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dice dell' essere male. Però Pitagora nelle sue ordinazioni, dalla parte del bene poneva uno, dalla parte del male poneva moltitudine, come si manifesta nella Metafisica. Di qui puossi vedere che peccare non è altro che procedere da uno disprezzato a moltitudine: la qual cosa significa il Salmista dicendo: Dal frutto del frumento, vino ed olio sono moltiplicati costoro. È adunque manifesto che ciò che è buono è tale perchè consiste in uno. E conciossiachè la concordia, in quanto è concordia, sia alcuno bene, è manifesto che ella consiste in qualche uno come in propria radice: la quale radice apparirà se la natura e proprietà della concordia si conosca. La concordia è uniforme movimento di più volontà, nella quale ragione apparisce che l'unità delle volontà, la quale per moto uniforme nasce, è la radice della concordia, ovvero essa concordia. Imperocchè, come diremmo più parti di terra essere concordi pel discendere tutte al mezzo; e più fiamme essere concordi pel salire tutte in alto, s'elle facessino questo volontariamente; così diciamo più uomini essere concordi pel muoversi tutti insieme secondo il volere ad uno, il quale è formalmente nelle volontà loro, come è una qualità formalmente in molte parti della terra, e questa è gravità, e una nelle fiamme che è levità. Imperocchè la virtù del volere è una potenzia, e la spezie del bene compreso, è una sua forma; la qual forma così come l'altre, essendo una in sẻ, si moltiplica per la moltitudine della materia recipiente, come l'anima, e il numero, e l'altre forme che nella composizione si ricevono. Dette queste cose a dichiarazione, al proposito nostro così argomentiamo: Ogni concordia dipende da unità la quale è nelle volontà; La generazione umana, quando ottime vive, è una certa concordia; perchè come uno uomo, quando ottime è disposto, e quanto all' anima e quanto al corpo, una certa concordia, e similmente la casa, la città e il regno; così tutta la generazione umana: Adunque la umana

genus humanum: Ergo genus humanum optime se habens, ab unitate quæ est in voluntatibus dependet. Sed hoc esse non potest, nisi sit voluntas una, domina et regulatrix omnium aliarum in unum: cum mortalium voluntates propter blandas adolescentiæ delectationes indigeant directivo, ut in ultimis docet Philosophus ad Nicomachum; Nec una ista potest esse, nisi sit Princeps unus omnium, cujus voluntas domina et regulatrix aliarum omnium esse possit: Quod si omnes consequentiæ superiores veræ sunt, quod sunt; necesse est, ad optime se habere humanum genus, Monarcham esse in mundo; et per consequens, Monarchiam ad bene esse mundi.

S XVIII. Rationibus omnibus supra positis, experientia memorabilis attestatur; status videlicet illius mortalium, quem Dei Filius in salutem hominis hominem assumpturus vel expectavit, vel cum voluit ipse disposuit. Nam si a lapsu primorum parentum, quod diverticulum fuit totius nostræ deviationis, dispositiones hominum et tempora recolamus; non inveniemus, nisi sub divo Augusto Monarcha, existente Monarchia perfecta, mundum undique fuisse quietum.1 Et quod tunc humanum genus fuerit fœlix in pacis universalis tranquillitate, hoc historiographi omnes, hoc poetæ illustres, hoc et scriba mansuetudinis Christi testari dignatus est. Et denique Paulus, plenitudinem temporis statum illum appellavit fœlicissimum. Vere tempus et temporalia quæque plena fuerunt, quia nullum nostræ fœlicitatis mysterium ministro vacavit. Qualiter autem se habuerit orbis, ex quo tunica ista inconsutilis, cupiditatis ungue scissuram primitus passa est, et legere possumus, et utinam non videre. O genus humanum, quantis procellis atque jacturis, quantisque naufragiis agitari te necesse est, dum bellua multorum capitum factum, in diversa conaris, intellectu ægrotans utroque, si

1 E perocchè nella venuta del Figliuol di Dio nel mondo, non solamente il cielo, ma la terra, conveniva essere in ottima disposizione; e la ottima disposizione della terra sia

quand' ella è Monarchia.... ordinato
fu per lo divino provvedimento quel-
lo popolo e quella città, che ciò do-
vea compiere, cioè la gloriosa Roma
(Convito, Tr. IV, cap. 5.)

generazione ottime disposta, dalla unità, che è nelle volontà, dipende, e questa unità dipende da uno. Ma questo non può essere se non è una volontà che sia signora e regolatrice di tutte l' altre in uno : conciossiachè le volontà de' mortali, per cagione de' lusinghevoli diletti dell'adolescenzia, abbino bisogno di chi a bene gli dirizzi, come Aristotele insegna nel libro ultimo a Nicomaco. E questa una volontà non può essere se non sia uno Principe di tutti; la volontà del quale domini e regoli tutte le volontà degli altri: Adunque se tutte le superiori conclusioni sono vere (che certamente così sono), è necessario che alla ottima disposizione della generazione umana sia nel mondo il Monarca ; e per conseguente al bene essere del mondo sia la Monarchia.

§ XVIII. A tutte le ragioni di sopra scritte una memorabile esperienzia fa testimonianza. Questo è quello stato de' mortali, il quale il Figliuolo di Dio ad assumere carne umana per la salute degli uomini aspettò, o veramente quando volle dispose. Imperocchè se noi ci rivolgiamo per la mente le disposizioni e i tempi degli uomini dalla trasgressione de' primi genitori, la quale dette principio a tutti i nostri errori, non troveremo mai il mondo essere stato quieto, se non sotto Cesare Augusto, che fu Monarca di Monarchia perfetta. E che allora la umana generazione fosse felice, nella tranquillità della universale pace, ne fanno testimonianza tutti gli storiografi e gl' illustri poeti. Questo ancora testimonia lo Scriba della mansuetudine di Cristo; ed ancora Paolo chiamò quello stato felicissimo plenitudine del tempo. Veramente il tempo e le cose temporali allora furono adempiute: perchè nessuno misterio della felicità nostra mancò al mondo. Ma in che modo sia il mondo disposto da quel tempo in qua che la veste inconsutile fu stracciata dalle unghie della cupidità, noi lo possiamo leggere, e Iddio volesse che noi non lo potessimo vedere. Oh generazione umana ! quante tempeste, danni e ruine se' costretta a patire, mentre che tu se' fatta bestia di molti capi; e per questo ti sforzi con lo infermo intelletto per diverse cose ravvolgerti, avendo errore nello intelletto speculativo e nel pratico, ed errando

militer et affectu. Rationibus irrefragabilibus intellectum superiorem non curas: nec experientiæ vultu inferiorem ; sed nec affectum dulcedine divinæ suasionis, cum per tubam Sancti Spiritus tibi affletur: Ecce quam bonum, et quam jucundum, habitare fratres in unum.

LIBER SECUNDUS.

Quomodo romanus populus de jure sibi adsciverit officium Monarchiæ sive Imperii.

§ I. Quare fremuerut gentes, et populi meditati sunt inania? Astiterunt reges terræ, et principes convenerunt in unum, adversus Dominum, et adversus Christum ejus. Disrumpamus vincula eorum, et projiciamus a nobis jugum ipsorum.1 Sicut ad faciem causæ non pertingentes, novum effectum communiter admiramur sic, cum causam cognoscimus, eos qui sunt in admiratione restantes, quadam derisione despicimus. Admirabar siquidem aliquando, Romanum populum in orbe terrarum sine ulla resistentia fuisse præfectum, cum tantum superficialiter intuens illum, nullo jure, sed armorum tantummodo violentia, obtinuisse arbitrabar. Sed postquam medullitus oculos mentis infixi, et per efficacissima signa divinam providentiam hoc effecisse cognovi; admiratione cedente, derisiva quædam supervenit despectio. Cum gentes noverim contra Romani populi præeminentiam fremuisse: cum videam populos vana meditantes, ut ipse solebam : cum insuper doleam reges et principes in hoc uno concordantes, ut adversentur Domino suo, et unico suo Romano Principi. Propter quod derisive, non sine dolore quodam, cum illo clamare possum, pro populo glorioso et pro Cesare,

Sono i primi tre versetti del Salmo II.

nello affetto. Tu non curi lo intelletto superiore, che ha in se ragioni insuperabili, e non riguardi il volto inferiore della esperienzia, nè ancora l'affetto dolce della divina persuasione, quando per la tromba del Santo Spirito t'è sonato: Ecco quanto buono e quanto giocondo é che i fratelli abitino in uno.

LIBRO SECONDO.

Come il popolo romano s'attribuì di ragione l'officio della Monarchia ossia Impero.

§ I. Perché hanno fatto romore le genti, ed i popoli hanno pensato cose vane? Sonosi fatti innanzi i re della terra, ed i principi sono concorsi in uno contro al Signore e contro al Cristo suo. Adunque rompiamo i loro legami, e removiamo da noi il giogo loro. Come quando noi non pervegniamo alla faccia della cagione, comunemente ci maravigliamo del nuovo effetto: così quando noi conosciamo la cagione, con una certa derisione disprezziamo quelli che restano in ammirazione. Io già mi maravigliavo del romano popolo, che sanza alcuna resistenzia, nel circolo della terra, fusse prefetto, quando solamente secondo la superficie risguardavo che quello non con ragione, ma con forza d'arme, pareva che avesse ottenuto il principato. Ma poichè io ho i fondamenti meglio veduti, e per efficaci segni ho conosciuto, questo essere fatto dalla Divina Providenzia, non mi maraviglio più, ma con derisione è sopravvenuto un disprezzo: avendo io conosciuto le genti contro alla preminenza del popolo romano fare romore; e vedendo i popoli pensare le cose vane, come soleva ancor io; e massime dolendomi che i re e i principi in questo s'accordino a contrapporsi al Signore suo ed allo unico Principe romano. Per la qual cosa con derisione e con dolore posso clamare pel glorioso popolo e per Cesare insieme con

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