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tosto da gentilezza d'animo e da umanità, benchè mal regolata sia; et atteso quanto sia difficile a resistervi, conciossiach'i più savi son rimasi all' amo; non è meraviglia se la nostra sensualità ne prende compassione.

Nè discorda da lui il Vellutello:

Dante, udito nomar a Virgilio, le donne e' cavalieri antichi... fu assalito da tanta pietà, che ebbe di loro, che rimase quasi smarrito e fuori de' sentimenti, essendo cosa umana l'aver compassione a gli afflitti e spezialmente a quelli, che, non per malizia, ma solamente per fragilità, si trovano esser caduti, come era avvenuto a tutti costoro.

Naturalmente, su Paolo e Francesca, nulla sanno di più degli antichi commentatori; e ripetono e copiano infiorando. Così il Landino:

Francesca fu figliuola di Guido da Polenta, signor di Ravenna, femmina di bellezze e di maniera eccellentissima; e moglie di Lanciotto, figliuolo di Malatesta, signor di Rimino, uomo bellicoso e di grande animo, ma brutto di corpo e sciancato. Costui avea un fratello chiamato Paolo, bello di corpo e di dolce maniera e costumi, e più atto all' ozio, che all'armi, e quasi un Paris a comparazion d' Ettore. Et usando familiarmente con Francesca, come con cognata, la lunga pratica partori, tra loro, amor lascivo; e, finalmente, leggendo, un giorno, il libro della tavola rotonda, il cattivo esempio gl' incitò a cattivo atto. E, seguitando in questo proposito più tempo, Lanciotto se n' accorse; et, appostatigli e giuntili in sul fallo, con un medesimo ferro e colpo confisse l'uno e l'altro. Dicono, che la madre sua la voleva dar a Paolo; e Lanciotto andò a Ravenna per sposarla per lui: ma, vedendola sì bella et innamoratosene, la chiese per sè; e, perchè era uomo potente e terribile, gli fu data, più per paura, che per amore.

Il Vellutello è più breve ma non più nuovo, se non in quanto confonde il padre della Francesca, col Guido

da Polenta, al cui tempo mori Dante in Ravenna; e credo fosse il primo a dire questo sproposito (1):

Dicono, che Guido da Polenta, signor di Ravenna, sotto del quale, in tal città, visse per alcun tempo et ultimamente mori il nostro poeta... ebbe una bellissima e gentilissima figliuola per nome Francesca, la qual maritò a Lanciotto, figliuolo di Malatesta, signor di Rimini, uomo robusto, bellicoso e di grande animo, ma deforme, zoppo e malgraziato; il qual avea un fratello, per nome Paolo, della contraria disposizione e natura, perchè era d' eccellente forma, affabile, graziato e di prestantissimi costumi ornato. Vogliono, adunque, che, la conformità dell' essere e de' costumi di costui e di Francesca gl' inducesse a doversi sommamente amare et ultimamente ancora a coglier il frutto del loro amore: e che, in quello perseverando, men cautamente di quel, che doveano, che Lanciotto se n'avvedesse, e che, appostatili sul fatto, d'un medesimo colpo uccidesse ognun di loro.

Anche il Padre Lombardi nota, al verso Pietà mi vinse e fui quasi smarrito, il turbamento dell' Allaghieri, come segno di coscienza rea:

Da qui 'l Poeta, accennando sè pure macchiato del vizio castigato in costoro, voler esprimerne e la compassione verso

(1) Quindi Giambattista Brocchi lui pure scriveva nel M.CCXCVII ad una ipotetica inglese: Mi maravigli assai come il Signor da Polenta » sia stato così grande amico di Dante e l'abbia ricevuto con tanta di>> stinzione presso di lui, dopo che egli, con questi versi, avea resi >> pubblici gli amori incestuosi di sua figlia e che l' avea messa fra le anime > dannate. Se non che Dante tratta questa avventura con molta delica» tezza; e forse quel principe era persuaso, che si dovesse far poco conto » delle sue sentenze di dannazione». Ed il Foscolo ed infiniti altri hanno abbracciato senza criterio questa falsa opinione, facendo di due Guidi da Polenta, un solo.

i medesimi e lo smarrimento e paura per propria parte. Gli istessi due effetti esprimerà in progresso pure con Francesca da Polenta, dicendole: Francesca, i tuoi martiri | A lagrimar mi fanno tristo e pio.

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Contrariamente a tutti gli autori ed interpreti citati, il Canonico Dionisi volle, che Dante fosse un' anima innocente, non rea pur d'un pensiero, una specie di santo. Non si accorse così di renderlo ridicolo; e non vide neppure di diminuirne la grandezza morale. Giacchè grande moralmente non è l'innocenza e la semplicità, non è l'uomo ignaro della colpa e dell' errore, cosa possibile solo all' imbecillità, alla apatia, anzi l'uomo, che, indotto in tentazione, resiste, che, avendo ceduto all' impeto della passione, si rialza e la doma e, conscio della colpa ed avendone pure assaporate le attrattive, le fugge, le sprezza, le abomina. La vera virtù non è l'assenza o la ignoranza del vizio, anzi la negazione di esso vizio. Dunque, il Dionisi, discorrendo di varie supposizioni e fra l'altre, che l' Allaghieri: « si manifesti colpevole di tutti que' » vizî, de' quali compiagne e deplora nel suo inferno » l'atrocità della pena » dice, molto gentilmente per noi, sostenitori di essa opinione:

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La quarta supposizione è la più sciocca e insieme la più ruinosa di tutte, perchè guai, se dalle lagrime del poeta se ne traesse per lui conseguenza di reità di costumi! Ci converrebbe dirlo incestuoso e adultero, per la pietà da lui mostrata de' due cognati. Ci sarebbe da crederlo sodomita o da sospettarne assai, per ciò che arguisce gentilmente il Boccaccio (Inferno, XVI. xij.).... Bisognerebbe ancora dirlo indovino, malvagio consigliere, seminatore di scisme ed anche traditore, perchè compianse del Conte Ugolino la morte. Non basta mica: si proverebbe, per questa via, ch'egli avesse tentato o tentasse il suicidio, allora che s' inteneri, udendo

Pier delle Vigne, il quale, per disperazione, col dar del capo in un muro, si uccise. Che razza d'argomentar fu mai questo e' piagne, dunque reo? Ma così pensò l'Anonimo [cioè l'Ottimo] così il Boccaccio, così Iacopo della Lana, così si ragiona nelle finte glose di Pietro, e così, dietro a costoro, sono iti a guise di pecore tutti gli altri commentatori, i quali però saranno esecrati da' posteri, come micidiali della buona fama dell' Autore innocente.

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Il Biagioli, che pur non appartenne al malvagio coro de' commentatori, che voglion Dante convertire in un san Luigi Gonzaga, per ismania di contraddire al Lombardi, annotò al verso predetto:

Sta alla lettera; e credi, che, per la pietà, che lo vinse, di quegli infelici amanti, fu quasi smarrito; e non già, per paura di sè, come sogna il Lombardi.

Si può immaginare ingiustizia maggiore? e con questo rimprovero al Lombardi o non si confessa il Biagioli reo di malafede o d'ignoranza? La spiegazione del Lombardi, giusta od erronea, che fosse, non era sogno suo: dandola, egli ripeteva quel, che infiniti altri commentatori avevan detto prima di lui; e che non credo punto esser sogno, del resto.

Il Torti di Bevagna [nell' Opuscolo Dante | Rivendicato lettera al sig. Cavalier Monti | dell' Autore | del Prospetto del Parnaso Italiano || Cur ego amicum | Offendam in nugis? Hae nugae seria ducunt | In mala. Horat ad Pisones || Fuligno | Tipografia Tomassini | 1825] dice così:

Nel secondo cerchio del grande abisso vi sono punite le anime dei lascivi. Il poeta trascura i più famosi della favola e

della storia; egli avrebbe potuto interrogare le Mirre, le Biblidi, le Semiramidi, le Cleopatre, le Giulie, le Messaline; e le loro eroiche infamie avrebbero potuto far brillare i suoi versi. Ma Dante antepone a tutto l'interessare il suo secolo e la sua nazione. Egli si rivolge in quel cerchio ad una celebre infelice de' giorni suoi, a Francesca di Rimini, che il marito Lancellotto aveva ucciso coll' amante nel letto del disonore; e noi vediamo uscirne quel quadro stupendo, che tutti conosciamo.

Il Solitario, che, nel M.DCCC.LIX, offriva, in Cesena, la Divina Commedia, alla intelligenza di tutti, annota, all'ultimo verso del Canto quinto :

La pietosa situazione di Francesca; le sue parole piene di tanta rassegnazione; la ospitalità di Dante nella famiglia da Polenta; il ritrovarsi egli stesso infelice nell' esiglio: spiegano esuberatamente il deliquio.

È proprio il caso di dire: chi si contenta, gode. La situazione della Francesca non è più pietosa di quella d'infiniti altri dannati, pe' quali Dante non si commuove. La rassegnazione di lei non esclude il rancore. E Dante scrisse l'episodio, certo, assai prima del riparare definitivamente a Ravenna, sebbene abbia dovuto starvi alquanto anteriormente, come dimostrano i versi del XXVIII del Purgatorio, in cui si parla dello stormir delle fronde per la pineta in sul lido di Chiassi. Che, poi, fosse ospite della famiglia da Polenta rimane a provarsi. Il Gioberti trovava il deliquio: « sola chiusa degna del predetto >> inimitabile episodio » e postillava così il verso: Ma solo un punto fu quel, che ci vinse.

Il Ginguené chiama l' adulterio e l'incesto de' duo cognati: si passagère et si pardonnable erreur. Ecco l' effetto d' una

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