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Solo di sua codarda etate indegno
Allobrogo feroce, a cui dal polo
Maschia virtù, non già da questa mia
Stanca ed arida terra,

Venne nel petto; onde privato, inerme,
(Memorando ardimento) in su la scena
Mosse guerra a'tiranni: almen si dia
Questa misera guerra

E questo vano campo all'ire inferme

Del mondo. Ei primo e sol dentro all'arena
Scese, e nullo il segui, chè l'ozio e il brutto
Silenzio or preme ai nostri innanzi a tutto.
Disdegnando e fremendo, immacolata
Trasse la vita intera,

E morte lo scampò dal veder peggio.
Vittorio mio, questa per te non era
Età nè suolo. Altri anni ed altro seggio
Conviene agli alti ingegni. Or di riposo
Paghi viviamo e scorti

Da mediocrità: sceso il sapiente,

E salita è la turba a un sol confine

Che il mondo agguaglia. O scopritor famoso, Segui; risveglia i morti,

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Poi che dormono i vivi; arma le spente
Lingue de' prischi eroi, tanto che in fine
Questo secol di fango o vita agogni

E sorga ad atti illustri, o si vergogni

IV.

NELLE NOZZE DELLA SORELLA PAOLINA.

Poi che, del patrio nido
I silenzi lasciando e le beate
Larve e l'antico error, celeste dono,
Ch'abbella agli occhi tuoi quest'ermo lido,
Te nella polve della vita e il suono
Tragge il destin; l'obbrobriosa etate
Che il duro cielo a noi prescrisse impara,
Sorella mia, che in gravi

E luttuosi tempi

L'infelice famiglia all'infelice
Italia accrescerai. Di forti esempi
Al tuo sangue provvedi. Aure soavi
L'empio fato interdice

All'umana virtude,

Nè pura in gracil petto alma si chiude.
O miseri o codardi

Figliuoli avrai. Miseri eleggi. Immenso
Tra fortuna e valor dissidio pose
Il corrotto costume. Ahi! troppo tardi,
E nella sera dell'umane cose,

Acquista oggi chi nasce il moto e il senso.
Al ciel ne caglia: a te nel petto sieda
Questa sovr'ogni cura,

Che di fortuna amici

Non creseano i tuoi figli, e non di vile
Timor gioco o di speme: onde felici
Sarete detti nell'età futura;

Poichè (nefando stile

35

Di schiatta ignava e finta)

Virtù viva sprezziam, lodiamo estinta.
Donne, da voi non poco

La patria aspetta; e non in danno e scorno
Dell'umana progenie al dolce raggio
Delle pupille vostro il ferro e il foco
Domar fu dato. A senno vostro il saggio
E il forte adopra e pensa; quanto il giorno
Col divo carro accerchia a voi s'inchina.
Ragion di nostra etate

4

Io chieggo a voi. La santa

Fiamma di gioventù dunque si spegne
Per vostra mano? attenuata e franta
Da voi nostra natura? e le assonnate
Menti, e le voglie indegne,

E di nervi e di polpe

Scemo il valor natio, son vostre colpe?
Ad atti egregi è sprone

Amor, chi ben l'estima, e d'alto affetto
Maestra è la beltà. D'amor digiuna
Siede l'alma di quello a cui nel petto
Non si rallegra il cor quando a tenzone
Scendono i venti, e quando nembi aduna
L'olimpo, e fiede le montagne il rombo
Della procella. O spose,

O verginette, a voi.

Chi de' perigli è schivo e quei che indegno È della patria e che sue brame e suoi Volgari affetti in basso loco pose,

Odio mova e disdegno;

Se nel femmineo core

D'uomini ardea, non di fanciulle amore

Madri d'imbelle prole

V'incresca esser nomate. I danni e il pianto Della virtude a tollerar s'avvezzi

La stirpe vostra, e quel che pregia e cole
La vergognosa età, condanni e sprezzi;
Cresca alla patria, e gli alti gesti e quanto
Agli avi suoi deggia ta terra impari.
Qual de' vetusti eroi

Tra le memorie e il grido

Crescean di Sparta i figli al greco nome;
Finchè la sposa giovanetta il fido
Brando cingeva al caro lato, e poi
Spandea le negre chiome

Sul corpo esangue e nudo

Quando e' redia nel conservato scudo.
Virginia, a te la molle

Gota molcea con le celesti dita*
Beltade onnipossente, e degli alteri
Disdegni tuoi si consolava il folle
Signor di Roma. Eri pur vaga ed eri
Nella stagion ch'ai dolci sogni invita,
Quando il rozzo paterno acciar ti ruppe
Il bianchissimo petto,

E all' Erebo scendesti

Volonterosa. A me disfiori e scioglia

1

Vecchiezza i membri, o padre; a me s'appresti, Dicea, la tomba, anzi che l'empio letto

Del tiranno m'accoglia;

E se pur vita e lena

Roma avrà dal mio sangue, e tu mi svena.
O generosa, ancora

Che più bello a' tuoi di splendesse il sole
Ch'oggi non fa, pur consolata e paga
È quella tomba cui di pianto onora
L'alma terra nativa. Ecco alla vaga
Tua spoglia intorno la romulea prole
Di nova ira sfavilla: ecco di polve
Lorda il tiranno i crinį;

E libertade avvampa

Gli obliviosi petti; e nella doma
Terra il marte latino arduo s'accampa
Dal buio polo ai torridi confini.
Cosi l'eterna Roma

In duri ozi sepolta

Femmineo fato avviva un'altra volta.

V.

A UN VINCITORE NEL PALLONE.

Di gloria il viso e la gioconda voce,
Garzon bennato, apprendi

E quanto al femminile odio sovrasti
La sudata virtude, attendi, attendi,
Magnanimo campión (s'alla veloce
Piena degli anni il tuo valor contrasti
La spoglia di tuo nome), attendi e il core
Movi ad alto desio. Te l'echeggiante
Arena e il circo, e te fremendo appella
Ai fatti illustri il popolar favore;

Te rigoglioso dell'età novella

Oggi la patria cara

Gli antichi esempi a rinnovar prepara.
Del barbarico sangue in Maratona

Non colorò la destra

Quei che gli atleti ignudi e il campo eleo,
Che stupido mirò l'ardua palestra,

Nè la palma beata e la corona
D'emula brama il punse. E nell'Alfeo

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