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più due sestine pietrose, che vedremo spurie; nonchè i sonetti E' non è legno (il quale, veramente, a me pare anzi è senza dubbio, in tutto e per tutto, soltanto allegorico); e gli altri: Io son si vago....; Nulla mi parrà mai...; Io maledico il di...; che il Carducci desidererebbe autentici, tanto son belli. Gusti! E non è curioso questo ricostruir l'animo d' un poeta sopra componimenti apocrifi o che si desiderano autentici? sarà critica barbara, ch'io non giungo a comprender più della metrica cosiddetta barbara. Con molti esempli, quindi, il Carducci fa risaltare la diversità tra queste Rime e quelle per Beatrice: e come da quelle per ogni verso si distinguano, perchè naturali, umane, brutali, convulse. Il Carducci dichiara, piacergli quest' altra faccia di Dante: tale sfogo della › natura dell' uomo, dopo il ritegno della mistica contem» plazione di Beatrice, è la passione della gioventù, dopo » l'amore dell' adolescenza. >> Questo è dir poco. L'amore per la Beatrice è pretta freddura allegorica; e, come ogni arzigogolo, malgrado il valore stilistico di Dante, rimane insipido e noioso: le rime, in cui il poeta il celebra, si lodano senza coscienza. Qui invece, c'è poesia schietta: c'è calore, verità, vita, c'è quanto si chiede dal poeta!

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Ora questa serie di rime a qual tempo s' ha da riportare della vita di Dante? Da principio inchinavo pe' primi anni dell'esiglio..... Ma nell' esiglio quanti e quali amori ebbe da vero l'Allighieri? Due.....

Mi vien da ridere, vedendo il Carducci tanto bene informato di faccende cosi intime dell' Allaghieri, quasi questi gli si fosse confessato! Que' due amori, ch'egli ritiene, copiando dal Fraticelli, (unico suo fonte e torbido fonte per la biografia di Dante) sono per la casentinese con la piva o micca de mezza lira ossia gozzo (umana credulità!) e per la Gentucca. Il Carducci non ammette, che a qualcuna

di coteste due, come pareva al Fraticelli, si rivolgessero que' versi, tutti ardore di passione giovanile.

Più, il fermarsi del poeta tanto ostinatamente sul vocabolo pietra con diverse applicazioni, sì in figura, che per rima, ci fa sospettare non ei volesse con ciò alludere al nome della donna amata, come Cino con l' aggettivo selvaggia e col lauro il Petrarca. Ond' è, che da principio parrebbe plausibile il supposto d' uno scrittore Padovano.... Ma l' Amadi, non che rechi alcun autorevole conforto all' affermazione sua, ne toglie ogni voglia a credergli, confondendo miseramente l'epoche della vita e delle opere di Dante.....

Questo non è vero: il Carducci ripete solo miseramente l'accusa surriferita del Fraticelli. Ma l'uno e l'altro avrebber dovuto badare che, quando l' Amadi scriveva, non era stampata ancora la Vita Nuova. In calce a' manoscritti, solevano trovarsi aggiunte parecchie canzoni di Dante; quasi come un' appendice all' opera. Ecco la spiegazione ovvia delle parole inesatte dello Amadi; e così le aveva interpretate benissimo il Pelli.

E poi, se Dante, venuto in Padova non certamente [?] prima del giugno M.CCC.VI, nel qual mese, con gli altri capi di parte bianca, firmava, nell' abbazia di San Gaudenzio, la convenzione con gli Ubaldini, a .vj. d' Ottobre dell'anno stesso era già in Lunigiana, come potè aver tempo, non che a scrivere tutte quelle rime, ma ad amar seriamente la Scrovigni? In fine, che Dante esule avesse così per gentilezza qualche amoretto o anche qualche sfuriata di calor giovanile, l' ammetto; ma che, nella sventura sua e della sua parte, nell'ardore delle speranze nuovamente concepite e nell' amarezze dei disinganni sopravvenienti, in quella vita così operosa ed agitata, in quegli errori d'uno in altro paese, con in mente e in cuore la Divina Commedia, trovasse tempo e tenesse degno di sè il latrar nel caldo borro, com' e' dice, d' una passione veementemente sentita e sensualmente significata, mi ripugna. Concludo che quelle rime furono composte avanti l'esiglio; e,

probabilmente, nel tempo, che seguì più da presso alla morte di Beatrice. La foga de' sensi giovanili, fin allora contenuta, ruppe gli argini; e l'amico di Forese Donati fu tale, quale gli era poi grave a memorare.

Che l'atto, firmato nell'abbazia di San Gaudenzio, non sia del M.CCC.VI, anzi anteriore, checchè il Fraticelli imboccasse al Carducci, è ormai certo: e l'accenno solo, per mostrare, che esso non contraddice ad una lunga dimora di Dante in Padova, ne' primi anni dell' esilio. Ad ogni modo, parecchie delle ragioni, che il Carducci allega contro l'asserzione dello Amadi sono giustissime; che le canzoni pietrose fossero scritte in patria e prima dello esilio mi pare inoppugnabile. Chi fosse, chi potesse essere quella Pietra, celebrata da Dante, il Carducci non ha ricercato. E forse s'è dimostro così più savio di me, che m'impelago nelle ipotesi.

§. II.

Delle canzoni pietrose

e prima delle apocrife.

Esaminiamo la quistione seriamente.

Vi ha un gruppo omogeneo di canzoni dantesche, nelle quali la parola pietra è così studiosamente o ripetuta o posta in evidenza, da non potersi negare se non per malafede o per preconcetto caparbio, che l'autore abbia voluto richiamar sopr' essa l'attenzione ed attaccarvi un valore ed una importanza speciale. Le frasi a doppio senso, equivoche, bisticciose bastano ad indicare, che tante pietre alludono ad un nome di Donna, il quale non può quindi essere se non Pietra. Abbiamo ne' Vangeli un esempio di simili scherzi, là dove Gesù dice a Pietro Bargiona: Tu es Petrus et super hanc petram fun

dabo ecclesiam meam. I bisticci del Petrarca sul lauro e sull' aura, adombrando così il nome della sua Laureta, son troppo celebri. Jacopo Caviceo e Ludovico Ariosto hanno scherzato così similmente sul nome di Ginevra e sul ginepro, conifero. Nessun secolo si diletto di questi bisquizzi quanto il seicento; ma persino nel nostro XIX, un uomo come il Leopardi se ne compiacque od almeno se ne avvalse, e nell' Aspasia, tutta allusiva ad una Elisa, volle accennare al nome vero della noncurante di lui, scrivendo:

Simile effetto

Fan la bellezza e i musicali accordi,
Ch' alto mistero d'ignorati Elisi
Pajon sovente rivelar.

Sarebbe, ripeto, mala fede o preconcetto caparbio il negare, che le tante pietre di alcune canzoni dantesche, alludano ad un nome muliebre; e così facendo, rimarrebbero senza valore e senza sapore molte frasi; come, per esempio: mi torrei dormir su pietra | Tutto il mio tempo; e questa: La mente mia... è più dura, che pietra | In tener forte immagine di pietra.

Ho detto omogeneo il gruppetto delle canzoni pietrose di Dante perchè non v'è, in alcuna di esse, cosa alcuna, che ripugni o contraddica al contenuto dell' altre; anzi, tutte si riferiscono ad una situazione e si compiono a vicenda. Non solo: ma si trovano pure in esse analogie d'immagini; ed in tutte si osserva uno sforzo nel ricercare difficoltà tecniche, o scegliendo intrecci difficili di rime, oppure adunando rime aspre ed insolite. Pruova, forse, come a me pare, che furono scritte in un medesimo tempo, in una stessa disposizion d'animo, con uniforme andazzo letterario e si noti che, per Dante, l' artificiosità negl' intrecci delle rime fu dirizzone brevissi

mo e transitorio, ch'egli stesso espressamente biasima nel De Vulgari Eloquio, Libro II, capitolo xiij. Tre cose, tre difetti ivi biasima nelle rime; e sono tre cose, tre difetti, che si ritrovano appunto in questo gruppo di canzoni sue:

Tria ergo sunt, quae circa rithimorum positionem repetiri dedecet aulice poetantem. Nimia scilicet eiusdem rithimi repercussio, nisi forte novum aliquid atque intentatum Artis hoc sibi preroget, ut nascentis militiae dux, qui cum nulla praerogativa suam indignatur praeterire dietam [?]: hoc et enim nos facere visi sumus ibi: Amor, tu vedi ben, che questa donna. Secundum vero est ipsa inutilis aequivocatio, quae semper sententiae quicquam derogare videtur; et tertium rithimorum asperitas, nisi forte sit lenitati permixta, nam tenium asperorumque rithimorum mixtura ipsa tragedia nitescit.

Per me, sembra innegabile, che queste canzoni siano documento d'una passione vera, prodotto d'una vernata tempestosa, in cui un amore tremendo imperversava nel cuore del poeta; ed in cui, per calmarsi, per distrarsi, quasi imponendosi de' rompicapi, tentò metri ardui e complicati, novità di rime intrecciate e ripetute, nel badare alle quali si calmava alcun poco il sangue bollente. La sestina semplice e la doppia e la canzone dal parlare aspro furon problemi artistici, ch' egli si propose, per isvagare il pensiero dalla idea fissa e dominante. E le mentova più volte nel De Vulgari Eloquio, come insuperbendone per le difficoltà tecniche superate, anche quando, come ho avvertito, avea già riconosciuto, che il proporsi difficoltà tecniche generalmente dedecet.

Le canzoni, che formano questo gruppo pietroso, sono quattro, indubitabilmente autentiche: vi si riattaccano due, di più che dubbia autenticità. Le quattro autentiche son quelle, che incominciano.

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