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cristiani, dalla quale orditura si vede quanto fosse il suo animo negli inni giovanili temperato a pietà e a quell'affetto che poscia, non potendo vincere la lotta colla ragione di lui, si mutò in una fonte perenne di dolori e di amarezze.

E in quell'anno in cui cominciò questa lotta, e la sua mente, per l'infermità degli occhi, più non trovando argomento di studio fuori di sè, cominciò a studiare sè medesima, e all'entusiasmo e alla speranza successero il dolore e il sentimento della nullità delle cose, egli cantava l'infinito e sentiva che il pensiero si annegava nell'immensità di quello, e di questo suo naufragare provava una terribile dolcezza, piangeva il giorno festivo che, desiderato con tanto amore, rapidissimo fugge e cede il suo posto ai giorni volgari e agli umani travagli, e guardando la luna, numerava i giorni trascorsi nel suo dolore, vedeva nei suoi sogni la donna da lui amata e spenta per sempre, e a lei narrava le sventure della sua giovinezza, il desiderio della morte e la stanchezza che il lungo dubitare aveva generato nell'anima sua, e rammentava nella solitudine della vita, le gioie passate, il suo odio per l'umana razza, la brama di vivere colla sola compagnia della natura e sedere nei campi, contento che ancor gli avanzasse e cuore e lena per sospirare.

Le infermità che lo travagliarono così acerbamente in tutto il rimanente corso della sua vita, se, com'egli medesimo affermava, non avevano avuto alcuna parte nel condurlo a quella filosofia senza speranza che egli credeva unico frutto della sua intelligenza, concorsero nondimeno a dare a tale sua filosofia una tinta più tetra, a sempre più confermarlo in quella e a condurlo alle estreme conseguenze. Allora egli non vide che un giuoco nelle opere dei mortali, non minore vanità nella menzogna che in quello che

chiamasi vero, e nelle illusioni riposto lo stimolo alP'operare ed alla virtù: questa virtù maledisse con Bruto minore, nell' ultimo canto di Saffo disvelò i dolori d'un'anima che sente la potenza del bello, che vede le belle sembianze regnare sul mondo, e sè scorge avvolta in manto deforme, entro il quale la virtù e l'ingegno non possono risplendere della loro lucé, e desiderò la morte per sottrarsi all'ira del fato e seppellirsi nel nulla; e tutti questi dolori della sua vita raccolse come nell' ultimo grido dell'anima sua nella Ginestra, dove tu vedi l'amara ironia deridere i vanti dell'uomo e i sognati progressi, e la nullità di quello in faccia della natura, il disprezzo immenso del poeta per esso e pei suoi sogni di felicità, e la persuasione che la vera nobiltà dell' uomo consista nel sollevare arditamente lo sguardo contro il fato comune, nel confessare francamente la miseria e la viltà dell' essere suo e nel volere che la comunanza dei patimenti sia la cagione dell'amore tra gli uomini e del vicendevole aiutarsi fra loro. La contemplazione dell'immensità della natura accresce nel poeta la pietà e forse più ancora lo scherno per la picciolezza dell'uomo; la vista del Vesuvio gli rammenta come questa natura in un istante abbia distrutte le opere di molti secoli e tante speranze di eternità e di gloria; e il pensiero che quel debole fiore del deserto potrà essere fra poco distrutto dall' ardente lava lo induce ad invidiare la sorte di esso in paragone di quella dei mortali, perchè meno infermo di loro non ha sognato una vana felicità nè creduto di sopravvivere al fato e di durare immortale.

Ma questa poesia del dubbio e dello sconforto è dessa vera e reale poesia? Non avranno forse ragione coloro che affermano il dubbio essere il nulla e non avere potenza alcuna di ispirazione? Il dubbio e il

nulla nelle anime volgari, che, fatto il primo passo verso la verità e già disperanti di scoprirla, s'acquetano nell' indifferenza; ma il dubbio è la lotta nelle anime grandi e non mai appagate; è il passeggiare sulle rovine sperando di poter rifabbricare più solidamente l'edifizio che prima innalzavasi sulle loro illusioni; è un lanciarsi di continuo in seno dell'infinito per rapirne il segreto, e la lotta è poetica in grado supremo; le rovine e l'infinito furono da taluni de'grandi maestri in letteratura tenute come fonte della poesia non solo, ma del sublime. Ma questa lotta ha carattere individuale, poichè chi la sostiene in un modo chi in un altro, e il processo psicologico è diverso secondo la immensa varietà delle umane nature. Quindi ne viene che, mentre i poeti positivi e che si fondano sulle credenze tramandate dalle età anteriori e che l'uomo non crea da sè medesimo colla sua ragione, trovano chi si pone sotto il loro stendardo e ne continua le tradizioni, i poeti del dubbio non formano scuola e restano individualità solitarie, pari a quelle prodigiose costuzioni ciclopiche che si ammirano da tutti, ma non si prendono a modello di nuovi edifizi.

Però se nessuno potrà imitare il pensiero del Leopardi, poichè per farlo sarebbe necessario di possedere indele, vastità d'intèlletto e sventura pari alla sua, i suoi versi resteranno pur sempre un imitabile monumento di perfezione di lingua e di stile e una immagine vera di tutta quanta la nobile bellezza dell'antica italiana poesia; bellezza che per somma sventura pochi oggidi paiono conoscere, e al sentimento della quale non si può giungere che col porre profondo studio nelle opere di coloro che più da vicino ne contemplarono le sovrumane sembianze e le ritrassero nelle opere loro.

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