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nite, carnefici, Venite, altriplici1, Venite, settatori di avarizia. Ma meglio è tornare al proposito, che parlare indarno. Or dicemo, che se vogliamo pigliare il volgare Siciliano, cioè quello, che vien dai mediocri paesani, dalla bocca dei quali è da cavare il giudizio, appare, che 'l non sia degno di essere preposto agli altri; perciò che 'l non si proferisce senza qualche tempo, come è in

<< Traggemi d' este focora se t' este a bolontate. >>

Se questo poi non vogliamo pigliare, ma quello che esce della bocca dei principali Siciliani, come nelle preallegate Canzoni si può vedere, non è in nulla differente da quello, che è laudabilissimo, come di sotto dimostreremo. I Pugliesi poi ovvero per la acerbità 2 loro, ovvero per la propinquità dei loro vicini, fanno brutti barbarismi. E' dicono:

« Volzera che chiangésse lo quatraro. »

Ma quantunque comunemente i paesani Pugliesi parlino bruttamente, alcuni però eccellenti tra loro hanno politamente parlato, e posto nelle loro Canzoni vocaboli molto cortigiani, come manifestamente appare a chi i loro scritti considera, come è:

E

Madonna, dir vi voglio. >>

<< Per fino amore vo' si lietamente. >>

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Il perchè a quelli, che noteranno ciò, che si è detto di sopra, dee essere manifesto, che nè il Siciliano, nè il Pugliese è quel Volgare, che in Italia è bellissimo; conciò sia che abbiamo mostrato, che gli eloquenti nativi di quel Paese sieno da esso partiti.

'Il vocabolo italiano altriplici nulla significa. Dal Glossario del Du Cange si ha che altriplex vale animo duplex, dolosus; onde dee tradursi ingannatori

Acerbità qui vale asperità, asprezza di linguaggio.

Il vocabolo curialis è sempre tradotto dal Trissino, come avremo luogo di notare in seguito, cortigia

no. Ma questo italiano corrisponde all' aulicus di Dante, mentre a curialis deve corrisponder curiale. Per vocabula curialiora, vocaboli molto curiali, intende Dante vocaboli molto esatti, molto conformi alle regole grammaticali, molto prossimi a quel volgare illustre, cardinale, cortigiano e curiale, ch'è il subbietto di questa sua operetta.

CAPUT XIII.

De idiomate Tuscorum et Januensium.

Post hos veniamus ad Tuscos; qui propter amentiam suam infruniti, titulum sibi Vulgaris Illustris arrogare videntur, et in hoc non solum plebeorum dementat intentio, sed famosos quamplures viros hoc tenuisse comperimus: puta Guittonem Aretinum, qui nunquam se ad Curiale Vulgare direxit; Bonagiuntam Lucensem, Gallum Pisanum, Minum Mocatum Senensem, et Brunetum Florentinum; quorum dicta si rimari vacaverit, non curialia, sed municipalia tantum invenientur. Et quoniam Tusci præ aliis in hac ebrietate bacchantur; dignum, utileque videtur municipalia Vulgaria Tuscanorum singulatim in aliquo depompare. Loquuntur Florentini, et dicunt:

« Manuchiamo introcque: '

Non facciamo altro. »

Pisani :

Lucenses:

« Bene andonno li fanti di Fioransa per Pisa. »>

« Fo voto a Dio, che in gassara eie lo comuno de Luca. »

Senenses:

« Onche rinegata avesse io Siena. >>

Arretini :

« Vo' tu venire ovelle.' »

De Perusio, Urbe Veteri, Viterbio, nec non de Civitate Ca

Cioè mangiamo frattanto. Introcque è da inter hoc.

2 In gassara eie, vale è in gazzarra. Comuno per comune, come ottono, costumo, interesso ec. Fo voto a Dio, ha tra gli altri significati quello di grazie a Dio. Onde tutta la frase varrà grazie a Dio, Co

mune di Lucca è in allegria, in festa. • Onche, cioè unque, dal lat. unquam.

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Ovelle, dice il Corbinelli esser fatto da ovec elle, dagli antichi francesi trovandosi detto ovec per avec. La frase dunque varrebbe: vuoi tu venire con lei?

CAPITOLO XIII.

Dello idioma dei Toscani e dei Genovesi.

Dopo questi vegniamo ai Toscani, i quali per la loro pazzia insensati, pare che arrogantemente s'attribuiscano il titolo del Vulgare Illustre, ed in questo non solamente la opinione dei plebei impazzisce, ma ritruovo molti uomini famosi averla avuta; come fu Guittone d' Arezzo, il quale non si diede mai al Volgare Cortigiano, Bonagiunta da Lucca, Gallo Pisano, Mino Mocato Senese, e Brunetto Fiorentino; i detti dei quali, se si avrà tempo di esaminarli, non cortigiani, ma proprii delle loro cittadi essere si ritroveranno. Ma conciò sia che i Toscani siano più degli altri in questa ebbrietà furibondi, ci pare cosa utile e degna torre in qualche cosa la pompa a ciascuno dei Volgari delle città di Toscana. I Fiorentini parlano, e dicono:

« Manuchiamo introcque :
Non facciamo altro. >>

1 Pisani:

« Bene andonno li fanti di Fioransa per Pisa. >>

I Lucchesi :

« Fo voto a Dio, che in gassara eie lo comuno de Luca. >>

I Senesi :

« Onche rinegata avesse io.Siena. >>

Gli Aretini:

« Vo'tu venire ovelle. »

Di Perugia, Orbieto, Viterbo e Città Castellana, per la vicinità

stellana propter adfinitatem, quam cum Romanis et Spoletanis habent, nihil tractare intendimus. Sed quamquam fere omnes Tusci in suo turpiloquio sint obtusi, nonnullos Vulgaris excellentiam cognovisse sensimus, scilicet Guidonem, Lapum, et unum alium,1 Florentinos, et Cinum Pistoriensem, quem nunc indigne postponimus, non indigne coacti. Itaque si Tuscanas examinemus loquelas, cum pensemus qualiter viri præhonorati a propria diverterunt, non restat in dubio, quin aliud sit Vulgare, quod quærimus, quam quod attingit populus Tuscanorum. Si quis autem quod de Tuscis asserimus, de Januensibus asserendum non putet, hoc solum in mente premat, quod si per oblivionem Januenses ammitterent z litteram, vel mutire totaliter eos, vel novam reperire oporteret loquelam; est enim z maxima pars eorum locutionis: quæ quidem littera non sine multa rigiditate profertur.

CAPUT XIV.

De idiomate Romandiolorum, et de quibusdam Transpadanis et præcipue de Veneto.

Transeuntes nunc humeros Appennini frondiferos, lævam Italiam cunctam venemur, ceu solemus, orientaliter ineuntes. Romandiolam igitur ingredientes, dicimus nos duo in Latio invenisse Vulgaria, quibusdam convenientiis contrariis alternata. Quorum unum in tantum muliebre videtur propter vocabulorum et prolationis mollitiem, quod virum (etiam si viriliter sonet) fœminam tamen facit esse credendum. Hoc Romandioli omnes habent, et præsertim Forlivenses: quorum civitas, licet novissima sit, meditullium tamen esse videtur totius provinciæ; hi Deusci affirmando loquun

'Scilicet Guidonem, cioè Guido Cavalcanti, Lapum, Lapo Gianni, et unum alium, ed un altro, cioè io stesso Dante Alighieri.

2. Pospone agli altri Cino da Pistoia, non perchè minore in quanto al sapere, ma perchè minore in quanto alla patria.

che hanno con Romani e Spoletani, non intendo dir nulla. Ma come che quasi tutti i Toscani siano nel loro brutto parlare ottusi, nondimeno ho veduto alcuni aver conosciuto la eccellenzia del Vulgare, cioè Guido, Lapo, e un altro, Fiorentini, e Cino Pistoiese, il quale al presente indegnamente posponemo, non indegnamente costretti. Adunque se esamineremo le loquele Toscane, e considereremo, come gli uomini molto onorati1 si siano da esse loro proprie partiti, non resta in dubbio che il Vulgare, che noi cerchiamo, sia altro che quello, che hanno i popoli di Toscana. Se alcuno poi pensasse che quello, che noi affermiamo dei Toscani, non sia da affirmare dei Genovesi, questo solo costui consideri, che se i Genovesi per dimenticanza perdessero il z lettera, bisognerebbe loro, ovver essere totalmente muti, ovver trovare una nuova locuzione; perciò che il z è la maggior parte del loro parlare; la qual lettera non si può se non con molta asperità proferire.

CAPITOLO XIV.

Dello idioma di Romagna, e di alcuni Transpadani, e specialmente del Veneto.

Passiamo ora le frondute spalle dell' Appennino, ed investighiamo tutta la sinistra parte d'Italia, cominciando, come far solemo, a levante. Intrando adunque nella Romagna, dicemo che in Italia abbiamo ritrovati due Volgari, l'uno all' altro con certi convenevoli contrari opposto: delli quali uno tanto feminile ci pare per la mollizia dei vocabuli e della pronuncia, che un uomo (ancora che virilmente parli) è tenuto femina. Questo Volgare hanno tutti i Romagnuoli, e specialmente i Forlivesi, la città dei quali, avvegna che novissima sia, nondimeno pare esser posta nel mezzo di tutta la provincia. Questi affermando dicono Deu

'La frase del testo viri præhonorati non significa gli uomini molto onorali, come traduce il Trissino, ma bensì gli scrittori sullodati, cioè Guido, Lapo ec. Il Crescimbeni (Vol.

II, par. II, pag. 54) di Guido e di Lapo ne fa tutto un nome, cioè Guido-Lapo, dicendo che di esso non si trova alcuna poesia. E di certo non poteva trovarla.

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