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L'effetto, prodotto in Dante dalle parole, con cui la Francesca copertamente si manifesta e si scusa, è strano davvero. China il viso mortificato, dimentica il luogo, dimentica la condizione di que' miseri presenti; e tutto si immerge nel pensare a' dolci pensieri, al disio, che li menò al doloroso passo. E quando, scosso da Virgilio, si rivolge alle anime offense, chiede, con indiscretezza innegabile, come si fossero scoperti amanti, vuol conoscere la prima radice dello amor loro:

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Il Guerrazzi, il cui nome di necessità qui si registra, non per mia scelta, scrivendo una pappolata rettorica su I Dannati di Dante, dice:

Anco (e, innanzi di scriverlo, domando perdono) non mi garba il cercare, che il Dante (1) fa alla donna del come amore concedesse tempo ai dolci sospiri; e da qual cosa ella e lo amante suo conoscessero i desiderî dubbiosi. Senz' altro, Francesca risponde con isquisitezza suprema; né meglio potrebbe immaginarsi da intelletto umano; tuttavolta, difficoltà vinta non è bellezza conseguita; e per gentil risposta non cessa comparire la dimanda indiscretamente curiosa, la quale pone a risico cotesta povera anima di sfiorare la verecondia, rasentandola troppo da presso.

Del resto, non c'è cattiva causa, che non truovi patrocinatori. Vedi La | Divina Commedia | di | Dante Alighieri | all' intelligenza di tutti | Studio | d' un solitario ||

(1) Questo grande scrittore, ut aiunt, del Guerrazzi, metteva l'articolo innanzi a' nomi di battesimo maschili! Prosit!

Cesena | Tipografia di Costantino Bisazia | 1859. Vi si dice:

Non sembri indiscreta questa dimanda. Il luogo dove fu fatta; il secolo in che fu scritta; l'utilità nella indicazione del pericolo di simili letture: possono giustificare il poeta.

Che la dannata Francesca chiami tempo felice quello della vita peccaminosa, si comprende; ma questa curiosità morbosa nel Poeta, cui la grazia divina permetteva di visitar vivo l'altro mondo per rigenerarsi, ma questo chiamar doloroso passo la morte rea ed invidiare i dolci pensieri ed il disio, che ve li han condotti; ma questo stimare una benigna concession d'amore l'occasione della perpetua dannazione, nel poeta, come si spiega? Quella lubrica descrizione, che fa raddoppiare le pulsazioni nelle arterie al lettore, a che? come c'entra con lo scopo del poema? Racconto storico non è certo: che tali particolari nessuno poteva sapere. Come, mai, Dante fu condotto ad inventarli? a dipingerli con tanta efficacia? E perchè, mai, gli fanno tanta impressione?

Supponiamo, un po', che Dante senta, dalla bocca della Francesca, la propria storia; che la Francesca, raccontando quanto si finge accaduto fra lei e Paolo, venga a dirgli quanto, suppergiú, era avvenuto, anche, fra la Pietra e lui Dante, allora, tutto ci diventa chiaro, ed ogni parola acquista nuovo senso. Quella scena, con cui Dante ha scusato, innanzi alla posterità, per tanti secoli, e scuserà, in eterno le sozzurre della coppia d' Arimino; scusava, agli occhi suoi, il proprio errore; sè discolpa con le attenuanti, con le scusande. Era colpa sua l'avere il cuor gentile? Era colpa, nella Pietra, se amore a nullo amato amar perdona? Era colpa sua, se quello stupido del fratello, se quella fastidiosa della moglie, il lasciavano solo con la

cognata? era colpa sua, se la lettura d'un romanzo procace gli aveva fatto perdere le staffe, se Galeotto fu'l libro e chi lo scrisse. Così, forse, Dante attenuava, cercava d'attenuare la propria colpa e la responsabilita propria e ridurla alle proporzioni d'un atto impremeditato: solo un punto fu quel, che ne vinse. Così si spiega, anche, quell'ultimo verso equivoco: Quel giorno, più, non vi leggemmo avante. In somma delle somme, di che si è trattato? Di un bacio! lascivo si, ma non è male irreparabile.

Vedi: La | Divina Commedia | di | Dante Alighieri | Quadro sinottico analitico | per | Luigi Mancini || Fano | Pei tipi di Giovanni Lana | 1851: - << Nella scena, soavissima << della Francesca da Rimini, si scorge la pittura di quell' in<dividuo, che macchiossi di peccato carnale, non per isfogo << di libidinoso e brutale appetito, ma per conseguenza di un << amore, che addormentò il sentimento della virtù, frammezzo << all'incantesimo dell' affetto ed ai palpiti del cuore. Il suono << della pietà, che piange l'amorosa sciagura, ricopre la colpa << e versa sull'anima la compassione ».

Lo scandalo riminese, che non aveva nulla di particolarmente bello o scusabile, sarebbe stato prescelto da Dante e ricoperto di tanta poesia, come quello, che rappresentava la sua stessa situazione, lo sdrucciolo pericoloso, sul quale esso Dante si era messo. Vedi dove saresti trascorso! vedi dove conduceva la malnata passione, da te concetta! Spècchiati in Paolo!

Avverto, che Dante più d' una volta sè paragona a Lancillotto. Nel XVI Paradisi, implicitamente, dove, quand'egli dà del voi a Cacciaguida:

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e nel Convivio trattato IV, capitolo xxviij. dove, parlando, esule, del senio, prorompe in parole commoventissime :

Rendesi, dunque, a Dio la nobile anima in questa età; et attende la fine di questa vita con molto desiderio. Et uscire le pare dell'albergo e ritornare nella propria magione; uscire le pare di cammino e ritornare in città; uscire le pare di mare e tornare a porto. Oh miseri e vili, che, colle vele alte, correte a questo porto! e, laddove dovreste riposare, per lo impeto del vento, rompete e perdete voi medesimi, là ove tanto camminato avete! Certo, il cavaliere Lancillotto non volle entrare colle vele alte, nè il nobilissimo nostro Latino, Guido Montefeltrano. Bene questi nobili calarono le vele delle mondane operazioni, che, nella loro lunga età, a religione si rendêro, ogni mondano diletto et opera diponendo. E non si puote alcuno scusare per legame di matrimonio, che in lunga età il tenga, che non torna a religione pur quegli, che a San Benedetto et a Sant' Agostino et a San Francesco et a San Domenico si fa d'abito e di vita simile, ma eziandio a buona e vera religione si può tornare in matrimonio stando, che Iddio non vuole religioso di noi, se non il cuore.... E benedice, anche, la nobile anima, in questa etâ, li tempi passati e bene li può benedire; perocchè, per quelli rivolvendo la sua memoria, essa si rimembra delle sue dritte operazioni; senza le quali, al porto, ove s'appressa, venire non si potea con tanta ricchezza nè con tanto guadagno. E fa come il buono mercatante, che quando viene presso al suo porto, esamina il suo procaccio e dice: << Se io non fossi per cotale cammino passato, questo tesoro << non averei io, e non averei di che io godessi nella città mia, « alla quale io m' appresso, » e, però, benedice la via, che

ha fatta.

Le colpe, che, per la loro stessa grandezza, provocando il ravvedimento, ci conducono alla catarsi dell'animo macchiato, non possono non ricordarsi dall'uomo, pentuto e divenuto virtuoso, senza un'amara dolcezza, come quelle, che sono state appunto l'origine della sua virtù.

Io non posso e non oso affermare, a tanta distanza e senz'alcuna testimonianza, che queste ipotesi mie sian vere; ne, quando fosser vere, potrei determinare fino a che punto giungesse la tresca di Dante con la cognata. In simili facende, non può esserci, mai, certezza, se non quando c'è stato scandalo. Affermo, bensì, che, dall' esame delle canzoni pietrose di Dante e del canto V dell' Inferno, sorge, nell'animo senza preconcetto la presunzione, che le supposizioni, da me esposte, sian vere.

Mi aspetto alle sfuriate de' retori e degl'ipocriti. « Come >> diranno« costui osa calunniare Dante! osa apporgli una tresca criminosa od, almeno, il desiderio « d'intavolare una tresca criminosa con la cognata! a Dante, « che ebbe tutte le virtù! al cantore della rettitudine! >> eccetera, eccetera. Tutti i Dionisi, tutti gli scolaretti (chieggo scusa al Dionisi del ravvicinamento) tutti coloro che voglion fare di Dante un uomo estraneo e superiore alle passioni, strilleranno come aquile. E tutti coloro, che ce l'hanno meco, per averne io smascherata la dappocaggine o la turpitudine, si fregheranno le mani. « Non << rispetta neppur Dante! È una monomania misantropica! >> E, per poco, non mi accuseranno d' invidia e di maltalento verso l' Allaghieri.

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Io rispondo anticipatamente, che, Dante, lo studio senz' alcun preconcetto. Non mi fo a leggerlo, per trovarvi la tale o la tal altra cosa: ma leggo e cerco di comprendere. Potrà darsi, anche, che frantenda; ma frantendo, però, in buona fede. Aggiungo, che quel Dante mitico, che ci hanno costruito, amante per tutta la vita d'una bimba, conosciuta a nove anni, tutto bontà, tutto virtù, tutto carità, tutto imparzialità, è un assurdo, che non regge alla lettura di due pagine degli scritti suoi, che non regge all'esame de documenti. Non crederò, poi, mai, mai, mai, che la virtù vera in uomini come Dante, consista nel non aver,

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