingua che nelle loro scritture usavano i dotti, vale a dire la lingua

del Lazio. Giovanni Villani, I, 48: E però si declina il nome di Pisa in gramatica hæ Pisæ.

LIBRO PRIMO.

CAPITOLO I.

Che cosa sia il parlar volgare, e come è differente dal grammaticale.

Non ritrovando io, che alcuno avanti me abbia della Volgare Eloquenzia niuna cosa trattato; e vedendo questa cotal Eloquenzia essere veramente necessaria a tutti; conciò sia che ad essa non solamente gli uomini, ma ancora le femine, ed i piccoli fanciulli, in quanto la natura permette, si sforzino pervenire: e volendo alquanto lucidare la discrezione di coloro, i quali come ciechi passeggiano per le piazze, e pensano spesse volte, le cose posteriori essere anteriori; con l'aiuto, che Dio ci manda dal Cielo, ci sforzeremo di dar giovamento al parlare delle genti volgari: nè solamente l'acqua del nostro ingegno a sì fatta bevanda piglieremo; ma ancora pigliando, ovvero compilando le cose migliori dagli altri, quelle con le nostre mescoleremo, acciò che d'indi possiamo dar bere uno dolcissimo idromele. Ora perciò che ciascuna dottrina deve non provare, ma aprire il suo suggetto, acciò si sappia, che cosa sia quella, nella quale essa dimora, dico, che'l parlar volgare chiamo quello, nel quale i fanciulli sono assuefatti dagli assistenti, quando primieramente cominciano a distinguere le voci, ovvero, come più brevemente si può dire, il volgar parlare affermo essere quello, il quale senz' altra regola, imitando la balia s'apprende. Ecci ancora un altro secondo parlare, il quale i Romani chiamano Grammatica; e questo secondario hanno parimente i Greci ed altri, ma non tutti; perciò che pochi all' abito di esso pervengono; conciò sia cosa che se non per

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