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Che di lontan per l'ombre

Rosseggia e i lochi intorno intorno tinge.
Cosi, dell'uomo ignara, e dell' etadi

Ch' ei chiama antiche, e del seguir che fanno
Dopo gli avi i nepoti,

Sta natura ognor verde, anzi procede
Per si lungo cammino,

Che sembra star. Caggiono i regni intanto,
Passan genti e linguaggi: ella nol vede :
E l'uom d'eternità s' arroga il vanto.
E tu, lenta ginestra,

Che di selve odorate

Queste campagne dispogliate adorni,
Anche tu presto alla crudel possanza
Soccomberai del sotterraneo foco,
Che ritornando al loco

Già noto, stenderà l'avaro lembo
Su tue molli foreste. E piegherai
Sotto il fascio mortal non renitente
Il tuo capo innocente:

Ma non piegato insino allora indarno
Codardamente supplicando innanzi
Al futuro oppressor; ma non eretto
Con forsennato orgoglio inver le stelle,
Nè sul deserto, dove

E la sede e i natali

Non per voler ma per fortuna avesti ;
Ma più saggia, ma tanto

Meno inferma dell' uom, quanto le frali
Tue stirpi non credesti

O dal fato o da te fatte immortali.

XXV.

IMITAZIONE.

Lungi dal proprio ramo,

Povera foglia frale,

Dove vai tu? - Dal faggio

Là dov'io nacqui, mi divise il vento. Esso, tornando, a volo

Dal bosco alla campagna,

Dalla valle mi porta alla montagna.
Seco perpetuamente

Vo pellegrina, e tutto l'altro ignoro.
Vo dove ogni altra cosa,

Dove naturalmente

Va la foglia di rosa,
E la foglia d' alloro.

XXXVI.

SCHERZO.

Quando fanciullo io venni
A pormi con le Muse in disciplina,
L'una di quelle mi pigliò per mano;
E poi tutto quel giorno

La mi condusse intorno
A veder l'officina.
Mostrommi a parte a parte
Gli strumenti dell'arte,
E i servigi diversi

A che ciascun di loro
S'adopra nel lavoro
Delle prose e de' versi.

lo mirava, e chiedea :

Musa, la lima ov'è? Disse la Dea:

La lima è consumata; or facciam senza
Ed io, ma di rifarla

Non vi cal, soggiungea, quand'ella è stanca?
Rispose hassi a rifar, ma il tempo manca.

:

FRAMMENTI.

XXXVII

ALCETA.

Odi, Melisso: io vo' contarti un sogno
Di questa notte, che mi torna a mente
In riveder la luna. Io me ne stava
Alla finestra che risponde al prato,
Guardando in alto: ed ecco all'improvviso
Distaccasi la luna ; e mi parea

Che quanto nel cader s'approssimava,
Tanto crescesse al guardo; infin che venne
A dar di colpo in mezzo al prato; ed era
Grande quanto una secchia, e di scintille
Vomitava una nebbia, che stridea

Si forte come quando un carbon vivo
Nell'acqua immergi e spegni. Anzi a quel modo
La luna, come ho detto; in mezzo al prato

Si

spegneva annerando a poco a poco,

E ne fumavan l'erbe intorno intorno.

Allor mirando in ciel, vidi rimaso

Come un barlume, o un'orma, anzi una nicchia, Ond'ella fosse svelta; in cotal guisa,

Ch'io n'agghiacciava; e ancor non m'assicuro.

MELISSO.

E ben hai che temer, chè agevol cosa

Fôra cader la luna in sul tuo campo.

ALCETA.

Chi sa? non veggiam noi spesso di state

Cader le stelle?

MELISSO.

Egli ci ha tante stelle,

Che picciol danno è cader l'una o l'oltra Di loro, e mille rimaner. Ma sola

Ha questa luna in ciel, che da nessuno Cader fu vista mai se non in sogno.

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