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do, e disordinando in mille cose; in fine studiando tutte le vie di far contro la propria natura e di capitar male. Gnomo. A ogni modo, io non mi so dare ad intendere che tutta una specie di animali si possa perdere di pianta, come tu dici.

Folletto. Tu che sei maestro in geologia, dovresti sapere che il caso non è nuovo, e che varie qualità di bestie si trovarono anticamente che oggi non si trovano, salvo pochi ossami impietriti. E certo che quelle povere creature non adoperarono niuno di tanti artifizi che, come io ti diceva, hanno usato gli uomini per andare in perdizione.

Gnomo. Sia come tu dici. Ben avrei caro che uno o due di quella ciurmaglia risuscitassero, e sapere quello che penserebbero vedendo che le altre cose, benchè sia dileguato il genere umano, ancora durano e procedono come prima, dove essi credevano che tutto il mondo fosse fatto e mantenuto per loro soli.

Folletto. E non volevano intendere che egli è fatto e mantenuto per li folletti.

Gnomo. Tu folleggi veramente, se parli sul sodo.
Folletto. Perchè? io parlo bene sul sodo.

Gnomo. Eh, buffoncello, va' via. Chi non sa che il mondo è fatto per gli gnomi?

Folletto. Per gli gnomi, che stanno sempre sotterra? Oh questa è la più bella che si possa udire! Che fanno agli gnomi il sole, la luna, l'aria, il mare, le campagne?

Gnomo. Che fanno ai folletti le cave d'oro e d'argento, e tutto il corpo della terra fuor che la prima pelle?

Folletto. Ben bene, o che facciano o che non facciano, lasciamo stare questa contesa, chè io tengo per fermo che anche le lucertole e i moscherini si credano che tutto il mondo sia fatto a posta per uso della loro specie. E però ciascuno si rimanga col suo parere, chè niuno glielo ca

verebbe di capo: e per parte mia ti dico solamente questo, che se non fossi nato folletto, io mi dispererei.

Gnomo. Lo stesso accadrebbe a me se non fossi nato gnomo. Ora io saprei volentieri quel che direbbero gli uomini della loro presunzione, per la quale, tra l'altre cose che facevano a questo e a quello, s'inabissavano le mille braccia sotterra e ci rapivano per forza la roba nostra, dicendo che ella si apparteneva al genere umano, e che la natura gliel' aveva nascosta e sepolta laggiù per modo di burla, volendo provare se la troverebbero e la potrebbero cavar fuori.

Folletto. Che maraviglia? quando non solamente si persuadevano che le cose del mondo non avessero altro uffizio che di stare al servigio loro, ma facevano conto che tutte insieme, allato al genere umano, fossero una bagattella. E però le loro proprie vicende le chiamavano rivoluzioni del mondo, e le storie delle loro genti, storie del mondo: benchè si potevano numerare, anche dentro ai termini della terra, forse tante altre specie, non dico di creature, ma solamente di animali, quanti capi d' uomini vivi: i quali animali, che erano fatti espressamente per coloro uso, non si accorgevano però mai che il mondo si rivoltasse.

Gnomo. Anche le zanzare e le pulci erano fatte per benefizio degli uomini?

Folletto. Si erano; cioè per esercitarli nella pazienza, come essi dicevano.

Gnomo. In verità che mancava loro occasione di esercitar la pazienza, se non erano le pulci!

Folletto. Ma i porci, secondo Crisippo (7), erano pezzi di carne apparecchiati dalla natura a posta per le cucine e le dispense degli uomini, e, acciocchè non imputridissero, conditi colle anime in vece di sale.

Gnomo. Io credo in contrario che se Crisippo avesse

avuto nel cervello un poco di sale in vece dell'anima, non avrebbe immaginato uno sproposito simile.

Folletto. E anche quest' altra è piacevole; che infinite specie di animali non sono state mai viste nè conosciute dagli uomini loro padroni; o perchè elle vivono in luoghi dove coloro non misero mai piede, o per essere tanto minute che essi in qualsivoglia modo non le arrivavano a scoprire. E di moltissime altre specie non se ne accorsero prima degli ultimi tempi. Il simile si può dire circa al genere delle piante, e a mille altri. Parimente di tratto in tratto, per via de' loro cannocchiali, si avvedevano di qualche stella o pianeta, che insino allora, per migliaia e migliaia d'anni, non avevano mai saputo che fosse al mondo; e subito lo scrivevano tra le loro masserizie; perchè s' immaginavano che le stelle e i pianeti fossero, come dire, moccoli da lanterna piantati lassù nell'alto a uso di far lume alle signorie loro, che la notte avevano gran faccende.

Gnomo. Sicchè, in tempo di state, quando vedevano cadere di quelle fiammoline che certe notti vengono giù per l'aria, avranno detto che qualche spirito andava smoccolando le stelle per servizio degli uomini.

Folletto. Ma ora che ei sono tutti spariti, la terra non sente che le manchi nulla, e i fiumi non sono stanchi di correre, e il mare, ancorchè non abbia più da servire alla navigazione e al traffico, non si vede che si rasciughi.

Gnomo. E le stelle e i pianeti non mancano di nascere e di tramontare, e non hanno preso le gramaglie.

Folletto. E il sole non s'ha intonacato il viso di ruggine; come fece, secondo Virgilio, per la morte di Cesare della quale io credo ch' ei si pigliasse tanto affanno quanto ne pigliò la statua di Pompeo.

LEOPARDI. Opero. — 1.

15

DIALOGO

DI MALAMBRUNO E DI FARFARELLO.

Malambruno. Spiriti d'abisso, Farfarello, Ciriatto, Baconero, Astarotte, Alichino, e comunque siete chiamati; io vi scongiuro nel nome di Belzebù, e vi comando per la virtù dell'arte mia, che può sgangherare la luna, e inchiodare il sole a mezzo il cielo: venga uno di voi con libero comando del vostro principe e piena potestà di usare tutte le forze dell' inferno in mio servigio.

Farfarello. Eccomi.

Malambruno. Chi sei?

Farfarello. Farfarello, a' tuoi comandi.

Malambruno. Rechi il mandato di Belzebù?

Farfarello. Si recolo; e posso fare in tuo servigio tutto quello che potrebbe il Re proprio, e più che non potrebbero tutte l'altre creature insieme.

Malambruno. Sta bene. Tu m' hai da contentare d'un

desiderio.

Farfarello. Sarai servito. Che vuoi? nobiltà maggiore di quella degli Atridi?

Malambruno. No.

Farfarello. Più ricchezze di quelle che si troveranno nella città di Manoa (8) quando sarà scoperta? Malambruno. No.

Farfarello. Un impero grande come quello che diCono che Carlo quinto si sognasse una notte?

Malambruno. No.

Farfarello. Recare alle tue voglie una donna più salvatica di Penelope?

Malambruno. No. Ti par egli che a cotesto ci bisognasse il diavolo?

sei?

Farfarello. Onori e buona fortuna così ribaldo come

Malambruno. Piuttosto mi bisognerebbe il diavolo se volessi il contrario.

Farfarello. In fine, che mi comandi?

Malambruno. Fammi felice per un momento di tempo.
Farfarello. Non posso.

Malambruno. Come non puoi?

Farfarello. Ti giuro in coscienza che non posso. Malambruno. In coscienza di demonio da bene? Farfarello. Si certo. Fa' conto che vi sia de' diavoli da bene come v'è degli uomini.

Malambruno. Ma tu fa' conto che t'appicco qui per la coda a una di queste travi, se tu non mi ubbidisci subito senza più parole.

Farfarello. Tu mi puoi meglio ammazzare, che non io contentarti di quello che tu domandi.

Malambruno. Dunque ritorna tu col mal anno, e venga Belzebù in persona.

Farfarello. Se anco viene Belzebù con tutta la Giudecca e tutte le Bolge, non potrà farti felice nè te nè altri della tua specie, più che abbia potuto io.

Malambruno. Nè anche per un momento solo?

Farfarello. Tanto è possibile per un momento, anzi per la metà di un momento, e per la millesima parte, quanto per tutta la vita.

Malambruno. Ma non potendo farmi felice in nes

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